Tilopa
1992
9788886222297
«Vi racconterò qualche cosa del piccolo Johannes. La storia ch’io incomincio somiglia molto ad una favola, è vero, ma nondimeno il fatto è realmente accaduto, così come lo racconto. Se cessaste di credervi, non leggete più oltre, perché non scrivo per voi. Non parlatene poi mai al piccolo Johannes, se per caso l’incontraste, perché lo affliggereste ed io mi pentirei di avervi raccontato quanto segue.» (I, p. 9)
“Johannes e il giardino incantato” è un breve romanzo di formazione: apparentemente favolistico, francamente misticheggiante. Scrive Gabriella Belvisi nella prefazione: “Si configura, al di là della grande poesia delle immagini e della delicatezza del tratto stilistico, come una sorta di viaggio allegorico dell’anima umana che, attraverso i vari gradini di un percorso interiore, dissimulati nei diversi incontri ed episodi del racconto, si trova infine di fronte alla scelta tra la Morte, intesa come intelletto astratto e speculativo, e l’Umanità, ossia la vita, e la decisione di dedicarsi ad essa perseguendo una via difficile e piena di prove” (p. 6).
Il protagonista è un bambino stravagante e solare, che ha l’abitudine di dare un nome ad ogni cosa che incontra (battezza “la montagna dei lamponi”, “la foresta dei peri” e via dicendo) e che è solito conversare con gli oggetti della sua camera – mostrando particolare preferenza per l’orologio a pendolo e per un arazzo. Sogna d’assistere e di testimoniare a un miracolo.
Questo libro è la storia d’un miracolo. Johannes abita in una vecchia casa, circondata da uno splendido giardino. Là si nasconde il “paradiso”, un grande prato che guarda su uno stagno, dove le canne sussurrano al vento, a pochi passi dalla “grotta della nuvole”. Ogni giorno, Johannes contempla le strane e splendide luci che per qualche istante scintillano nell’ombra, nel cuore della grotta; fin quando, accompagnato dal fedele cane Presto, sale su una piccola barca e s’avventura nell’incanto.
Incontrerà una grande libellula azzurra, Convolvolino, e vedrà il viso delle ninfee; danzerà nella festa al fianco di Oberon, re dei silfi; e in questa occasione riceverà una chiave d’oro, destinata a restituire un tesoro – un libro “totale”, per così dire.
Le avventure di Johannes rispettano, inizialmente, una struttura rigidamente suddivisa in due parti: la prima, frammentaria e appena accennata, dedicata alla sua “vita canonica”, segnata dalla noia sui banchi di scuola e dalle timide conversazioni col padre; la seconda, brillante e accuratamente descritta, riservata alla sua “iniziazione” al segreto della natura e al senso dell’esistenza d’ogni creatura vivente. Johannes conversa con tutto quel che vive, animale o pianta che sia; è d’una innocenza e d’una vitalità intensissime e d’una grazia che sconcerta. Successivamente, da quello che potremmo definire l’annuncio dell’esistenza della Grande Luce, il ritmo muta. Il testo perde in linearità, trasformandosi definitivamente in una avventura iniziatica e felicemente irrazionale; incontri meravigliosi con creature fantastiche origineranno rovesci della sorte del protagonista, fino alla risoluzione della vicenda – l’epifania della Luce.
Intense e liriche le descrizioni: penso, ad esempio, a questo frammento che inaugura il capitolo quinto. “Avete mai errato per il bosco in un bel giorno d’autunno, quando il sole brilla calmo e chiaro sul fogliame riccamente colorato, quando i rami scricchiolano e le foglie secche frusciano sotto il vostro piede? Appare così stanco il bosco, allora. Esso può solo pensare a vivere di vecchi ricordi. Un vapore leggero, azzurrognolo l’avviluppa come in un sogno di misterioso splendore, e dei fili argentei autunnali scintillano traverso l’aria con un’ondulazione lenta, come dei pensieri belli e vani. Dalla terra umida, tra il muschio e le foglie secche, sorgono d’un tratto enigmaticamente i funghi dalle forme le più bizzarre. Taluni grossi, deformi, polputi: altri snelli, col gambo inanellato ed un cappello rifulgente di vividi colori” (p. 43)
Nel complesso, il romanzo può costituire, per il lettore contemporaneo, un divertissement – scintillante d’immaginazione e di fantasia com’è. Altrove, può essere adottato come sostegno all’educazione dell’adolescente insensibile alle meraviglie della natura. Molteplici le debolezze del testo: la lingua adottata è a tratti tutta evocativa e astratta, per poi gonfiarsi di ridondanze e bizantinismi. La vicenda si sviluppa per bozzetti – per piccole tappe, e improvvisi incontri; non si riconosce omogeneità nell’architettura dell’opera e coesione nel passaggio da una figura all’altra. È un libro dalle evidenti fragilità; confondere creature gotiche con figure d’altra rilevanza e pregnanza simbolica non è una scelta condivisibile – in generale, non è del tutto comprensibile. I dialoghi, inevitabilmente, singhiozzano tra una grottesca serietà e una paradossale fanciullesca ingenuità. Negligere aritmie e asimmetrie potrà rivelarsi idonea strategia di lettura. Sospendetevi nel mondo cantato dall’artista, come in un sogno lucido. Allora il libro vivrà.
ULTIMA ANNOTAZIONE. Grazie alle edizioni Tilopa, parte dell’opera letteraria di van Eeden è stata tradotta per il pubblico italiano, altrimenti tenuto all’oscuro della sua produzione. Plauso.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Frederik van Eeden (Haarlem, 1860 – Bussum, Olanda, 1932). Medico neurologo, psichiatra e scrittore olandese. Fu membro degli “ottantisti”, la “comunità silenziosa” (“De stille gemeente”) di artisti oppositori del Romanticismo, e redattore delle riviste “La Nuova Guida” (“De Nieuwe Gids”) e “Tweemaandeliksch”. Fu fautore di una letteratura più spirituale ed etica. Coniò il termine “sogno lucido”.
Frederik van Eeden, “Johannes e il giardino incantato”, Tilopa, Roma 1992. Traduzione di P.G. Mariatti. Prefazione di Gabriella Belvisi.
Prima edizione: De Kleine Johannes, 1886. Prima edizione italiana: Treves, Milano 1921.
Gianfranco Franchi, agosto 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.