Gaffi
2015
9788861651623
Ci sono due strade per raccontare la biografia romanzata “Jackie” [Gaffi, 2015] di Adriano Angelini Sut, scrittore romano classe 1968; la prima è concentrarsi sulla protagonista del libro, sulla sua complessità e sulla sua contraddittorietà, apprezzando la documentazione e la lucidità politica dello sguardo dell'artista; la seconda è dedicarsi allo scrittore, e cercare di posizionare l'opera nella sua bibliografia, tenendo presente che da un certo punto in avanti della sua attività Adriano Angelini s'è aggiunto un cognome, e da quel momento ha cominciato a scrivere biografie di figure femminili tanto potenti, influenti e carismatiche quanto laterali. So bene che non c'è lettore che non sappia qualcosa di Jacqueline Bouvier, prima Jackie Kennedy poi Jackie Onassis. So altrettanto bene che la storia letteraria di Adriano Angelini, giornalista, traduttore e romanziere, è meno nota. Allora partiamo da lui. I primi due romanzi sono stati pubblicati da una piccola casa editrice oggi scomparsa, la Azimut di Guido Farneti; “Da soli in mezzo al campo” (2005) e “Le giornate bianche” (2007) sono romanzi di formazione pop; nel suo esordio, Angelini ha restituito bene diverse dinamiche delle borgate romane, con accenti personali e diversi da quelli caratterizzanti, ad esempio, la letteratura capitolina di Fernando Acitelli o di Marco Lodoli o di Renzo Paris, mentre nell'opera seconda è sprofondato in una realtà periferica siciliana del tutto inattesa, per raccontare una storia di diversità e di adolescenza. A quel punto, Angelini ha pubblicato un divertente e spiazzante anfibiotto per la Newton Compton: una guida alle cose da fare a Roma, di notte, una volta nella vita [2010] che ha avuto buona fortuna commerciale, confermando l'intelligenza e la piacevolezza della scrittura dell'artista. Sin là la sua poetica era molto riconoscibile: c'erano degli assi portanti (Roma e la romanità contemporanea, il calcio, la giovinezza, l'incontro con la diversità, la freschezza) e si intravedeva, in tralice, una sorta di “compassato dandysmo rugantino” che poteva dare esiti di un certo interesse. Poi Adriano ha perso sua madre, e qualcosa è cambiato; nel 2011 ha assunto il doppio cognome per farla vivere con lui, per eternarla. E nel 2013 ha visto la luce il primo libro firmato “Angelini Sut”: una biografia romanzata di una scrittrice inglese di grande intelligenza e altrettanto grande sfortuna, Mary Shelley, autrice di “Frankenstein”, compagna del poeta Percy Bysshe Shelley; una scelta del tutto inattesa. Pochi anni più tardi, sempre come “Angelini Sut”, è tornato a pubblicare una nuova biografia romanzata, protagonista una donna: è la storia di uno dei miti della mamma di Adriano, della sua metà Sut: Jackie Kennedy Onassis. Rispetto al lavoro sulla Shelley, questo si fonda su una preparazione decisamente più meticolosa, in certi frangenti talmente dettagliata da sembrare un lavoro di intelligence; c'è un coinvolgimento forse addirittura strabiliante, considerando la poetica e la storia autoriale, e la distanza generazionale; c'è una consapevolezza maggiore, in un certo senso c'è qualche strato in meno – Angelini Sut ha riconosciuto qualcosa di simile nelle due donne, e stavolta è andato decisamente più a fondo nell'estetizzarlo. Cos'hanno in comune Mary Shelley e Jackie Kennedy? Il coraggio, e qualche apertura pionieristica o addirittura rivoluzionaria, ciascuna nel suo ambito; a livello esistenziale, sono entrambe donne che hanno vissuto il dramma di perdere dei figli subito dopo il parto; due figli la Shelley, due figli Jackie; a livello sentimentale, sono state entrambe ferite dall'infedeltà dei mariti, quasi caricaturale nel caso di JFK; entrambe sono rimaste vedove molto prima del tempo; infine, entrambe sono state compensate da tante sofferenze, in vita, con un certo benessere economico. Cos'altro hanno in comune? Che nessuno, qui in Italia, aveva dedicato loro una biografia, tanto che in entrambi i casi Angelini ha dovuto scandagliare bibliografia in lingua inglese, contentandosi di poche traduzioni; last but not least, sono entrambe figure decisamente sottovalutate. Ecco, adesso veniamo a Jackie, ci concentriamo su di lei e salutiamo Angelini Sut. La Jackie di questo libro ci parla in prima persona; l'escamotage adottato dall'artista è che la musa pop stia raccontando la sua storia al suo fratellastro, e che quello che leggiamo altro non sia che il suo memoir. È una scelta che potrebbe apparire filologicamente bizzarra, e tuttavia a un certo punto rivela il suo fascino, complice più di un passo in cui la precisione del dettaglio nordamericano, politico e culturale in genere, si fa impressionante; il background partitico è restituito con minuzie che sembrano provenire dallo studio di uno scrittore del Wisconsin o del Minnesota. È una Jackie decisamente distante dal modello fatuo e vanesio restituito dalla vulgata mediatica degli ultimi decenni, dalla Jackie madrina delle fortune di Valentino in avanti; è una donna di grande intelligenza e sensibilità, amica degli artisti (da Truman Capote ad Andy Warhol), elegante arredatrice, audace e imprevedibile ponte tra gli Stati Uniti e i diplomatici di quelle nazioni, come l'India e il Pakistan, che in quegli anni sembravano voler giocare a non stare né da una parte, né dall'altra; è una mezzosangue francese che dialogando con la sua antica madrepatria (per parte paterna) riesce non soltanto a far sbarcare, per un breve periodo, la Monna Lisa negli States, ma riesce anche a ottenere carte e documenti di primo livello sulla morte di suo marito “Jack” Kennedy. È una donna che si dedica con eccezionale determinazione ai suoi figli, e che non lascia che i rovesci della sorte e le sue vicissitudini sentimentali possano distrarla da loro; è una donna che riesce a restare integra nonostante l'incontro-scontro con due famiglie eccezionali, per diverse ragioni, come la Kennedy e la Onassis; è una donna che vive esperienze liminari come le morti violente di JFK e poco più avanti di suo fratello Bobby senza sprofondare nella disperazione e senza cedere a comportamenti abbacinanti o autodistruttivi; è una donna che nell'ultima parte della sua vita si ritrova a fare letteratura, lavorando come editor per la Viking Press e per la Doubleday, finendo per lasciare un segno anche dietro le quinte della letteratura americana.
In un'intervista rilasciata ad “Affari Italiani”, Angelini Sut ha spiegato i retroscena e la genesi dell'opera, inizialmente partendo da un presupposto diverso da quello che io ho qui ricostruito: è partito dalla sua ammirazione sfrenata per i Kennedy, definendola motore primo della sua ispirazione; e questo devo segnalarlo a beneficio dei lettori di Chomsky e di Gore Vidal. Angelini Sut ha poi spiegato che, nel corso degli anni, ha letto cinque libri fondamentali sui Kennedy: la trilogia di James Ellroy (“American Tabloid”, “Sei pezzi da mille” e “Il sangue è randagio”), “Libra” di Don De Lillo e “22/11/1963” di Stephen King. Desiderando misurarsi con la stessa musa, ha deciso di raccontare quella famiglia e quel mondo a partire da Jackie: “Jackie è subentrata nel mio immaginario come una fatina buona che avesse ascoltato le mie suppliche. È successo dopo la morte di mia madre, che, da brava ed estrosa sarta, di Jackie era ammiratrice. E mi son detto: se provassi a mettermi nei panni dell'icona e raccontare quel mondo, vivere coi Kennedy in un'età mitica che la mia data di nascita relativamente giovane ha appena sfiorato? Un'operazione forse un po' incosciente ma per questo adatta a chi scrive”. Un'operazione forse incosciente che tuttavia è riuscita, dal momento che questo libro è stato pubblicato col patrocinio della “Fondazione Italia USA”, che ha avuto diverse ristampe e buona critica, e soprattutto ha finito per interessare me, che sono storicamente estraneo alle vicende a stelle e strisce, con poche eccezioni e tutte artistiche, letterarie, cinematografiche, etc. Spiazzante, intelligente, vivace: da leggere.
Gianfranco Franchi
[prima pubblicazione: “Ponterosso” numero 28]
per approfondire: ANGELINI in Porto Franco / bellissimo pezzo di Arianna Boria sul Piccolo
La Jackie di questo libro ci parla in prima persona; l’escamotage adottato dall’artista è che la musa pop stia raccontando la sua storia al suo fratellastro, e che quello che leggiamo altro non sia che il suo memoir…