Piano B Edizioni
2009
9788896665015
Dieci secoli di scritture su Prato: “Itinerari d'autore. Guida letteraria della terra di Prato” (Piano B, 2009), a cura di Francesca Goti e Martina Grassi, è un grande atto d'amore e di memoria. Non si tratta semplicemente d'una fascinosa, spiazzante e stimolante antologia, fondata su un lavoro di documentazione e selezione semplicemente complesso, e poggiata sulla forte personalità delle curatrici. Si tratta d'un tributo a una terra e a un popolo che in Italia ci siamo spesso limitati a considerare, pur con sincera ammirazione per l'eccezionale prestigio mondiale della sua industria tessile, “la città del lavoro, delle fabbriche, dei cenci”, per dirla con le parole della Goti e della Grassi. Dimenticando che Prato è una città d'arte, dimenticando che è la città del grande Curzio Malaparte, semplicemente restando all'oscuro di tutta una serie di aspetti, di vicende e di omaggi che in questa edizione sono stati ben schedati, segnalati e spiegati.
L'opera è strutturata in cinque parti e un'appendice, dedicata ai visitatori illustri. Le cinque parti sono “Le origini e il Medioevo”, “Il Rinascimento e il Seicento”, “L'Ottocento”, “Il Novecento”, “Dal dopoguerra ad oggi”. Ognuna delle cinque parti è suddivisa in sezioni: “Prato nei secoli”, breve panoramica sui maggiori eventi storici dell'epoca protagonista del capitolo, e “Itinerari letterari”, vale a dire appunti e considerazioni sparse sui rapporti tra luoghi e scrittori. In clausola, ogni itinerario include una sintetica legenda sui “Luoghi citati”, completa di informazioni storico-turistiche.
Entriamo nel vivo dell'opera. Provo a raccontarvi cosa scoprirete studiando quest'edizione illustrata della Piano B. Si parte dalle “Leggendarie origini di Prato”, del misterioso (e forse mai esistito) poeta medievale Sandro Marcovaldi: sono versi che contribuirono a fondare ipotesi suggestive sulla fondazione della città col nome di “Bisanzio” (per il fiume Bisenzio), protagonisti i sillani in fuga da Fiesole. E si passa per tutta una serie di figure laterali e minori di un certo fascino, come il primo autore locale, Compagnetto da Prato, “che probabilmente lasciò la città per raggiungere qualche corte feudale dove operò come giullare, durante feste e banchetti, componendo poesie di intrattenimento di stampo amoroso popolare” (p. 15), o come uno dei maestri di Petrarca, il letterato Convenevole da Prato.
Ci si ritrova a scoprire qualcosa sulla reale identità del famigerato Ser Cepparello da Prato, eternato da una celebre novella boccaccesca (e da un omaggio pasoliniano), e si apprezza l'esistenza di un grande intenditore di vino come Ser Lapo Mazzei, che coniò per primo la denominazione “Vino di Chianti”: era il 1398. Si soffre col popolo pratese per il terribile sacco spagnolo del 1512, eternato dalle parole di Francesco Guicciardini: e sinceramente è difficile per noi contemporanei immaginare una cosa come 22 giorni di violenze, furti, stupri e omicidi per mano di 17mila soldati. Osservano le curatrici: “Al ritiro degli spagnoli, Prato era una città fantasma privata di ogni bene mobile, con i pozzi riempiti di cadaveri, in condizioni igieniche spaventose che assistette inerme al latrocinio del proprio splendore rinascimentale” (p. 44). Terribile. L'esercizio dell'immaginazione diventa veramente terribile.
Ma c'è dell'altro: stavolta, è qualcosa di solare. Ecco la storica, leggendaria Fiera di Prato, “simbolo dell'operosità e della genialità commerciale della città”, raccontata nel 1594 dal cortigiano mediceo Giovanni Miniati, autore di “Narrazione e disegno della terra di Prato”. E il gioco del calcio, che si giocava in piazza del Duomo, dalle ventidue alla mezzanotte, protagonista d'un frammento scritto dal letterato Francesco Redi, che visse per tre anni in città, in collaborazione col filologo francese Egidio Menagio. È il 1669...
“In Prato, già Terra, oggi Città, in Toscana, non più che dieci miglia distante di Firenze, si fa il giuoco del calcio, non meno che in Firenze. Ma se nel giuoco di Firenze si usano piccoli palloncini, e si percuotono col pugno armato di solo guanto, in Prato si adoperano di que' pallon grossi, co' quali si suol giocare il giuco del pallon grosso (giuoco noto in Francia) ed in questo giuoco del calcio de' pratesi, non si dà al pallone col pugno, ma sempre col calcio [...]” (p. 56). Durò fino al 22 agosto 1779.
Non finisce qui. Naturalmente si parla del prestigioso Collegio Cicognini e del “Gabinetto Vieusseux” pratese, il salotto Benini, punto di riferimento dei letterati locali nell'Ottocento. E non mancano gli omaggi dei grandi letterati del secolo scorso, da Tommaseo a Gioberti, e tutta una serie di piccole schede dedicate agli autori minori nati a Prato.
E prima di sbarcare nel nostro amato e odiato Novecento, leggiamo di quando Prato divenne la Lipsia d'Italia, per via della fortuna e della qualità della sua attività tipografica, favorita anche “dalle bellissime carte delle cartaie della vallata che vantavano una tradizione secolare” (p. 74). La Goti e la Grassi riferiscono, a questo proposito, che esistono testimonianze di cartaie a Prato già dal XIII secolo e “sicuramente se l'arte tessile non avesse preso l'esclusivo predominio, quest'industria vi avrebbe trionfato”.
Il Novecento pratese ha tanti protagonisti. Il più romantico è il letterato Bino Binazzi, povero ma ricco d'umanità, maestro di Malaparte negli anni del Cicognini, amico dei grandi letterati del tempo. Il più controverso è l'anarchico Gaetano Bresci, assassino di Umberto I. Il più caratteristico è lo scrittore minore, ma amatissimo in città, Sem Benelli, reduce della Grande Guerra e dei giorni dell'impresa di Fiume. Il più famoso, in tutto il mondo, è il grande Curzio Malaparte, che studiò al Cicognini proprio come D'Annunzio, come Tommaso Landolfi. E sebbene non avesse sangue toscano, “incarnava tutte le caratteristiche di quella natura maledetta del genio toscano allegro, schietto e spregioso, intelligente e ardito, 'né migliore né peggiore ma fiero di non esser come gli altri'” (p. 132). Ulteriore conferma, insomma, che l'identità è una questione culturale, niente affatto etnica. Potente e saggio esserne coscienti. Lui diceva: “Io son di Prato, m'accontento d'esser di Prato e se non fossi nato pratese vorrei non essere venuto al mondo” (“Maledetti toscani”). Più chiaro di così. E ancora: il più inglese è il poeta e traduttore Roberto Sanesi, cresciuto a Milano ma pratese di sangue e di cultura.
E infine veniamo ai giorni nostri, alla Prato di quasi 200mila abitanti, terza città del Centro Italia dopo Roma e Firenze, popolata da oltre 10mila cinesi (terza comunità cinese europea post Londra e Parigi), ex “Manchester Toscana” diventata qualcosa di diverso. È Edoardo Nesi la voce più rappresentativa di questa città, uno scrittore e un traduttore (di grande livello) che viene da una famiglia di industriali tessili, e sa cantare con personalità e dignità Prato e i pratesi (cfr. almeno “Storia della mia gente”, Bompiani 2010). E forse, assieme a intelligenze giovani, competenti e orgogliose come quelle delle curatrici di questa edizione, potrà dare nuova energia e nuova dignità a una città che ha saputo essere orgoglio nazionale, e orgoglio nazionale deve restare. Non soltanto per l'industria tessile, che sia chiaro.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Francesca Goti, Martina Grassi, “Itinerari d'autore. Guida letteraria della terra di Prato”, Piano B, Prato 2009. Collana Zero5sette4.
Gianfranco Franchi, Novembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Dieci secoli di scritture su Prato: “Itinerari d’autore. Guida letteraria della terra di Prato” (Piano B, 2009), a cura di Francesca Goti e Martina Grassi, è un grande atto d’amore e di memoria.