Castelvecchi
2008
9788876152528
Indagine su Giuda, senza pretesa di storicizzare il Vangelo. Ancora? Ancora. A chi giova? A chi serve? A chi è destinata? Cominciamo subito parlando dei limiti dell’opera: poi ci immergiamo nel mistero. Centini propone, in calce, un elenco delle opere letterarie dedicate a Giuda, dimenticando tre tra le principali, tutte pubblicate a partire dal 1978: “La gloria” di Giuseppe Berto (fondamentale), “La notte del lupo” di Sebastiano Vassalli (marginale) e “Il vangelo secondo Gesù” di Josè Saramago (niente affatto marginale) e una tra le minori: “Il vangelo di Giuda” di Mawer. Curiosamente, tutti e quattro i libri avrebbero potuto confermare la sensazione dell’autore, figlia d’una acuta osservazione di Kierkegaard: “Per penetrare a fondo il Cristianesimo di un’epoca, basta vedere com’essa concepisce Giuda”. Com’è il Giuda del nostro tempo? Il Giuda del 2008 è più vicino all’interpretazione gnostica, rilanciata da Borges nel famoso racconto “La setta dei trenta” contenuta nel “Libro di sabbia”: “Nella tragedia della Croce - lo scrivo con la dovuta reverenza - ci furono attori volontari e involontari, tutti imprescindibili, tutti fatali. Involontari furono i sacerdoti che consegnarono i denari d’argento, involontaria fu la plebe che scelse Barabba, involontario fu il procuratore di Giudea, involontari furono i romani che eressero la Croce del Suo martirio e piantarono i chiodi e tirarono a sorte. Volontari sono stati soltanto due: il Redentore e Giuda. Questi buttò via i trenta pezzi che erano il prezzo della salvezza delle anime e immediatamente si impiccò. Aveva allora trentatre anni, come il Figlio dell’Uomo. Non vi è un solo colpevole; non c’è nessuno che non sia un esecutore, consapevole o no, del piano tracciato dalla Sapienza. Tutti partecipano ora della Gloria”. (JLB)
Il nostro Giuseppe Berto, prima di morire, gli aveva dato voce: ecco “La gloria”: “Io, Giuda Iscariota, nato a Gerusalemme da padre mercante, cresciuto all’ombra del Tempio, istruito nella Legge e nelle Scritture, osservante delle norme e dei precetti, legato agli zeloti per cospirazione e fuggito alla città santa per scampare alla croce, percorrevo le terre d’Israele ansioso che l’Eterno Adonai si manifestasse mostrandomi un segno della sua potenza, o della sua vanità. Ero giovane, e impaziente. (…) Di fronte a ciò io ero tentato di chiedermi dove fosse l’Eterno, e se ci fosse davvero un Eterno o non piuttosto un infinito vuoto, un infinito niente come aveva cantato Qohélet”.
Centini, inspiegabilmente, accenna a Borges ma dimentica il capolavoro di Berto: amnesia che mi riempie di rammarico, considerando la qualità e il divertimento, intellettuale s’intende, che figlia questa sua ricerca. Nella prefazione, s’accenna alla fortuna (editoriale) del c.d. Vangelo di Giuda, copto, reperito per buona sorte in Egitto negli anni Settanta. Peccato che per noi letterati e lettori italiani avesse parlato Berto trent’anni prima, divinando in toto – questo è Zeitgeist – il contenuto. Perché, allora, ho voluto scrivere di questo saggio? Perché, al di là delle solite contraddizioni (non si storicizza il Vangelo, ma si consultano fonti canoniche e storiche e apocrifi: che senso ha? Meglio fare letteratura), mascherate dalla mitica formula “scrittura divina nell’essenza ma rivestita di carne” per evitare contrasti con le autorità ecclesiastiche, il libro potrà richiamare alla causa (dell’intelligenza, e dell’opportunità dell’interpretazione) menti ancora e altrimenti concentrate sugli standard CEI.
Complotto o capro espiatorio? Cosa si nasconde nella morte di Giuda? Centini ci documenta tutto il possibile (ma non è storia, eh?): ricordandoci che l’apostolo (cioè: “l’inviato”) viene chiamato per nome dal Messia solo mentre viene baciato; dovrebbe essere figlio di Simone Iscariota (fonte: Gv). Dovrebbe essere originario di Querjoth. L’etimo di “Iscariota” potrebbe essere fatto risalire a *ekariot (ebraico, per “sicario”), *shachar (ebraico, per “falso”) o *sakar (“colui che consegna”). Giudeo, e non galileo come gli altri apostoli – puntuale la ricostruzione delle notizie biografiche, chiamiamole così, su ognuno di loro: la filologia è così impotente… – era il tesoriere di Gesù. Quello che si curava – curiosamente lui, e non l’ex pubblicano Matteo – della cassa.
Centini analizza tutto il possibile: ragioni del tradimento, senso del tradimento, significato mistico del tradimento; quantità del denaro ricevuto (in sicli o sesterzi), destinazione di quel denaro (restituzione o acquisto terreno), epilogo della sua esistenza (suicidio o omicidio?), appartenenza politica (zelota e quindi integralista “resistente” antiromano?); anno di nascita del Cristo, comparando le notizie di Matteo a quelle relative al censimento di Quirino in Siria (e siccome non coincidono, ne inventa un altro precedente: massì).
Ora. Non ho nessuna intenzione di mettermi a confutare i testi sacri: sappiamo tutti che basterebbe applicare rigorosamente criteri filologici per evidenziare non solo clamorose contraddizioni figlie di letture “letterali” (Centini dà spazio alla paradossale questione delle spade: nei Vangeli appaiono e scompaiono, sia materialmente che a livello di significato; Gesù viene a portare la spada e a dividere, ma altrove ammonisce che chi di spada ferisce di spada perisce (de se ipso dicens?); a un tratto, in precedenza, aveva detto ai suoi uomini di procurarsi le spade; due bastavano, però; etc.) e per stravolgere dalle basi la ragione di esistenza in vita della Romana Chiesa, e dei suoi assurdi privilegi e dei grotteschi suoi dogmi tutt’altro che annunciati nei Vangeli. Non mi interessa e non sum dignus, chiaramente. Né riesco ad accettare l’idea che si dubiti della bontà delle tradizioni dei frammentari e sempre almeno parzialmente ricostruiti testi greci e latini, ma non della bibbia; sono questioni che osservo con il rispetto di chi sa che qualcuno si rapporta a quelle parole considerandole “parola di Dio”. Voglio credere che tutto quel che abbiamo letto sia un mistero e che non esista una soluzione, né una lettura principe. Mi interessa molto, tuttavia, e proprio per una questione di Zeitgeist, il rinnovato interesse sulla figura di Giuda. Cosa ci stiamo dimostrando? Che andiamo a cercare la verità e la menzogna, proprio laddove un maestro non ha risposto a domanda “Quid est veritas”, in una figura che non accettiamo sia l’incarnazione del male assoluto. Interessante.
Si direbbe che abbiamo compreso, infine, che bene e male assoluto non esistono. E che questo “tradimento” poteva essere parte di una volontà (divina), di una strategia (del Cristo, o d’un partito politico: zeloti), di un complesso di inferiorità (io, Giuda, cassiere del figlio di Dio e non figlio di Dio), di un gioco politico (Roma aveva interesse ad accontentare un popolo ribelle: e ad eliminarne un leader) e via dicendo. Non è detto, nel 2008, che Giuda fosse amico del demonio e grande traditore della razza umana: adesso ci diciamo che probabilmente qualcosa di buono esisteva anche in lui, e che forse Cristo ne era consapevole al punto che ha deciso di averlo con sé perché si compisse un disegno, e non perché lui era malvagio. Forse non lo era affatto. Dubitava come tutti gli apostoli, e come tutti loro era fragile (Simone detto Pietro, il primo, non era forse quello della triplice apostasia in una manciata d’ore?); a differenza loro, non era pescatore galileo ma cittadino: probabilmente era più preparato. Non suona, considerando la vulgata, incredibilmente blasfemo?
Ma certo. Però tutto questo ci suggerisce che davvero abbiamo imparato a dubitare e a criticare: a ragionare, e a non dare niente per scontato. Stiamo cercando il segreto dell’essenza dell’anima umana, e dei suoi contrasti e delle sue contraddizioni; se crediamo, d’altra parte, nel Messia che in punto di morte chiama Dio e piange per essere stato abbandonato, sappiamo benissimo da che parte stare. Da quella di chi sa che non c’è niente di Vero e di Assoluto, se non il Mistero. E che la fede soltanto potrà liberarci dalla menzogna del linguaggio, e che lo spirito solo potrà rispondere alle anime, un giorno, delle tante domande che ogni giorno ci poniamo sul senso della vita, delle ingiustizie, delle menzogne, delle violenze, degli omicidi, dei furti, dei ladri seduti in Parlamento e dei briganti delle vaticane banche, e della necessità di mantenere il loro potere quasi fosse… prerogativa divina.
Centini sta cercando la verità, come ognuno di noi: e come ognuno di noi sogna, probabilmente, che il Cristo sia sceso e sia stato uomo tra gli uomini, predicando un Vangelo trascritto alla lettera dai suoi seguaci. Interpretare il mito di Giuda come fosse un giallo trasforma questo libello in un romanzo: un romanzo fantastorico, o se la cosa v’offende “fantateologico”. Ho letto, ho meditato, ho preso appunti; mi sono chiesto cosa diavolo c’entrasse lo studio di Alvarez “Il Dio selvaggio” in bibliografia, considerando oltretutto che è irreperibile – mi risulta, ma certo sbaglio – dal 1975 e non dal 1995 come indicato: a quel punto, caro Centini, le suggerirei di inserire piuttosto Durkheim. Tanto per intenderci. Risultato? Una gran voglia di tornare a emozionarci leggendo Giuseppe Berto, Sebastiano Vassalli, Borges e Saramago. Se uno dei quattro vi manca (cfr. paragrafo iniziale), partite pure da Centini: Bignami.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Massimo Centini (Torino, 1955), laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ricercatore universitario, in primis della religiosità cristiana. Saggista e scrittore italiano.
Massimo Centini, “Indagine su Giuda”, Castelvecchi, Roma 2008. Contiene una ricca bibliografia. Copertina (stupenda) di Maurizio Ceccato. Collana “Le Grandi Navi”, 23.
Prima edizione: ECG, 2002.
Gianfranco Franchi, agosto 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.