In fuga con la zia. The Flying Troutmans

In fuga con la zia. The Flying Troutmans Book Cover In fuga con la zia. The Flying Troutmans
Miriam Toews
Marcos Y Marcos
2009
9788871685168

Che succede quando “Paris-Texas” sembra cominciare alla fine di un libro, ibridandosi con la narrativa di formazione on the road? Succede che ci si trova di fronte a un romanzo come “The Flying Troutmans” (“In fuga con la zia”, Marcos Y Marcos, 2009), nato dalla sensibilità e dalla creatività della narratrice e attrice canadese Miriam Toews, classe 1964, già pubblicata in IT da Adelphi. È un libro che racconta condizioni e stato d'animo d'una generazione ferita dall'assenza o dalla pericolosità dei propri confusi genitori, costretta a virare su un ribellismo stravagante e inoffensivo, perché non ha nemmeno più ideologie da abbracciare; è un libro che scintilla di senso materno e di dolcezza, perché a sostenere quei due ragazzi, campioni di questa generazione di ragazzini abbandonati e sfortunati, è la zia, che come se niente fosse prende e parte, lascia Parigi e i cocci di una relazione appena terminata, e si precipita ad accudirli e a sostenerli, mentre la loro mamma, sua sorella, si fa curare in clinica psichiatrica; è un libro che accompagna questo strano clan famigliare sino a una difficile riconciliazione con le sue origini e la sua fondazione, nelle ultime battute. Quella con i padri. Una spia linguistica era nascosta ben prima, a pagina 112, capitolo sesto. Decontestualizzo e isolo in questo passo: “Davvero?, faccio. E i padri? Scuote lentamente la testa, sospira come un assistente sociale esaurito con un carico di lavoro agghiacciante e dice con aria fintamente ingenua, già, che fine hanno fatto i padri?”

Già: forse i padri, restituiti al loro ruolo e alla loro centralità, possono giocare un ruolo determinante, incisivo, rigenerante, e non soltanto per i due ragazzini protagonisti. Questa è una delle segrete chiavi di lettura del libro, e non stupisce la positio princeps simbolica del padre dei due ragazzi. Inconsciamente, comunica una domanda viscerale e profonda di restituzione d'un ruolo alla sua natura originaria. Affascinante.

Nelle prime battute del libro, questa santa e fantastica zia, libraia parigina, torna nel suo Canada per badare ai figli della sorella; sua sorella, purtroppo, s'è convinta che un milione di automobili le stiano piombando addosso, e non può davvero più badare ai suoi piccoli. A chiedere aiuto è la più piccola, Thebes, una marmocchia che sogna, la notte, che esiste un tredicesimo mese (p. 167) chiamato shtetl, e che in quel mese cade il suo compleanno (omaggio alla “Venticinquesima ora” di Benioff?); suo fratello maggiore, Logan, è dissociato e vagamente fattone, ha quindici anni e scrive racconti un po' al limite per la sua età; beve, anche, e ha qualche problema con le autorità scolastiche: e però ammira una giornalista come Deborah Salomon perché ha il coraggio di guardare le cose in faccia (p. 56), cosa che forse lui sogna di imparare a fare. Ama la musica indie e alternative rock, ma pensa “se fossi una band mi scioglierei” (p. 95), e già che c'è vede di scriverlo da qualche parte. Nel libro appare anche una sua playlist (pp. 108-109), per la gioia degli spiriti rock. Non vi stupirà decifrarlo tramite nomi come Sparta, OutKast, Dead Kennedys, Mudhoney.

La loro mamma, Min, è forse il personaggio più letterario e complesso del libro. La sorella libraia ci racconta qualcosa di lei tramite le sue letture: “Virginia Woolf, Sylvia Plath, 'Anna Karenina'... il 'Manuale introduttivo' di Min all'universo del dolore. La sua biblioteca della perdita. Aveva fatto le letture giuste” (p. 174), mentre in gioventù “Manuale di cucina anarchico” e “Paradiso perduto”, e poi tramite il passato, rivelando che era stata la sua nascita ad alterare il suo equilibrio psichico: “La mia nascita ha scatenato un'onda sismica nella vita di mia sorella. Il giorno in cui sono venuta al mondo si è messa il vestito al contrario ed è corsa via verso un futuro più luminoso, o piuttosto verso un passato più luminoso. I nostri genitori l'hanno trovata su un albero del vicino. Voleva fuggire? Da allora ha continuato a farlo, viaggiare contemporaneamente in due direzioni opposte, verso l'infanzia e verso la morte. (…). Prima della mia esistenza Min era una bambina normale” (pp. 16-17).

Eppure, “mi ha insegnato lei a scroccare passaggi al traino, agganciata al paraurti delle auto, a tuffarmi a bomba, a rollarmi un joint e a preparare un bong casalingo. Andava a piedi nudi da maggio a ottobre e una volta, per scommessa, ha attraversato a nuoto Falcon Lake in piena notte” (p. 22). In ogni caso, forse per gelosia, quando aveva quindici anni aveva provato ad affogare sua sorella, che ne aveva solo nove. E il papà, per salvarla, era morto. Diciamo che il padre spettrale è la cifra stilistica di questi disastri pluri-generazionali. Molto curioso.

Nel suo presente, Min è “contemporaneamente viva e morta”, “come se si fosse stanziata nel terminal di un aeroporto, e si spostasse da una sala d'aspetto all'altra senza mai imbarcarsi su un aereo” (p. 18: con tanto di omaggio al tenerello film di Spielberg, “The Terminal”, uscito quattro anni prima).

Si circonda di pasticche e ne prende a volte troppe, a volte troppo poche. “Teneva sempre una pillolina blu sotto il cuscino, come un dente da latte. O una capsula di cianuro a portata di mano” (p. 37). Figli a parte, è insofferente a tutto. Ha voluto essere migliaia di cose, è stata solo una mamma; non le è bastato. Creava e distruggeva quel che aveva creato, e poi si chiudeva a letto per mesi. Suo marito, inizialmente, aveva mantenuto e mostrato istinto protettivo; poi, s'era squagliato, se n'era andato a gambe levate.

I figli dell'Occidente divorziato possono capire con maggiore intensità quanto racconta la Toews, coetanea di queste fenomenali famiglie nuove, altre, allargate e poi incredibilmente ristrette. Noi conosciamo il significato dell'assenza di un clan famigliare o di legami di sangue sentiti e condivisi; quanto avvenuto ha implicato la corrosione o la cancellazione delle tradizioni, e dell'istinto-base della solidarietà. Quel che forse vuole suggerirci Miriam Toews è che in fin dei conti niente è perduto, soltanto... è danneggiato: la volontà può esautorare la realtà, può plasmarla e adattarla; l'amore può correggere tutti i difetti della nostra società, e nuove famiglie possono nascere dalla distruzione delle famiglie antiche. Con nuovi equilibri, e ruoli – diciamo così – interscambiabili, a un certo livello. Questa sua umanissima zietta europea, giovane e giovanile, capace di sacrificare un pezzo di vita per i suoi nipoti come niente fosse è esemplare, alternativa e femminile – d'una femminilità essenziale, originaria, perfetta.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Miriam Toews (Steinbach, Manitoba, Canada 1964), giornalista, scrittrice e attrice canadese.

Miriam Toews, “In fuga con la zia”, Marcos Y Marcos, Milano, 2009. Traduzione di Claudia Tarolo. Copertina di Lorenzo Lanzi. Collana Gli Alianti, 171.

Prima edizione: “The Flying Troutmans”, Knopf Canada, 2008.

Gianfranco Franchi, dicembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.