Immenso (e varianti)

Immenso (e varianti) Book Cover Immenso (e varianti)
Zeno Zen
All'insegna del pesce d'oro
1977
Collana “La coda di paglia”, n. 19.

Dans le livre du non-sense / Je m’illumine d’immense” (“Book of non-sense”, Z. Zen)

Questa edizione a cura di Vanni Scheiwiller è stata stampata a Treviso dalla Tipografia Longo & Zoppelli in quattrocento copie numerate da I a C e da 1 a 300 il 6 gennaio 1977, la Beffana” – e la mia ha il numero 257, e uno sbuffo di firma. Un giorno servirà a ristabilire la verità, quella firma.

Già, perché trent’anni dopo il mistero è ancora fitto. Chi si nasconde dietro l’identità di Zeno Zen, autore di questa unica operetta suddivisa in due parti, “Merdema” e “Uccellogrammi”? Il testo, edito da “All’insegna del pesce d’oro” del grande Scheiwiller (collana “La coda di paglia”) è dedicato a Piero Manzoni:

Pura univoca produttrice di senso / né parola come donna pubblicata / alla tua aurea merda penso / che la speculazione non consente” e massacra l’ungarettiano m’illumino d’immenso, leit motiv della maggioranza assoluta dei componimenti; e su quell’aurea merda lo Zen specula e indaga eccome, illuminandola, intenso. Immenso.

Incipit: “Perché maisempre / a monna merda penso / nunqua allumino l’immenso”; quindi, “Se”: “Se alla merda penso / non m’illumino d’immenso” – è già piuttosto chiara la direzione intrapresa. S’indaga quindi il “Reale”: “Se al resto non penso / m’illumino d’immenso” e si vira inevitabilmente prima sul sociale, in “Cottimo”: “Più il ritmo è intenso / più aumenta il compenso / e i miei figli finalmente / potranno illuminarsi d’immenso” quindi sul politico, in “Zio regime”: “Negli anni del consenso / ci si illumina d’immenso” e infine, logicamente, sullo psicotropico: “All’amica ridrogata”, laddove “Dell’erba al fumo intenso / tu t’illumini d’immenso”.

Omaggio erudito in “Carmina Burina”: “Al contadino non far sapere / quant’è buono l’immenso / con le sere”, variazione fondata sulla proverbiale saggezza popolare; ecco quindi l’introspezione, in “Circuito pallico”: “Se mi gira non ci penso / e m’illumino d’immenso”.

E altrove, per il Manzoni, leggiamo: “Forse perché della fecal quiete / tu sei il mago / a me sì caro vieni / e in un certo senso / perché m’illumino d’immenso” – versi tratti da “Viene a noi l’amaro nella sera”.

L’indagine, a questo punto, è necessaria, pure ammettendo che “Se al merdema penso / non m’illumino d’immenso”. Si deve partire dalle poche informazioni reperibili. Punto la bandella e trascrivo almeno i primi due paragrafi. Serviranno.

Zeno Zen, poeta dal nome sveviano, doppiamente extraneus, raccoglie questi ‘motti’ pervasi da alcune metafore fondamentali. Il concetto di immenso è chiaramente ungarettiano. Esso viene ironizzato non per dileggiare Ungaretti, poeta amato dall’autore (e da tutti) ma per indicare con energica immagine anaforica l’impossibilità nell’attuale contesto anche di ‘pause contro il logorio della vita moderna’. La poesia non può più contemplare nulla, non può più prestarsi a nessuna speculazione: questo ci sembra dire lo Zen, e sembra anche abbastanza cosciente di non dire novità. D’altra parte che cos’è il mito della continua moda-novità? (…)”.

Esatto. Qualche dubbio tuttavia permane, in questo quadro di granitiche certezze autoriali, di sicura Weltanschauung: “Ma il cattolico del dissenso / non s’illumina d’immenso?” (“Ma”); e la risposta è chiara, “Con cento lire d’incenso / puoi illuminarti d’immenso” (“Ecclesia mea”).

Considerando che non potevo intervistare né il Manzoni dalla artistica merda, né il grande Vanni Scheiwiller che sempre arte editò, non mi restava che una sola alternativa: la seduta spiritica. Volevo l’anima del poeta che s’illuminava d’immenso. Mi sono procurato un tavolino a tre gambe, un cero e un flaconcino d’acqua santa, ho cosparso la mansarda d’incenso e ogni cosa ho acceso: illuminandomi, subito, d’immenso. Per la voce rotta e grave che ben ricordavo da antichi filmati, in sublime e necessario bianco e nero, ho ascoltato l’antico maestro borbottare:

Se a questo libro penso / non m’illumino d’immenso”; quindi ha taciuto, mortificandomi. A nulla è valso tentare nuovamente la nekuia: nemmeno un lumino del santo di Pietralcina, sottratto a basso costo dalla bottega di ammennicoli dei cinesi sotto casa, ha scosso il riottoso poeta.

Ormai disperavo – da mesi Zeno Zen popolava i miei pensieri: liquido, e austero. Ieri notte, finalmente, in sogno m’è apparso il gran Vanni, l’editore. Illuminato da una stupenda luce, mi ha sorriso, ha spezzato un menabò e mi ha detto: “Quel giorno, nella città di *, io e i miei compagni incappammo in un cassonetto insolito; uno di loro scattò delle foto mentre io m’avventuravo, prode. Quelle foto non riuscii mai a recuperarle. Quando ti diranno di aver dimenticato dove siano, tieni per certo che stanno mentendo: è questa la ragione del tormento”.

In silenzio, ascoltavo. Vanni aggiunse. “Eravamo in tre, luminosi d’immenso. Uno era il poeta de La fiora del vin, l’altro il gran traduttore del Marx perduto: maestri entrambi di poesia dialettale, neorealista il primo, neoavanguardista il secondo. Ragionammo del manzoniano genio, sprofondando nel merdema”.

Annuii. “La città dai tre senza nasconde il segreto” – concluse, ieratico. Altro dire non so o forse non posso: “Che fare”? Se a uscir dalla merda non penso / non m’illumino più d’immenso”.

L’arcano del 1977 s’annida in questi versi. Fondamentali.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Zeno Zen (luogo e anno di nascita avvolti nel mistero), poeta dal nome sveviano, si considera più notaio che autore di questi motti, che possono essere colti nell’aria e attribuiti a varie fonti.

Zeno Zen, “Immenso (e varianti)”, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1977.

Collana “La coda di paglia”, n. 19.

Gianfranco Franchi, Gennaio 2008

Prima pubblicazione: Lankelot, Absolute Poetry.

Dans le livre du non-sense

Je m’illumine d’immense

(“Book of non-sense”, Zeno Zen)