Feltrinelli
2014
9788807885341
A volte, per accostarsi ad un’opera letteraria, è necessario spogliarsi completamente di qualsiasi pregiudizio, di qualunque sorta esso sia: o, quantomeno, è fondamentale esser pronti a discutere le fondamenta delle proprie convinzioni, interagendo ininterrottamente con l’opera esaminata, dialogando mentalmente con il testo e confutando le teorie e le ipotesi in esso ospitate, dal principio alla fine. Dal principio – e intendo letteralmente dal principio, dal primo istante in cui si sfogliano le sue pagine in una libreria, ancora splendidamente vergini e innocenti – fino alla fine: e si intenda, per l’ennesima volta, letteralmente l’espressione, perché un romanzo non può essere solamente “grande” o “scadente”, un romanzo deve essere “vivo” o “morto”. La letteratura di consumo è tendenzialmente vocata ad una morte rapida, incolore e indolore; l’arte letteraria ambisce ad avere il respiro dell’eternità – ad essere immortale, oltrepassare il tempo e dialogare senza fine con le generazioni future, fino al compimento della propria “missione”. Questo romanzo di Saramago è pura arte letteraria. È romanzo “vivo”.
Gesù è l’eroe di questo vangelo, che “non ha mai avuto il proposito di contrastare quello che hanno scritto altri e che, pertanto, non oserà certo sostenere che non è accaduto ciò che si è compiuto”: è opera letteraria, certamente, ma è d’argomento teologico: ed è sufficiente la lettura delle prime pagine per comprendere come e quanto potrà urtare la suscettibilità di quanti, neppure nel sublime gioco della Letteratura, ritengono opportuno discutere la propria fede. Non sarà difficile, allora, sentir pronunciare, da altri, la parola “blasfemia” o la parola “eresia”, in merito a questo romanzo: e onestamente non possiamo ritenerli giudizi illeciti, qualora abbiano ferito la sensibilità del lettore cattolico.
Io non pronuncerò nulla di analogo: non giudico, e non giudicherò mai, blasfema, né eretica, un’opera letteraria. La letteratura è la dimensione originaria della menzogna e nella sua natura mendace risiede la sua grandezza, la sua forza e la sua intrinseca bellezza. Trovo miracoloso che si viva in un’epoca storica che consente ai narratori e ai poeti di interpretare i vangeli liberamente, senza per questo esser condannati a morte o soffocati nel silenzio. Non so fin quando durerà quest’epoca di (relativa) tutela della libertà di pensiero e d’espressione: posso solo auspicare che non conosca fine, e che sempre più, proprio dalla letteratura, sorga nuova linfa per discutere tutto quel che appare “verità” – correggo: “Verità”. Solo da una incessante, coraggiosa e sfrontata dialettica potremo un giorno pronunciare la parola “Verità”, baloccandoci altrimenti con le nostre “verità”. Perché quel giorno si avvicini, non è sempre necessario mutare i propri pregiudizi (in senso lato): è necessario, questo sì, discuterli. Ed è già miracoloso, ribadisco, che ciò possa avvenire a ciascuno di noi, ogni giorno, per merito dell’arte.
La prima sensazione del lettore, terminato il romanzo, è che se di eresia possa discutersi, questa non sia teologica, ma tutta umana. È la nostra stessa esistenza, il senso della nostra stessa esistenza ad apparire eretico: “Il vangelo secondo Gesù” di Saramago è una lettura razionale, demistificante e originale dei vangeli, tesa – parrebbe – ad ammettere una predestinazione, ma incapace di spiegarla e definirla altrimenti che sospirando la debolezza e la contraddittorietà non solo dell’uomo, ma di quel Dio che dovrebbe aver creato la nostra specie. Nati dunque dalla solitudine e dall’angoscia di un Dio debole e annoiato, costretti a sconfiggere la miseria della mediocrità dell’esistenza consumando un’attesa che ha un solo nome – e questo nome è speranza, attendiamo un segno inequivocabile e un annuncio d’una “buona novella”. Gesù, in questo romanzo, è uno strumento del disegno di Dio, egualmente come Giuda e come gli altri discepoli: ed è strumento inconsapevole della sua stessa origine e della sua funzione fino al tardivo incontro rivelatore con Dio, nonostante l’atipica iniziazione della prima guida: pastore e mendicante, angelo o demone che fosse, scopriremo la sua natura solo al termine del romanzo. Questa guida, nei panni di un pastore, accoglie Gesù dopo la morte del padre Giuseppe, crocifisso ingiustamente poco tempo prima: ed è, allora, nuova figura cardine per la formazione della personalità del Cristo, e garanzia perfetta di rappresentanza di una figura paterna. L’ambiguità e la paradossalità degli insegnamenti di questo misterioso pastore si chiariranno solo in seguito: a me sembra essenziale ed emblematico, intanto, che, terminati gli anni di “studio” e di formazione al fianco del pastore, Gesù sia in grado di “dire la verità in modo menzognero, o di mettere la verità al servizio della menzogna”. Caratteristica, questa, che normalmente riterremmo diabolica. Gesù, nel vangelo di Saramago, è autenticamente e “divinamente” umano: e questo perfino nel momento della rivelazione del segreto della propria origine. L’umanità del Messia, nel romanzo del grande scrittore portoghese, è incorruttibile e pura. Ama, cerca, si dispera, piange, lotta con i propri sogni e combatte, fin dall’infanzia, con i propri spettri; è capace di perdonare, e di ribellarsi agli ordini; sa mentire, sa testimoniare la verità fino alla morte. Ne emerge un vangelo dell’uomo perduto e – pur sconfitto e sottomesso da Dio – ribelle e libero, perché fieramente testimone della natura di se stesso dei propri simili: una morte barbara non è l’epilogo di una vita, ma l’annuncio dell’eternità delle idee dell’assassinato.
Ho confrontato, in questi giorni, il recente “Vangelo di Giuda” di Simon Mawer, scrittore britannico dalla formazione atipica (laureato in biologia ad Oxford), con il “Vangelo secondo Gesù di Saramago”. Il romanzo di Mawer si fonda sull’immaginario ritrovamento di una pergamena anteriore ai vangeli, composta da Giuda; e vi si propugnano tesi vincolate ad una morte senza resurrezione del Cristo e ad una sua discendenza da Erode. Il limite del libro di Mawer risiede, semplicemente, nelle duecento pagine precedenti alla “discussione” sul Vangelo di Giuda: fino a quel tratto è un romanzo mediocre, noioso e irritante, giocato sui conflitti etici di un religioso a contatto con le sue Marie Maddalene, e sulla misteriosa storia della sua nascita. D’un tratto, Mawer torna al fulcro del racconto e regala pagine interessanti sull’argomento evangelico. Obiettivamente, il titolo del suo romanzo è fallace e ingannevole, a scanso di meravigliose riletture simboliche della parabola esistenziale del suo protagonista. Il libro di Saramago, all’opposto, fin dal titolo promette d’essere ciò che è: esperienza letteraria unica, canto dell’eretica esistenza dell’uomo, rimpianto per la metamorfosi delle illusioni, diventate, forse irrimediabilmente, verità. Memorabili – concludo – le pagine dedicate all’incontro tra Gesù, Dio e Lucifero: simbologia splendida e tragica d’una relazione forse insolubile.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVE SENTIERO DI LETTURA
José Saramago (Azinhaga, Portogallo, 1922 – Tias, Canarie, 2010), narratore, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura 1998. Ha esordito nel 1947 con il romanzo “Terra del peccato”.
José Saramago, “Il vangelo secondo Gesù”, Bompiani, Milano, 1993. Traduzione di Rita Desti. Prefazione di Luciana Stegagno Picchio.
Prima edizione: “O evangelho segundo Jesus Cristo”, Caminho, 1991.
Per quanti intendano approfondire, nell’ambito della letteratura novecentesca, l’interpretazione delle figure evangeliche, suggerisco un iniziale sentiero di ricerca: Berto, Giuseppe, “La gloria”, Bur, Milano, 2001. Borges, Jorge Luis, “Il libro di sabbia”, Rizzoli, Milano, 1977 (racconto di riferimento: “La setta dei trenta”). Bulgakov, Michail, “Il Maestro e Margherita”, Mondadori, Milano, 1991. Mawer, Simon, “Il vangelo di Giuda”, Il Saggiatore, Milano, 2001. Vassalli, Sebastiano, “La notte del lupo”, Baldini & Castoldi, Milano, 1998.
Gianfranco Franchi, ottobre 2002.
Prima pubblicazione: ciao.com; a ruota, lankelot.