Il treno della bestia

Il trono della bestia Book Cover Il trono della bestia
Renzo Rosso
Piemme
2002
9788838473654

Romanzo storico ambientato una manciata d'anni dopo l'anno Mille, in una fase di drammatica decadenza civile, sociale e culturale, “Il trono della bestia” è la trasfigurazione della corruzione, della fatiscenza e dell'abnorme disordine della Romana Chiesa nel momento di massimo declino: quando si poteva diventare papa magari a vent'anni, e non senza robusti giochi di potere. È la vicenda del lascivo e dissoluto Benedetto IX, tre volte papa (causa varie destituzioni e repentini ritorni al soglio pontificio), e della sua antitesi, un giovane monaco onesto, spirituale e generoso, capace di una stoica resistenza alle tentazioni (incarnate in una prostituta romana, Dorotea) e di una ferrea fedeltà alla sua regola: è benedettino di un monastero cluniacense.

Rosso fonda la narrazione su una fitta serie di dialoghi – non sempre credibili, purtroppo, quando leziosi quando libreschi – e su qualche ellissi temporale utile per non appesantire eccessivamente l'intreccio. La tenuta del romanzo è dignitosa, ma la lettura conosce molte fasi di stanca e di noia. Onestamente credo vada riservato agli appassionati del romanzo storico, e in particolar modo delle denunce delle antiche malefatte vaticane. È difficile credere che possa guadagnare spazio, nelle future storie della letteratura italiana. In ogni caso: il professor Magris così commentava l'opera: “è un romanzo ‘anche’ storico, l'avventura di Vilderico da Sutri, amanuense e monaco dell'anno Mille che si trova a vivere una tumultuosa, appassionata, sconvolgente vicenda di fede, disincanto, amore, smarrimento, perversità in una Roma papale che è la Babilonia, sacra e blasfema della Storia, della sua grandezza e della sua turpitudine, delle lacrime, del sangue e del fango di cui è impastata l'argilla umana. Demistificazione e sacralità si mescolano in questo libro come in altre opere di Rosso (...). Il Trono della bestia è la favola di un'anima assetata di verità nel regno della violenza e del falso”.

Trama. 1032. Vilderico da Sutri – intelligente e solitario amanuense del monastero di Farfa, ventiseienne – viene convocato dall'abate Ugo per un compito nuovo, inatteso e importante: compilare il liber dei Pontefici, nella Città Eterna. Serve un giovanotto “sano di intendimento” e di mente aperta. La missione avrà due risvolti. Scrivere “menzogne e verità” per conto della Santa Sede, senza fiatare; scrivere verità, e verità soltanto, al proprio abate, in corrispondenza privata, sicura e segreta. Primi alleati del monaco, i fratelli dei conventi cluniacensi. Viene accolto a Roma dall'abate Enrico da Manciano. Primi ammonimenti: non badare alle libertine abitudini dei cardinali. Quindi, rispettare la gerarchia (primicerio, protoscrinario, sacellario, arcario, arcidiacono).

La Chiesa interpola da subito le sue cronache. Quando oscurando le notizie, quando attenuando le sue espressioni. Il povero amanuense è presto ferito e scosso dalla corruzione e dalla prepotenza di Roma: capisce che è soltanto il popolo (operai, artigiani, servi, schiavi) a pronunciare e ascoltare la parola di Dio, perché il papato sì è “disseccato in una liturgia meccanica” (p. 58). Non è l'unico guasto. Muore un vescovo, a Ferentino, ed ecco che viene sostituito da un parente del Papa. E quando muore il Papa l'atmosfera si fa terrea, cupa, violenta. Viene eletto Teofilatto dei conti di Tuscolo, alias Benedetto IX, in circostanze poco trasparenti; è uno che odia i monaci perché “portano sventura”, e sono “servi dell'aldilà” (p. 104). Vilderico assiste a sempre nuove violenze (rogo per i criminali: “mi sono chiesto se vi sia qualcosa nei vangeli che giustifichi una tale crudeltà; nel corso dell'ultimo mese ne è stato già comminato uno, con motivazioni d'eresia”) e si ritrova, paradossalmente, a servire chi di quelle violenze è responsabile. Il Papa, un Papa giovanissimo e crudele. Sulle prime, per insegnargli il Latino. Siamo nel 1033. Benedetto ha occhi chiari, incalzanti, “separati da ogni parola” (p. 131); è intelligente ma niente affatto erudito, è prepotente e pettegolo, è vanitoso, lussurioso e suscettibile. Il monaco si consola pensando alla quiete di Farfa: “al refettorio, alla mia vecchia cella, al giardino: e penso molto a voi, abate, al vostro insegnamento, alla vostra severa bontà di padre, di Abba” (p. 137). E intanto resiste all'amore che pure s'è presentato; sarà perfettamente platonico, ma non senza sofferenza.

Roma si rivolta al nuovo Papa, nell'estate del 1033. Ottanta morti, cento feriti. Non bastano a rovesciare il tiranno. Vilderico, espulso dal Papa, per futili motivi, è potuto tornare tutto felice, alla sua abbazia. Là ha lavorato fianco a fianco dell'abate, per redigere il regesto di Farfa. Cinque anni dopo, l'abate sta morendo. Vilderico deve nuovamente partire: stavolta, per Perugia, dove Benedetto va per incontrare Corrado II, per ragioni strategiche. Fermiamoci qua.

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Qualche epifania della Roma d'antan, una volta superate le mura alla porta Salaria: ecco “i palazzi appena intravisti da sotto il telone del carro, le topaie allagate, le tante bianche colonne senza trabeazioni, le mostruose finestre vuote di un rudere enorme viste alla luce dei lampi” (p. 22). Per uscire dalla città, serve un salvacondotto.

Ai piedi dell'Aventino, verso “i resti di Porta Capena: ai lati della via Appia, in gore di fango si ergevano senza ordine alcune centinaia di catapecchie, dietro le quali spuntavano maestose rovine” (p. 23). A Porta Metronia, c'è un corpo di guardia dei gabellieri. Attorno, spesso si possono incontrare una ressa di contadini con grandi ceste sul capo. Il Laterano è la dimora del Papa. Si trova al centro di uno spiazzo immenso, affiancata da un palazzo presidiato da uomini armati. Nel 2010, armati rimangono.

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In sintesi, non mi sono emozionato, non mi sono affatto divertito, ho spesso apprezzato ma non sono un cultore del genere. Forse gli appassionati di romanzi storici avranno reazioni differenti. Personalmente, preferisco e scelgo con grande convinzione il Rosso letterato puro, e non scrittore di maniera. Magris non me ne voglia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Renzo Rosso (Trieste, 1926 – Tivoli, 2009), scrittore e drammaturgo triestino. Laureato in Filosofia con tesi su Antihegel e Hegel in Kierkegaard, fu dirigente RAI. Esordì pubblicando “L'adescamento” nel 1959.

Renzo Rosso, “Il trono della bestia”, Piemme, 2002.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, gennaio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Mediocre romanzo storico…