Il sistema della menzogna e la degradazione del piacere

Il sistema della menzogna e la degradazione del piacere Book Cover Il sistema della menzogna e la degradazione del piacere
Fausto Gianfranceschi
Rusconi
1976

Segnalo un datato e troppo trascurato libro contraddistinto da una stravagante concezione della menzogna: "Il sistema della menzogna e la degradazione del piacere", opera che appartiene a quella categoria di interpretazioni dei nuovi mezzi di comunicazione e della società moderna che Umberto Eco definirebbe degli “apocalittici”. È composto di nove capitoli, nel corso dei quali l’autore si scaglia contro quello che definisce il sistema della menzogna, che altro non sarebbe che il potere culturale esercitato dalla sinistra, al tempo della stesura del saggio forza politica di opposizione.

Gli esiti oscillano tra il clericalismo, il conservatorismo e una claustrofobica opposizione ad ogni forma di innovazione e di sperimentalismo in ambito prima letterario, quindi editoriale; Gianfranceschi aggredisce lo spettro del progressismo ed assesta una quantità miracolosa di fendenti a Pasolini (allora defunto da poco), Magris e - genericamente - a tutti gli studiosi appartenenti alle scienze umane, scagliandosi con una violenza inaudita contro i sociologi e contro il movimento femminista.

L’intuizione centrale è presto spiegata: l’utopia, incarnata nel comunismo, è una aberrazione intellettualistica che ha seviziato le credenze e i valori del popolo, legato inscindibilmente alla chiesa e alla famiglia. Non solo: questo sistema della menzogna, l’utopia, ha tessuto un secondo velo di Maya nei sentimenti, nel giovanilismo, nella rivoluzione, nella sessualità, nell’arte e nella letteratura, cancellando il piacere e umiliando la bellezza. Assisteremmo dunque, impotenti e sottoposti con successo ad una lobotomia globale, al trionfo dell’intellettualismo, generato dal terribile leviatano: il potere culturale della sinistra.

Procediamo in una analisi obiettiva del testo. Gli effetti del sistema della menzogna, afferma Gianfranceschi, sono chiarissimi nel romanzo di Natalia Ginzburg “Caro Michele”. “Questi personaggi (…) sono emancipati, non hanno tabù, nessuno di loro, certamente, si scandalizzerebbe per fatti, libri o spettacoli immorali. Sono così emancipati che, disgraziatamente, la loro umanità è ormai senza spessore (…) La loro bontà si esprime quasi maniacalmente in una specie di rassegnata solidarietà, che del resto non manca ad altre razze animali” (p. 12-13).

A proposito del sistema di informazione: “La menzogna politica, sociale e psicologica non è un’invenzione del nostro secolo. Tuttavia mai come in questa età essa ha avuto complicità idealmente così compatte e diffuse, mai ha potuto contare per la propria incidenza su mezzi di propalazione e di suggestione così potenti, così complessi, così estesi. Il colossale sistema di informazione a tutti i livelli e con tutti i media è aberrantemente inquinato, quasi si identifica con il sistema della menzogna” (p. 37)

Mi sembra opportuno ricordare al lettore che queste profetiche righe sono state scritte nel 1977: saremmo curiosi di conoscere quali profondi giudizi sociologici abbia maturato recentemente Gianfranceschi. Uno degli esiti del sistema è “l’allontanamento dell’uomo dalla propria immediatezza esistenziale” (p. 38): la menzogna più grande, “la deificazione del futuro, contro il piacere del presente”, giudicato irrimediabilmente perduto, assieme al passato, che pochi eletti sanno venerare con la dovuta cura.

Gli omosessuali, sconvolti dalle promesse della nuova utopia, si spingono oltre: “Non si accontentano della tolleranza, essi protestano contro la relegazione alla marginalità, e reclamano per l’essere umano la liberazione dalla polarità dei sessi, con implicita intenzione oppressiva verso coloro che liberamente giudicano e praticano quella polarità come una delle donazioni più cospicue dell’esistenza” (p. 43). Finalmente Gianfranceschi scopre il complotto omosessuale per distruggere la polarità dei sessi ed opprimere gli eterosessuali: il tutto nel segno del sistema della menzogna.

Ma ecco la logica presentarsi, singolarmente, tra le pagine dell’autore: “La menzogna è già nel linguaggio, al quale siamo assuefatti” (p. 45). Dalla lotta, sostiene Gianfranceschi, si è passati alla ricerca, ma di gruppo, gruppo in cui i membri sono strumenti. Ed ecco la sagace definizione della ricerca creata dal sistema della menzogna: “La ricerca è puramente esteriore, non ha alcun collegamento con l’interiore dell’uomo, di cui sistematicamente si disinteressa, considerandolo una topologia viziosa (…) non è il viaggio di Ulisse, che cerca Itaca e ad essa si avvicina ad ogni avventura: è la tela di Penelope” (p. 49). Decisamente apocalittico.

Giungiamo ad analizzare il contributo dato dalle scienze umane: “Le cosiddette scienze umane producono una vasta letteratura divulgativa che (…) incrementa la paurosa fluttuazione dei punti di riferimento. (…) L’aggettivo umano diventa quindi evanescente (…) Per loro l’uomo è un’insopportabile anomalia da ricondurre entro un ordinato casellario. (…) Sarebbe finalmente più esatto parlare di scienze disumane” (p. 51). E ancora: “Le scienze umane non spiegano il comportamento; lo rendono incomprensibile. Non correggono e non migliorano il costume; lo disintegrano (…) Alla fine le scienze umane sono talmente poco scienze da ripudiare spesso il supremo equilibrio che dovrebbe rimanere inseparabile dal concetto della loro definizione (…) la loro è una terroristica supercoscienza rivoluzionaria” (p. 55-56). Limpido.

Sobria la clausola, omaggio al romanzo di Koestler “Le squillo”: “Chi sono le squillo? Sono gli scienziati, gli psicologi, i sociologi che frequentano gli Istituti e i Centri (…) Si può forse stabilire ciò che fa più felice un babbuino, ma è molto più complicato descrivere ciò che fa felice un uomo” (p. 64-65).

Se tra i lettori qualcuno nutriva dubbi in merito all’ideologia della Rivoluzione Francese, Gianfranceschi prontamente spiega: “Nonostante la sua enorme carica di rottura contro una tradizione millenaria, aveva un ideale di moralità (repressiva, si direbbe oggi) che, per quanto possa suonare strano agli orecchianti, si ricollegava all’antico e retoricissimo modello della romanità” (p. 56). Ovviamente.

Il problema del controllo delle nascite nel terzo mondo è presto risolto: “Statisticamente, persino nei paesi sottosviluppati e di maggiore densità demografica (quelli per i quali siamo invitati a piangere, un po’ vergognandoci delle nostre colpe e un po’ disprezzando la loro prolificità), l’incremento della popolazione ha sempre conciso con un aumento del reddito individuale (…) se gli uomini del passato avessero ragionato al pari dei seguaci del tardo illuminismo, l’umanità si sarebbe probabilmente estinta da gran tempo” (p. 76-77). L’autore ha risolto i problemi della fame nel mondo: che tutti i poveri proliferino, subito i redditi individuali aumenteranno. Gianfranceschi riferisce, come fiore all’occhiello, le penetranti riflessioni dello “psicologo in vena di buon senso” (sic) Ignazio Maiore, in merito alle polemiche susseguenti alla pubblicazione del libro della Fallaci “Lettera a un bambino mai nato”. “Una donna che rinuncia alla maternità avrà delle ottime ragioni sociali, politiche e di scelta (sic), ma rinuncia a buona parte della sua femminilità: è molto meno donna. Ciò rappresenta una minorazione, una disgrazia” (p. 85). Ecco gli sconcertanti esiti del sistema della menzogna: l’ideologia progressista. È inquietante avere vissuto di tanta disinformazione: spontaneamente offriamo il fianco alle nuovi correnti culturali, perché ci mostrino con sempre maggiore acume i nostri errori.

L’uguaglianza, scopriamo dal nostro, è una menzogna: dovremmo infatti riscoprire “il legittimo piacere della disuguaglianza” (p. 122). I rischi? È presto detto: “I giovani che non riescono a loro volta a diventare burocrati o rivoluzionari ricchi, né riescono a eliminare il veleno dell’Utopia, cadono facilmente in due tentazioni: l’estremismo gruppuscolare e la droga” (p. 102). Che non manca mai, in questi casi. Infatti, “Un’onesta, spregiudicata analisi(…) rivelerebbe che nei giovani l’avvio all’uso degli stupefacenti è favorito dalle delusioni della rivoluzione” (p. 102). Sono spaventato.

Appare finalmente una conclusione alle riflessioni di Gianfranceschi: “Adesso l’unico paradigma è la negazione di tutti i paradigmi (a meno che non siano operativi). Tutto è messo puntigliosamente in discussione, con un vanitoso e interminabile ron-ron (sic) , alimentato da piccole idee contingenti che trasformano il giusto nell’esecrabile” (p. 56).

Chiedo perdono a me stesso per aver dedicato del tempo alla lettura di questo libro: ho ritenuto che parlarne potesse essere di comune interesse, considerando che Gianfranceschi è stato per oltre venti anni il responsabile della terza pagina de “Il Tempo”, che è stato, a suo tempo, parte del Far, e ricordando, con rammarico, che è salutato da tempo come “intellettuale” da Alleanza Nazionale, uno dei primi tre partiti italiani.

INTERMEZZO, o REPLICA (1981, 1964). Può essere opportuno richiamare le posizioni di Isaiah Berlin, studioso originario di Riga, ex Fellow di All Souls ad Oxford, in merito al pregiudizio. Tra le pagine del volume primo della “pubblicazione permanente” Adelphiana, splendido esempio di trasposizione di una sperimentazione virtuale sulla carta stampata, si può individuare questo frammento, di rilevante interesse nella trattazione sistematica della menzogna. Si tratta di uno scritto che propugna con orgoglio ed equilibrio l’essenziale importanza della libertà di pensiero. Sembra provenire da appunti, risalenti al 1981, destinati a costituire una sorta di viatico per un ciclo di conferenze di un collega che ha preferito rimanere nell’anonimato.

Poche cose hanno fatto più danno della credenza da parte di individui o gruppi (o tribù o Stati o nazioni o Chiese) che lui, o lei, o essi sono i soli possessori della verità, soprattutto riguardo a come vivere, che cosa essere e fare – e che chi la pensa diversamente non solo sbaglia, ma è un malvagio o un pazzo, e bisogna rinchiuderlo o eliminarlo. È una terribile e pericolosa arroganza credere che siamo i soli ad avere ragione, che abbiamo un occhio magico che vede la verità, e che gli altri, per il solo fatto che dissentono, non possono avere ragione […]. La certezza intuitiva non può sostituire la conoscenza empirica accuratamente verificata che poggia sull’osservazione e l’esperimento e la libera discussione tra gli uomini: le prime persone che i totalitari distruggono o riducono al silenzio sono gli uomini di pensiero e le menti libere” (“Adelphiana”, pubblicazione permanente, volume primo, pp. 97-102: Adelphi, Milano, 2002).

Cioran, nel saggio "È scettico il demonio?", contenuto ne "La caduta nel tempo" (1964), scriveva: “Infeudarsi, assoggettarsi, ecco l’occupazione principale di tutti. E proprio questo lo scettico rifiuta. Eppure sa che decidersi a servire equivale a salvarsi, perché significa aver fatto una scelta; e ogni scelta è una sfida al vago, alla maledizione, all’infinito. Gli uomini hanno bisogno di punti d’appoggio, vogliono la certezza a ogni costo, anche a spese della verità. Poiché essa è corroborante, e loro non possono farne a meno anche quando sanno che è menzognera, non ci sarà scrupolo capace di trattenerli dallo sforzo di procurarsela”.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fausto Gianfranceschi (Roma, 1928 – Roma, 2012), giornalista, saggista e narratore italiano. Ha diretto per oltre vent’anni la terza pagina del quotidiano “Il Tempo”.

Fausto Gianfranceschi, “Il sistema della menzogna e la degradazione del piacere”, Rusconi, Milano, 1977.

Gianfranco Franchi, febbraio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.