Einaudi
1997
9788806146634
La borghesia ebraica praghese infestata dalla ferocia dell'amministrazione nazista e ridotta a vivere le sue giornate sotto l'assedio di una paranoia violentissima, ingovernabile, nella nostalgia della perduta quotidianità, della smarrita normalità, degli svaniti riti: la fede e la spiritualità costrette a cronici esami di coscienza (sulla natura dell'ebraismo, sulla possibilità della speranza, sulla predestinazione alla sofferenza); il futuro spolpato e disarticolato, confuso e poi escluso; l'esordio di Ladislav Fuks [Praga, 1923 – Praga, 1994], artista amato da Ripellino, è una pagina di letteratura grottesca, inquietante e drammatica. Pan Theodor Mundstock è originariamente apparso in patria nel 1963; dalle nostre parti è stato stampato, sin qua, soltanto nel 1997, come Il signor Theodor Mundstock [Einaudi, 1997; euro 12, pp. 224; trad. F. Brignole]; mentre scrivo è irreperibile da un pezzo. Cosa stiamo trascurando? Cosa ci stiamo perdendo per strada? Provo a dare qualche risposta e qualche coordinata.
Fuks scrive tenendo presente la lezione kafkiana: le atmosfere sono intrise di assurdo, di nonsense, di vivo contrasto tra fredde e stupide leggi e inquietudine e incandescenza animica; ciò che Kafka aveva presagito e preconizzato, Fuks ha invece vissuto, ventenne o giù di lì, sconvolto dalla spietatezza del nazismo. Fuks ha poi estetizzato, a vent'anni di distanza dalle sue esperienze, ormai quarantenne, lo smarrimento sconfinato di una generazione di ebrei praghesi: l'incredulità di fronte alle deportazioni, alle confische, alle cattiverie, in genere. La ricerca di un senso che non c'è, di una responsabilità collettiva che non può esistere, di una via di fuga impossibile. In più, di differente e caratterizzante, c'è la descrizione delicata e fragile di un sentimento d'amore omosessuale che rimane incompiuto; è appena evocato, resta nell'aria, elegiaco, finisce per far parte di quel futuro che poteva (doveva) essere ma il nazismo ha sfigurato e ucciso.
Il protagonista del Signor Theodor è un paranoico. Un paranoico che, a partire dal primo giorno dell'occupazione tedesca, ha iniziato a essere visitato da un'ombra, Mon: Mon è una presenza che sa dargli il tormento, piomba all'improvviso e parla, racconta e spiega, razionalizza a tutto spiano, ma Theodor "si ribella alle sue parole come un cavallo alle redini di un cavaliere che precipita in un abisso" [p. 63]. Theodor vive nell'angoscia cronica della deportazione: ha già perso il lavoro (stava in una ditta di canapa e corde) ed è stato costretto a trasformarsi in improbabile spazzino; come unica compagnia, in casa (esclusa l'ombra parlante) ha una piccola gallina; vede tutto ciò che lo circonda come destinato a una dissoluzione irragionevole e immotivata. Amici, abitudini, vicinato, feste. E così, cerca di distrarsi dal chiodo fisso della deportazione, della morte e della distruzione (di sé, della sua gente, del suo mondo, in generale) allenandosi a quel che verrà: magari, per dire, dormendo su una panca per prepararsi alle "brande" del lager, o cercando di abituarsi al calore dei forni dal panettiere. Eppure, come osservava Chiarloni, sull'Indice, in questo libro è "quasi assente il carnefice. S'intravede appena il bagliore di un elmo, o il grigio cappotto di cuoio delle gestapo mentre una perentoria, anonima violenza sibila nell'aria con schegge taglienti di comandi in tedesco. Al centro del testo è il gruppo composito delle vittime predestinate: cittadini privati di ogni diritto, esistenze in trappola con la stella gialla puntata al petto". A questo nemico nazista non serve più manifestarsi: ha già incendiato il presente a dovere, ormai gli basta soltanto lasciarsi intravedere, a questo punto gli basta fare un cenno per atterrire e costringere a obbedire.
Fuks scrive contemplando l'epilogo di quel mondo con un angosciante fatalismo: tendenzialmente a voler ribadire al lettore distratto che non poteva esserci alternativa, nel 1942, a un certo destino; probabilmente per evitarci rifugi o consolazioni immaginarie, né sentimentali né utopiche né religiose, niente. Già nelle prime pagine del romanzo Theodor, parlando con la gallinella, ammoniva: "La peggior cosa che ci sia è perdere la speranza. Perdere la speranza è la peggiore cosa che possa capitare a un uomo. Senza la speranza anche un ricco è un mendicante, figuriamoci poi noi, poveracci con la stella [...]. Ah se sapessi di una qualche via, aiuterei tutti, tutti aiuterei, che portino la stella o non la portino, in fondo sono dei poveracci come noi [...]. Ma io non so di nessuna salvezza. Non so nulla". Theodor vive nella piena coscienza che esistano "pensieri che schiacciano un uomo, disperazioni grevi come pietre di piramidi egizie": in questo libro svicola e sfugge come può, infine decide di liberarsi da ciò che era scritto.
Ho incontrato questo libro per caso, in un mercatino di Monteverde Vecchio; avevo appena memorizzato il nome dell'artista, per via della pubblicazione recente di una nuova edizione del suo libro più apprezzato, vale a dire il suo secondo romanzo, Il bruciacadaveri [Spalovač mrtvol, 1967] per merito della Miraggi di Torino: mancava dalle nostre librerie dal lontano 1972, per tempo era stato benedetto da Ripellino, successivamente era stato ingiustamente dimenticato. Immagino che sorte simile toccherà a Pan Theodor Mundstock.
Gianfranco Franchi, aprile 2019.
Per approfondire: Fuks in wiki en / dietro le parole / Sergio Nelli per Primo Amore
Pan Theodor Mundstock è originariamente apparso in patria nel 1963; dalle nostre parti è stato stampato, sin qua, soltanto nel 1997, come Il signor Theodor Mundstock [Einaudi, 1997; euro 12, pp. 224; trad. F. Brignole]; mentre scrivo è irreperibile da un pezzo. Cosa stiamo trascurando? Cosa ci stiamo perdendo per strada? Provo a dare qualche risposta e qualche coordinata.