Elliot Edizioni
2008
9788861920453
“Il mondo è democratico: ride di tutto” (Enrico Pea)
Magnifico laterale, autodidatta e autobiografico, il toscano Enrico Pea (1881-1958) è stato una limpida espressione del suo territorio (retroterra lucchese) e un atipico cantore delle sorti del suo popolo, ferito ma orgoglioso della sua essenza. Ferito dalla povertà, dalla miseria, dalla precarietà dell'esistenza, dalla follia: e tuttavia innamorato della vita, disperatamente.
“Il romanzo di Moscardino” comprende quattro romanzi brevi: “Moscardino” (1922), “Il volto santo” (1924), “Magoometto” (1942), “Il servitore del diavolo” (1931). Prima edizione completa: Garzanti, 1944; quindi, Einaudi, fine anni Settanta, su iniziativa di Calvino, con la grave e irragionevole rinuncia al terzo libro, “Magoometto”. È merito delle edizioni Elliot di Roma se, a sessantaquattro anni di distanza dalla prima pubblicazione, possiamo tornare a studiare e amare l'opera di questo scrittore caro a Pound (suo traduttore negli States: 1955), Puccini, Svevo, Montale, Ungaretti: scrittore amato dai letterati e paradossalmente ma non troppo oggi dimenticato.
Incipit della saga, ambientata nella provincia di Lucca. Romanzo primo (“Moscardino”), ecco la storia della bisnonna Pellegrina e della sua vedovanza: il nonno del narratore era il più piccolo dei tre figli. Reduce dalla guerra del quarantotto, contro gli austriaci, avventuriero ed eroe al fronte, s'era innamorato d'una serva, Cleofe, e aveva concepito la madre del narratore. Ma Cleofe viveva in quella casa come fosse una casa di ombre; nemmeno gli altri fratelli le davano pace, soprattutto il Taciturno. Pazzo di gelosia, il nonno cerca di uccidersi. Sventrato. Si ritrova provvisoriamente in manicomio, a Lucca. A sciupare la vita. Da questo estremo amore e dalle sue rovine il narratore ci accompagna nella sua infanzia, ai suoi nove anni. Viveva col nonno, finalmente calmo dopo il sangue alla testa negli anni della guerra e dell'amore; e con la madre serva e un fratellino malato. Il padre era morto.
È quello strano nonno a educarlo alla vita. Nonostante quella corrente di follia che ogni tanto lo prende ancora, spingendolo alla devastazione. D'altra parte, “Nessuno è tutto savio. Nessuno è tutto matto: è questione di equilibrio. La misura è data dall'interesse che hanno alcuni mezzi savi e mezzi matti, i quali giudicano dei loro simili, mezzi savi e mezzi matti come loro” (p. 68). È questione di misura, come quando ci si ubriaca. “La misura è quella che conta in tutte le cose”, leggeremo più avanti. “Se oltrepassi una certa misura, sei un'altra cosa da quella che eri prima” (p. 107). Domandiamoci allora qual è la misura del nostro tempo.
Nel secondo libro, “Il volto santo”, l'ouverture è proto-basagliana: si ragiona dei matti, delle loro condizioni, di strategie per recuperarli e reintegrarli. L'ex internato ha paura di non riuscire a ritrovare il suo posto:
“(...) si convinceva sempre più che aveva ragione quel galeotto, rimesso in libertà dopo tanti anni di prigionia, che si spaventò della vita libera nella città grande, i cui posti per vivere erano tutti presi. Ribussò alla porta della prigione, ma non lo riconobbero e non vollero aprire a un estraneo: anche lì i posti erano tutti presi” (p. 99).
Così, il nonno comincia a scrivere, giocando e sfogando: per un teatro. Nel romanzo si parla degli emigranti (America...). I lucchesi “vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca: si raccomandano al Volto Santo perché nessun prodotto della terra scemi, anche se il campo viene seminato a fagioli, a danno del grano e del granturco” (p. 82). Intanto, nella famiglia di Moscardino, il nonno continua a essere ossessionato dalla perduta Cleofe: la vede dappertutto. L'amore è una follia, l'amplesso una necessità (p. 150): le donne sono “campi da coltivare”, e forse è difficile sradicare certa erba maligna, se un'ombra sostituisce l'anima e la carne tanto amata. Il padre, invece, rimane mistero: morto a trentatré anni, prima che il piccolo Moscardino potesse capirlo e conoscerlo, non ha lasciato immagine di sé. Corso esule, la sua sparizione mitizza Ajaccio e Bastia, patrie lontane e perdute.
Nel terzo libro, “Magoometto”, memorie d'infanzia dei tre fratellini senza padre; tre orfani con una madre di ventiquattro anni, senza beni né lavoro, un nonno ex pazzo a supervisionare la loro vita. A educarli ai significati, a riconoscere giustizia, a stabilire senso.
Si racconta della rissosità di Moscardino, della bellezza di sua madre (in lei, il nonno rivedeva Cleofe), del Magoometto: quello che converte i ragazzi in scimmie, patrono della fola. Può far nascere la coda ai ragazzi. Né uomo né donna, nessuno mai è riuscito a vederlo. È mago e ometto; non ha pietà di nessuno, non è né il diavolo né l'angelo custode. È un trickster.
Si racconta delle difficoltà delle vite dei contadini, delle malattie, della precarietà e dei rovesci della sorte; della loro alimentazione, delle loro condizioni di sopravvivenza. Infine, della decisione del narratore di lasciare la Toscana alla volta dell'Egitto, in cerca di fortuna. Il terzo libro è, da un punto di vista storico-documentaristico, fondamentale per la narrazione del lucchese e della vita agreste toscana a cavallo tra fine Ottocento e primo Novecento. Pea spumeggia di descrizioni seducenti e vivaci, sia dal punto di vista delle dinamiche delle interazioni sociali, sia dal punto di vista del lessico popolano, sia dal punto di vista naturistico. Non sorprende, a latere, a dispetto della rimozione collettiva, la facilità e l'inevitabilità dello sguardo verso la terra promessa, l'America, al di là dell'oceano, là dove la ricchezza sembra a portata di mano per tutti i figli del nostro sfortunato popolo. Quasi fosse una questione di opportunità: quasi coincidesse col merito.
Scriveva Ungaretti che Pea “Ha dei momenti che ti sorprendono per densità, proprietà, violenza, vastità di azzurro, per un'umanità intagliata in una parola tutt'ancora umida di terra – e brillante di rugiada – come un'erba spuntata a ridere nel sole, una mattina bella: come solamente Giotto e chi sa chi altro nel mondo hanno saputo fare”. È una lettura lirica e condivisibile; sembra, infatti, che Pea scriva posseduto da un demone gentile e crudo, intenso sino al parossismo e avvelenato dal dolore: un dolore che si fa letteratura, e come letteratura si disintegra e si trasforma. Il male è non nominare gli spettri. Non trasfigurarli. Il male è dimenticare di indicare i nemici. Non ammonire il lettore.
Il quarto libro, “Il servitore del diavolo”, racconta del periodo in Egitto, nella Baracca Rossa, in una sorta di comune di ribelli, senza Dio e senza padrone, senza bandiere. Al servizio del “diavolo”, a fianco di Giuda. Giuda, da quelle parti, è un nome comune. Giuda crede che la scienza sia dio. L'allegoria è presto rivelata: “Mi assillò il dubbio che questo Lucifero mancino fosse lo stesso mio padrone, capace di assumere gli aspetti che vuole, e di essere nello stesso tempo più persone e in diversi luoghi. Se il Diavolo mio padrone fosse Giuda, mio amico e maestro?” (p. 343).
Moscardino conclude la sua epopea ritrovandosi sotto padrone, consapevole della sua schiavitù. Ma è questa sua consapevolezza a rivelarsi prodromica d'un'azione, e d'un cambiamento, che senza dubbio l'artista conoscerà. Grazie a chi ha deciso di restituirlo alla luce, e al nostro tempo. Pea onora la Letteratura Italiana.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Enrico Pea (Seravezza, Lucca, 1881 – Forte dei Marmi, 1958), poeta, scrittore e impresario teatrale italiano. Autodidatta, fu apprezzato da Giacomo Puccini, Italo Svevo, Italo Calvino, Ezra Pound, Eugenio Montale.
Enrico Pea, “Il romanzo di Moscardino”, Elliot, Roma 2008.
Postfazione (sulla genesi del “Romanzo di Moscardino”) di Enrico Lorenzetti. Include una Notizia sulle precedenti edizioni a stampa. In redazione, Marta Pensi. Copertina di Maurizio Ceccato. Collana Raggi.
Prima edizione: “Moscardino”, Treves, 1922.
“Il romanzo di Moscardino” comprende quattro romanzi brevi: “Moscardino”, “Il volto santo”, “Magoometto”, “Il servitore del diavolo”. Prima edizione: Garzanti, 1944; quindi, Einaudi, fine anni Settanta, su iniziativa di Calvino.
Gianfranco Franchi, novembre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“Il romanzo di Moscardino” comprende quattro romanzi brevi: “Moscardino” (1922), “Il volto santo” (1924), “Magoometto” (1942), “Il servitore del diavolo” (1931).