Il revisionista

Il revisionista Book Cover Il revisionista
Miranda Mellis
Nutrimenti
2008
9788895842059

Visionaria stagione all’inferno dell’artista americana Miranda Mellis, “Il revisionista” è un romanzo distopico, apocalittico e allucinato: illustrato dalle meravigliose incisioni del poliedrico editor Derek White, tradotto da un Leonardo Luccone in stato di grazia, è un libro destinato a restare scolpito nell’immaginario della nuova generazione – si propone come paradigma d’una scrittura capace di fondere inferni boschiani e divertimenti à la Dalì, con un lessico essenziale e scabro. Fosse una pittrice, la Mellis avrebbe il genio nervoso del grande espressionista austriaco: la sua visione profonda della fatiscenza dell’umanità, dell’addio della bellezza, della renitenza alla pietà.

Entriamo nel decomposto futuro del revisionista, misterioso protagonista e io narrante di questa novella: un committente senza nome l’ha destinato a un faro, nel mezzo d’una discarica, a monitorare le condizioni climatiche e rassicurare i cittadini. Mentendo. Il revisionista è uno strumento di propaganda. Chi altera la realtà ne abiura l’essenza, confonde le sue stesse percezioni sino a trasfigurarle: le traduce infine nell’incubo più lucido della letteratura americana contemporanea.

Un faro abbandonato, poco fuori città. Dimenticate De Swarte e naturlich rifiutate reminiscenze Woolf: anzi, neither Woolf nor Wolf – Patrick. Siamo nel mezzo, si diceva, d’una discarica a cielo aperto. Pianoforti feriti dal tempo suonano note irregolari e tetre; cani ululano attorno ai bambini: si giocano della musica perduta. Poco distante, una bomba esplode sulla strada, alle spalle d’una famiglia in viaggio per le vacanze: il revisionista dichiara che le radiazioni sono innocue, intanto la tenebra addormenta il conosciuto presente. Allora edifici implodono e mutazioni sgranano i lineamenti d’un’umanità derelitta. Panico per le strade – intanto un’anziana tossisce frammenti di ossa e statuine sporche di sangue e cartilagine (p. 11). “Ha lavato le viscere delle preghiere nel lavandino e le ha appese allo stendibiancheria fuori dalla finestra”. Fotogrammi impazziti d’un’umanità dolente, un cieco e il suo cane-guida che guarda la televisione, mentre il tutor insegna al revisionista – strumento della menzogna d’uno Stato invisibile, e padrone – la visione remota, come dormire senza dormire, infine come trasmettere il pensiero a distanza. L’umanità cerca una via di fuga. Le radiazioni stanno combinando il presente.

Si popola allora l’Isola del Nuovo Inizio – si torna alla letteratura dell’Utopia là dove s’era interrotta: “The Island” di Aldous Huxley: abbiamo fame d’un mondo nuovo e non sappiamo nemmeno nominarlo, localizzarlo soltanto e nella carta, per la carta popolarlo – decidendo d’avere identità nuova e di dimenticare i ruoli; ruoli e sangue, e responsabilità e malattie, dovere di morire e di essere solidali. Scriveva un greco: “Nel concepire un ideale possiamo presumere quel che vogliamo, ma dovremmo evitare le impossibilità”.

Si presume di volere essere altro da sé e altro da tutto, ma non si riesce a sconfiggere la morte e la decadenza. La memoria s’annienta con un ghigno, e con le buone abitudini: mentire e spergiurare di non essere mai stati lì – di non essere mai stati noi – di non esserci appartenuti, affatto.

La nuova generazione è oppressa dalle mutazioni genetiche. I mutanti rimangono nel vecchio mondo, genitori decidono d’abbandonare il futuro al niente. Ripartire quindi da un’isola segreta, senza più nome, né storia. Né senso. Gli appuntamenti, d’altra parte, era diventati un patto con la morte. Morte.

Commenta altrove l’autrice: “A dar vita al Revisionista sono state la rabbia e la disperazione politica per la guerra e gli altri insulti al mondo perpetrati dal governo americano, primo tra tutti la mancata ratifica del protocollo di Kyoto. Mentre il governo e i suoi ‘selezionati’ esperti continuavano a minimizzare, uscirono tantissimi articoli sulla loro manipolazione dei dati climatici. Era come se stessero scrivendo fiction” - e allora questa è l’origine della radiazione solare e fertile che ha fondato l’invenzione d’un’opera come questa. Il dolore la rabbia la disperazione d’un presente malato di menzogna, e di autodistruzione. Siamo guardiani d’un faro che non illumina che i nostri resti: la nostra famiglia è in decomposizione, gli ideali sono il catrame che avvelena l’oceano.

Un uomo corre sul bagnasciuga, poi scompare nella sabbia, a testa in giù. Soltanto i polpastrelli delle dita dei piedi rimangono a sventolare, come uno stendardo: s’avvicina una donna e prende quelle dita per una conchiglia, e vuole sradicarla. Metamorfosi in atto e consegna della più grande conchiglia del mondo all’esame della scienza: sin quando non torna cosciente e si rovescia antropoide e dimessa (qual era il rumore del mare?)

La natura è scomparsa – esiste solo al supermercato, laddove cinguetta e grida l’umanità. L’oceano figlia cuccioli morti. Ricomponiamo il cadavere della conchiglia – intanto, una statua diventa dieci persone: allegorie, come in Rodin, ma vive: nello sguardo il colore dell’umanità prigioniera dell’autunno del nuovo medioevo. Corriamo con la testa tra le braccia, in circolo: una donna nuvola vuole infiammare le case di silenzio, e smarrirsi nel cielo a domandare pianeti nuovi. Eliot alle spalle, this is real. Unreal soltanto il suono del pianoforte nelle pagine prime: ascoltare quegli accordi è il viatico a questo sabba, allegorico-politico, ed esistenziale.

L’ultimo uomo sulla (sua) terra, clausola dell’opera dal retrogusto morselliano – Luccone vira di lusso sulla Dissipatio, nella bandella – è reminiscenza letteraria rivelatrice: volendo stabilire punti di riferimento plausibili per l’ispirazione dell’autrice, il pensiero non può che andare a quello splendido laterale che era M.P. Shiel, e alla sua “Nube purpurea” (quel che non distruggerà con le sue mani provvederà a distruggere la natura). Siamo dalle parti di quella letteratura ibrida, fantastica e fantascientifica: a pronosticare isole (la lezione di Golding non si dimentica) come paradigma nuovo, mentre nuova atlantide noi sprofondiamo nel non senso: che io non è, e io non ho, più niente.

Magnifico esordio d’una mente visionaria, “Il revisionista” è un piccolo must.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Miranda Mellis (San Francisco, California 1968), scrittrice e poetessa americana. Danzatrice per il Knee Jerk Dance Project, cofondatrice del circo più piccolo del mondo – The Turnbuckles – e John Hawkes Prize 2004 per la narrativa, insegna Scrittura al California College of the Arts e all’Università di San Francisco. Questo è il suo primo romanzo.

Miranda Mellis, “Il revisionista”, Nutrimenti, Roma 2008. Traduzione di Leonardo G. Luccone. Illustrazioni di Derek White. Collana Greenwich, 6.

Prima edizione: “The Revisionist”, 2007. Il titolo originario era 'Cutaway'. È stato Derek White – editor e illustratore dell’opera – a suggerire il titolo definitivo. L’opera è tra i Best American Fantasy 2008.

Dalla quarta: “Ho scritto 'Il revisionista' tra il 2003 e il 2006 a Providence, Rhode Island, su un vecchio Macintosh senza però smettere di prendere appunti e fare revisioni su carta”. Il titolo originario era "Cutaway".

Gianfranco Franchi, giugno 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.