Il Re che ride

Il Re che ride Book Cover Il Re che ride
Simone Barillari
Marsilio
2010
9788831707312

L'uomo che ha saputo ascoltare le viscere del paese per un ventennio, conscio di essere perfettamente parte di quelle viscere, s'è servito d'uno strumento per sondare il mood dei suoi elettori e dei suoi collaboratori. Quello strumento è il più ridicolo, volgare e grottesco esistente: la barzelletta. Secondo il sultano brianzolo le sue storielle servono a “pulire la testa” e “distendere i nervi”. Ma anche, osserva il suo nuovo, sottile ermeneuta Barillari, a “fissare un concetto”: in altre parole, a insegnare qualcosa. Cosa? Che “il potere dei tempi moderni è il potere di far ridere, e di far ridere, apparentemente, del potere stesso, che l'esercizio del potere consiste ormai nel ridere del potere mentre lo si esercita e nell'esercitare il potere mentre si ride”. Per Barillari, insomma, il potere dei tempi moderni è un “re che ride” e non ha nessuna paura d'essere deriso dal popolo, perché confida che il popolo rida con lui, perché “sa bene che il popolo ride anche di se stesso, quando ride del suo re”. Purtroppo.

Il signor B., imitatore e battutista apprezzato da un collega come Gino Bramieri, conosce oltre duemila storielle. È abituato a raccontarle nel corso d'ogni occasione pubblica e nei più impensabili contesti privati. Dev'essere uno che “racconta, in media, dieci o quindici barzellette al giorno e che se ne sente raccontare dalla sua cerchia quasi altrettante, e non dev'essere dunque inverosimile la congettura che il principale politico italiano dedichi normalmente alle barzellette un'ora buona della sua giornata se non di più, perché trascorre il suo tempo non solo a leggerle, a raccontarle e ad ascoltare chi gliele racconta, ma anche a provarle e riprovarle”. Con tanto di “collaudatore di barzellette”. Sì, è un lavoro.

Il signor B. è nato negli anni Trenta. Barillari rileva che nella sua epoca le barzellette erano la “materia prima della comicità”, al cinematografo come alla radio come nelle testate umoristiche. E ricorda che il primo dei molti mestieri dell'uomo di Arcore è stato quello dell'intrattenitore comico, negli anni in cui “mescolava frizzanti sketch alle sdolcinate canzoni francesi di Gilbert Bécaud”. Questo imprint, e questa particolare formazione, sono diventate – incredibile a dirsi ma è andata così – parte integrante del suo bagaglio politico. Barillari registra che si tratta di “numeri di avanspettacolo in cui dialoga con il pubblico”. Questi numeri sono archiviati con cura certosina e metodica dedizione filologica in questo libro, “Il Re che ride” (Marsilio, 2010), raccolta in ordine cronologico delle boutade del protagonista e del primo responsabile della decadenza e della disfatta della vita politica, culturale ed economica del Paese.

Il gran letterato Simone Barillari, consulente editoriale e intellettuale classe 1971, ha suddiviso simbolicamente le storielle del premier in cinque sezioni, corrispondenti rispettivamente al primo governo B., ai suoi primi anni di opposizione, al suo secondo e terzo governo, al suo breve ritorno all'opposizione sotto governo Prodi, al suo quarto e pericoloso governo.

Le storielle raccontate nel breve periodo del suo primo governo vedono il signor B. protagonista delle sue stesse barzellette. Quando in accezione messianica (erano gli anni della farsa esecrabile e catodica del “nuovo miracolo italiano”), quando in poco credibile accesso autoironico (erano i giorni delle cannonate arcoridi sul “milione di posti di lavoro”). Barillari registra che il cofondatore di Forza Italia raccontava battute a Mubarak con l'allegria di tutti i giorni, nonostante avesse appena ricevuto un avviso di garanzia per corruzione della Guardia di Finanza. Da vero commediante. E da vero commediante dedicherà, per anni, storielle alle fiamme gialle, comparate quando ai ladri quando ai rapinatori. Simpatico.

E poi si passa ai sei anni d'opposizione, tra governo Dini, Prodi e D'Alema. S'intravede, per prima, la strategia di umiliazione dell'ex alleato – in questo frangente, Bossi e la Lega – nelle nuove boutade dell'ex datore di lavoro di Mangano. D'altra parte, come registra Barillari, essere parte delle barzellette di B. non è solo un'umiliazione, è anche un “obliquo onore, un perverso premio alla carriera”. Quindi, con chiarezza, ecco l'epifania del nemico politico, bersagliato a tutto spiano. Barillari rileva che Prodi dev'essere stato particolarmente temuto dal presidente del Milan, perché a lui ha dedicato abbondanti boutade, soffrendone il “calmo carisma”. Particolarmente sgradevoli quella sul “culo con gli occhiali” nominato presidente del consiglio, per esempio, oppure sull'emicrania di Prodi che va ribattezzata “orchite”. Ma la cattiveria ciclopica per antonomasia è quella dedicata a Fini. Barillari racconta che un giorno, a poche settimane dalle elezioni, Berlusconi si presentò a una riunione scuro in volto, e riferì tutto serio, come se ne fosse stato appena informato dall'Ansa, che s'era scoperto che un parente del Presidente di An era morto ad Auschwitz. E allora, “per un quarto d'ora Berlusconi continuò ad andare in su e giù per la stanza e a imprecare contro quell'improvvida notizia, paventando che il suo grande rivale dentro lo schieramento di centrodestra avrebbe sfruttato questa nobilitante parentela per far dimenticare i suoi trascorsi giovanili nella destra reazionaria e dare di sé una nuova e più rassicurante immagine politica”. Tenne il gioco sin quando uno dei suoi collaboratori riuscì a domandargli com'era morto il leggendario parente di Gianfranco Fini. E allora mister B. distese i muscoli del viso in un sorrisone da pulcinella e disse, mezzo amaro e mezzo ridanciano: “è precipitato da una torretta”. Grasse risate. E i tre collaboratori che non capirono la battuta furono licenziati. Non male.

Torniamo, per un momento, agli anni di berlusconate d'opposizione. Rimangono forti le storielle autoreferenziali e vagamente agiografiche, come quella del Berlusconi che per essere finalmente eliminato va abbattuto dopo tutta una serie di peripezie e di dinamiche clamorose, a rappresentare “il sogno onnipotente di essere imprendibile e insieme l'infinito incubo di essere preso, l'implacabile visione notturna delle persecuzioni contro di lui e delle sue beffe ai persecutori”. Atroci le cattiverie ciniche, come quella sulle sabbiature per il malato di Aids, detta a una platea di medici: per infamie come questa il signore di Arcore non ha mai domandato scusa, e non s'è mai pentito, ricorda Barillari. Nel biennio del secondo governo Prodi, invece, B. racconta storielle sulle promesse elettorali sbagliate e mendaci (da intenditore). Ma non basta. Negli anni del secondo e terzo governo B., il presidente del Consiglio guadagna il titolo di “re delle trivialità” in Germania, per via delle sue bassezze. Berlusconi diventa “Zotenkönig”: il burino per eccellenza. Superba, in questo senso, la storiella raccontata a Clinton nei giorni dello scandalo della stagista: si parla di lettere tatuate sul pene (e di come leggerle a dovere, post erezione). Che gran gusto. Non mancano le solite battute sui kapò e sugli ebrei, durante un comizio. Un quotidiano le giudica “pornografia della mente”. In quegli anni, secondo Barillari, il ritorno al potere dell'uomo di Arcore stava a rappresentare un'accettazione, da parte della maggioranza del Paese, della “anomalia istituzionale” che egli rappresenta e sempre ha rappresentato, e della pericolosa questione del conflitto d'interessi: e così Berlusconi s'è sentito accettato nella sua interezza, diciamo così, e s'è mostrato più aperto. Ha perduto qualche freno inibitorio, ecco. E allora, tra le tante storielle, particolarmente irritanti e offensive, considerando la metodica distruzione dei diritti dei lavoratori avvenuta sotto i suoi governi, registriamo le battute contro i disoccupati e i precari. E tristemente profetiche sono quelle sessiste, contro le donne. A Berlusconi basta vedere un refuso su un cartellone (“Siciglia” per “Sicilia”) per motteggiare sull'ossessione femminile per il punto G.

Eccoci, finalmente – si fa per dire – nei giorni assurdi che stiamo vivendo, quelli del quarto governo del signor B. Si direbbe che sia salito il tono, considerando le feroci cattiverie rivolte agli ex comunisti o quella dedicata, in contesto delicato e pubblico, a Bossi e al “vero” lavoro di sua madre; oppure, basti pensare alla sessuomania mostruosa della storiella della “mela brevettata” con due sapori (indovinate quali?), o delle varie poseidoniche imprese di questo povero vecchio malato di grandezza, e di fallocentrismo. Barillari poi non dimentica quella della bellezza orchidea di Rosy Bindi (con bestemmia) o al gran ritorno di Hitler “stavolta cattivo”. Cosa manca? Niente. Manca la nostra storiella da raccontare ai nipoti. Della vergogna che abbiamo provato, da cittadini liberi, onesti e democratici, a vivere sotto l'egida berlusconiana e dei suoi scherani e dei suoi elettori per tanti anni: e della gioia assoluta che sentiremo quando quell'uomo cadrà. Trascinando via con sé, è una speranza, tutto quel che ha rappresentato. Più di tutto: la sua assurda, mostruosa prepotenza, e la sua intollerabile ignoranza. In una parola, la sua volgarità.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Simone Barillari (1971), consulente editoriale, traduttore, critico letterario (già “Alias”, “Pulp”, “Nuovi Argomenti”). Ha dato l'imprint ad Alet. Dirige una collana per Minimum Fax (“Indi-Pulitzer”). Si dice che un giorno pubblicherà un grande romanzo.

Simone Barillari, “Il Re che ride”, Marsilio, Venezia 2010. Con la collaborazione di Nicola Baldoni ed Emmanuela Nese. In appendice, bibliografia.

Approfondimento in rete: Oblique

Gianfranco Franchi, novembre 2010.

Prima pubblicazione: Secolo d'Italia. A ruota, Lankelot.

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SEMPRE A PROPOSITO DEL "RE CHE RIDE"...

Da diversi anni s'attende la pubblicazione del primo romanzo del consulente editoriale più snob e d'avanguardia dell'ultima generazione, già direttore editoriale e padrino della prima, esemplare Alet da Padova. Simone Barillari, al di là di qualche cameo come direttore di collana in Socrates o in Minimum Fax, sembra riuscito a darsi alla macchia da un pezzo.

Dalla macchia riemerge con questo inatteso esordio: un'antologia delle più caratteristiche, ciniche e volgari “storielle” raccontate o coniate dal sultano di Arcore, ammirato da Gino Bramieri per i suoi istrionici talenti, considerato, almeno dalle parti di Tripoli e di Mosca, “grande statista”. Barillari ha studiato ricorrenze, aporie, tic e manie delle battute del premier; e ha glossato le più rappresentative, con compostezza e serietà. Ne deriva un quadro di singolare intelligenza e profonda, inconsolabile umiliazione per tutta quella parte del Paese che nel frattempo ha sofferto e soffre per la vergogna d'essere non solo concittadina, ma suddita – in quanto governata e con il massimo arbitrio – di quel signore là.

In appendice, una ricca bibliografia conferma che Barillari non ha inventato niente: purtroppo questo libro non appartiene al genere squalificante delle amene antologie di “barzellette” tottiane, come la penalizzante copertina (sembra una vecchia Malatempora) potrebbe far pensare istantaneamente. Siamo dalle parti degli studi ragionati e meditati, destinati a dare adeguato sostegno al lettore sia in sede partitica e politica, sia (un giorno) in sede storico-documentaristica. Perché sì, dovrà capitare, dovrà succedere: un giorno, finalmente, definitivamente, mister B. cadrà e porterà via con sé il circo bestiale che c'ha imposto per un ventennio.

Cosa racconteremo ai nipotini? Che non c'era più niente da ridere, a un certo punto; e tuttavia, per tanti anni, la cifra stilistica di questa nazione era stata il ridicolo: non passava giorno che non succedesse qualcosa di ridicolo. Bastava leggere certi quotidiani, house horgan di casa B., o accendere la tv. E poi un giorno, esausti, abbiamo spento tutto...

Gianfranco Franchi, novembre 2010. Prima pubblicazione: BlowUp

L’inatteso esordio del letterato patavino Simone Barillari…

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