Mondadori
2002
9788804508601
Storia della fuga di un uomo, e della sua rinuncia all’evasione dalla realtà; storia del crepuscolo dell’anima di un uomo che ha smarrito la percezione del confine tra ciò che è bene e ciò che è male, e vive, “con la felicità cancellata dalla faccia e il sorriso rimasto lì, come il superstite da un naufragio”, nell’attesa di ritrovare il senso, riconoscere una direzione, aderire ad un’idea. Come il superstite da un naufragio: ed è un naufragio, quello del proprio spirito, che gli ha rubato il nome.
Messico, anni Trenta. Ritorno al primo cristianesimo per i ministri di Dio dei cattolici: perseguitati, assassinati o costretti al matrimonio, i preti vivono braccati e segregati nella silenziosa attesa del martirio. Protagonista della vicenda è un prete, prima disprezzato dal popolo per la sua condotta licenziosa, e adesso, se non difeso, almeno sostenuto con la disperata fermezza di chi si appella alla sopravvivenza dei simboli del tempo perduto: perde importanza, addirittura, la sua estenuata e impoverita fede. Questo prete senza nome è divenuto il simulacro di quel che fu: accetta di officiare le messe, accetta di battezzare e confessare i contadini, vivendo nel precipizio del rispetto di se stesso e nella consacrazione dello scheletro della normalità perduta. Ammette di essere uno di quei sacerdoti che il popolo chiamava “preti spugna”, alcolisti e opportunisti, preti spretati dal popolo stesso e tollerati dai porporati; confessa d’esser caduto in peccato mortale, stenta a riconoscere la salvezza nella parola di Dio, e non sa consolare più, e non può perdonare affatto: perché non sa perdonare se stesso, e affonda, poco a poco, nella palude soffocante del rimorso. E allora fugge, braccato da un sergente senza nome: figura letterariamente necessaria, questa del sergente, contraltare complementare della figura del prete senza nome. Il prete non sa vincere il suo istinto di sopravvivenza: officia, quando e come può, eppure lotta fino all’estenuazione per non essere catturato e rimanere in vita.
Se disperata è la sua fuga, esasperata è la volontà di braccarlo. Due uomini senza nome si fronteggiano, fino a fronteggiarsi, in un clima irreale, al termine del romanzo. La fede del sergente nella rivoluzione resuscita la fede nell’esistenza e la lealtà alla propria missione del religioso; ed è, nel crepuscolo dei suoi giorni, uno dei martiri più autentici della storia della letteratura.
È martire come Giuda: consapevole delle proprie responsabilità, delle proprie manchevolezze, delle proprie debolezze e dei propri limiti. Rifiuta qualsiasi aspettativa di santità, non illude il popolo e non illude se stesso: è un uomo che ha scelto non per vocazione, dapprincipio, ma per eliminazione il proprio cammino.
Come uomo normale ha esercitato il suo ruolo di pastore: cedendo alle tentazioni, piegandosi ai vizi, abbandonandosi ai torpori dell’alcool. È un uomo normale che grida la propria militanza, nel nome di Cristo, negli ultimi frangenti del romanzo: è un sacerdote per vocazione, adesso, martire della propria fede come i primi cristiani.
Esser stato superstite ad un naufragio, allora, ha avuto senso. Non aver ceduto all’umano istinto di sopravvivenza ha avuto significato. La fuga e il tradimento hanno termine allo stesso momento. La sanguinosa rivoluzione messicana si ripiega in se stessa, destinata alla memoria del sangue e dell’intolleranza; una chiesa corrotta e degenerata rinasce dal sangue dei suoi corrotti e degenerati pastori. Tornati uomini: e allora, per la prima volta, vivi, e vivi nella luce della fede. Che è luce inestinguibile, e nessuno potrà dominare, né fiaccare mai: perché accompagna l’uomo dagli albori del tempo, dal giorno del nostro primo comune tradimento, e infuoca l’animo di chi ha perduto la coscienza d’essere uomo, e d’esser destinato al ritorno alla patria di tutti gli uomini.
Storia del tradimento di un traditore, di un traditore tradito e di un cercatore d’uomini che ritrova se stesso; storia di una fuga dalla morte che è ultima evasione dalla realtà, e si conclude nella luce della speranza; storia di un prete spretato dagli uomini, e come uomo ritornato alla fede.
Romanzo coraggioso e intelligente; impressiona e suggestiona la capacità di Greene di descrivere l’abisso e di accompagnare il protagonista del suo romanzo in una confessione che pare interminabile, ed è una lacerazione dal sapore della “scarnificazione” della propria anima. Notevole l’abilità del narratore nel tratteggiare il senso di isolamento e di desolazione del personaggio; perfino paranoide nella sua amara sfiducia nei confronti dei suoi simili, ma sempre, autenticamente, umano. Dal potere alla gloria; in uno dei silenzi più luminosi del Novecento inglese.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Graham Greene (Berkhamstead, Inghilterra, 1904 - Vevey, Svizzera, 1991), narratore, giornalista e sceneggiatore cinematografico inglese.
Graham Greene, “Il potere e la gloria”, Mondadori, Milano, 1945. I edizione Oscar classici moderni marzo 1990.
Gianfranco Franchi, novembre 2002.
Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, lankelot.