Rizzoli
1979
Distopia animalista di Cassola, nata per via della sua angoscia per il futuro del mondo, e quindi inevitabilmente moraleggiante, “Il paradiso degli animali” è ambientato in un'era futura in cui il tempo degli uomini ha avuto termine, e gli animali non sono più divisi tra domestici e selvatici. Non è più l'uomo ad assicurare un equilibrio tra le nascite e le morti degli animali: s'è autodistrutto in una catastrofe nucleare. Ha avuto inizio un tempo nuovo. Sapranno gli animali evitare i nostri errori?
In Toscana, a Marina di ***, c'è una comunità di animali destinata a diventare famosa. Quando accadde il disastro, le catene si spezzarono, porte e finestre si spalancarono, le recinzioni si squarciarono; tutti gli animali furono liberi. Fu tutto un abbaiare, un muggire, un nitrire, un ragliare. Si formarono branchi di cani. Uno, in particolare, fu guidato dal suo leader in un vecchio podere, dove venne accolto con amore da galline e conigli, stanchi degli agguati delle faine e delle volpi. I gatti, intanto, cercarono di conquistare i cani, a forza di musate e codate, agognando una nuova alleanza.
La nostra storia ha inizio adesso. C'è un dibattito. Come sopravvivere? Diventare vegetariani? Oppure mostrare d'aver capito cosa significhi la parola “solidarietà”? Ecco la strada: “Noi animali abbiamo il dovere morale di prendere il posto degli uomini. E non possiamo farlo se non siamo uniti. Ma uniti possiamo essere in un modo solamente: smettendola di mangiarci l'uno con l'altro” (p. 50). Viene ordinata una nuova assemblea. Partecipano e aderiscono tutti, tranne i serpenti. Dichiarano semplicemente che non intendono diventare carnivori. C'è qualche altra inattesa defezione. Le tartarughe, purtroppo, ma era prevedibile. Il pantano aveva trattenuto i ranocchi. Le aquile non le aveva chiamate nessuno. Gli altri uccelli non se l'erano sentita. In ogni caso, si decide, compatti, di diventare tutti vegetariani e di fondare una lingua comune. Perché sulle prime ci si capisce a gesti. Il capo è un gatto. Un Gran Gatto. Astuto e intraprendente. Sarà il primo di una schiatta gloriosa. Sette Gran Gatti – simbolicamente, come nell'antica Roma – prima d'un nuovo e diverso regime.
Vinta la paura di essere uccisi da un'altra specie, si principia a vivere ciascuno con la sua, ma in mutua solidarietà. E con un nemico – utile – comune: i serpenti (p. 68). Come da triste prassi umana, è necessario il loro genocidio (sono gli unici oppositori... a Cassola non piacevano proprio, gli oppositori) per fondare uno Stato: ecco subito un bel rastrellamento dei campi, quindi un metodico sterminio di massa. Tutti contenti? Manco per niente: ora manca un nemico vero (almeno: sin quando non appariranno i pochi serpenti superstiti, magari da molto lontano...). Ne va scelto un altro. Il serpente finisce sulla bandiera, schiacciato da una zampa. Qualche secolo e c'è chi penserà che si tratta di un animale mitologico.
Intanto, la nuova comunità vive serena. “Il cane e il gatto rappresentano, come meglio non si potrebbe, i due principii su cui si fonda la convivenza. Il cane rappresenta il sentimento, la socialità, la solidarietà: di cui una comunità non può fare a meno. Il gatto rappresenta la fredda ragione, il desiderio di condurre una vita indipendente, l'individualismo: che è anch'essa una dote essenziale al buon andamento di una comunità. Se viene a mancare lo spirito d'indipendenza, la comunità diventa un insieme di robot. La tirannide, in questo caso, è inevitabile” (p. 112).
Gli uccelli diventano l'occhio dei geografi. Per riuscire a elaborare una parola scritta e non un disegno, servirà qualche generazione. Passa il tempo, e la comunità degli animali diventa Repubblica. Imperialista: prima pacificamente, poi sempre meno, conquista e s'annette i territori limitrofi. Purtroppo, scrive Cassola per giustificare le violenze, “la loro democrazia voleva dire solo disordine” (p. 150). Dove “loro” sta per quella dei “vicini”. Grandi rivali sono quelli di Volterra. Ci sarà un'acerrima battaglia. Cassola sogna, intanto, che cadano le frontiere, perché sono esse – racconta – a creare le inimicizie e le ostilità. Mica vero, ma transeamus.
Proprio come in Orwell (ma invertendolo per bene...), c'è chi intanto comincia ad andare su due zampe. Sono i cani, sollecitati e obbligati dai gatti, che volevano soldati più efficienti. I gatti, intanto, stanno sempre nei posti di comando. I cani, semplicemente, obbediscono. La cultura animale cresce. Imparano a studiare le lingue umane (tutte morte: italiano, greco, latino, inglese) e finalmente qualcuno pubblica un bestseller: “L'uomo, questo sconosciuto” (p. 166). E via dicendo.
I cani, esteti inconsapevoli, vivono religiosamente la vita. E vivono per un sentimento, la patria. La patria è la fedeltà alla comunità degli animali, ovvero, scrive Cassola, “l'indiscutibilità del dovere”. Ma sono e rimangono le marionette dei gatti. Sin quando non succede qualcosa di drammatico, e non ci si ritrova a diventare uomini. Fermiamoci qua.
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Intolleranza e fanatismo: Cassola, da bravo animale ideologizzato, mantello tutto rosso, pensa che siano necessari. In uno dei suoi irrichiesti interventi da narratore esterno, farnetica: “Chi crede sul serio è un fanatico e un intollerante. Sa che per la salvezza bisogna seguire quella certa strada. È pronto a imporla con la forza né gli sembra di commettere qualcosa di male: la salvezza è un bene tale che, se necessario, bisogna far violenza alla gente e costringerla a salvarsi. La tolleranza è in realtà tiepidezza, scarsa convinzione. Per contro il fanatismo è cieco e sordo a ogni altro richiamo. Sembra che la tolleranza sia il principio fondamentale dell'ideologia liberale. Non lo so con sicurezza perché l'ideologia liberale mi è estranea. Sono sempre stato un intollerante e un fanatico. Adesso mi sono persuaso che non c'è niente di male a esserlo dal momento che la fine del mondo potrà essere evitata solo dall'intolleranza e dal fanatismo” (p. 232). Con buona pace del compagno Cassola, giustificazioni come queste finiscono per legittimare i regimi totalitari. Come quello socialista sovietico, come quello nazista tedesco. Implicano infiniti strascichi di sangue. Poteva tenersele per sé. Sporcano il romanzo. E non poco. Proprio non poco. Che peccato.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Carlo Cassola (Roma, 1917 - Montecarlo, 1987) scrittore e saggista italiano.
Carlo Cassola, “Il paradiso degli animali”, Rizzoli, Milano 1979. Cassola amava molto gli animali: pochi anni prima, aveva pubblicato “Il superstite” (1978) e “L'uomo e il cane” (1977).
Approfondimenti: WIKI it
Gianfranco Franchi, febbraio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Distopia animalista firmata Cassola, non del tutto riuscita…