Adelphi
1997
9788845912832
Lupi mannari rapiscono la luna. Una cagna si congeda dai suoi eredi rivendicando d’aver bagnato del suo dorato liquido una statua bianchissima, e d’averne sempre avuto nostalgia. Un verme parlante sfida un ragazzo e conquista l’amore della donna contesa, nel bel mezzo del Mar delle Blatte. Un astronomo dichiara che dio è un metodo. Si direbbe un delirio: ma in ambito letterario, quando il delirio s’accompagna a una suggestiva lingua letteraria, si preferisce virare sulla più tenue categoria del divertissement o della stravaganza. Ecco, “Il mar delle blatte e altre storie”, raccolta di racconti originariamente edita nel 1939, racconta storie come queste, che tendenzialmente strappano un sorriso e sembrano rifiutare in toto – gradevole scelta, ma non ne riesco a valutare la “consapevolezza estetica” – stilemi e dettami del realismo.
Se non avessimo letto, in Carlo Dossi, di come innamorarsi d’una regina di cuori o di un albero, e se non avessimo affrontato le fumose invenzioni di Palazzeschi, potremmo giudicare queste trame – queste “deviazioni dalla logica” – come del tutto inedite tra Ottocento e primo Novecento; salutando magari certi spunti come viatico alla lettura del Calvino più ispirato, quello fantastico; tuttavia la responsabilità – e le influenze – di certa Scapigliatura non mancano di richiamarci all’ordine; assieme alla ovvia reminiscenza della plurisecolare tradizione degli animali parlanti, cara in primis alle favole, a partire, naturalmente, dalla classicità (Esopo, Fedro; ma anche, in vicenda metamorfica e quindi ragionevolmente cara a Landolfi, Luciano di Samosata. Vado a memoria e per grandi linee e qualcosa mi sfugge). Stabilito quindi che di delirante divertissement si tratta, non estraneo a grandi tradizioni letterarie lontane al testo – sicuramente con ironia e aggressività caustiche, e tutte contemporanee – passiamo a dire che è un gran bel delirio; che Landolfi sembra divertirsi molto davvero, da erudito e da letterato puro, a smontare e rimontare la linearità e la logica; gioca per paradossi, per eccessi, per allucinazioni; non di rado non è nemmeno possibile ricostruire la realtà originaria, il “nucleo realistico” della storia, quell’argilla plasmata sino a diventare traduzione e invenzione letteraria. Questo discorso non vale, naturalmente, per la satira della scienza, il riuscitissimo “L’astronomia esposta al popolo”: erosione del dogmatismo e dell’assolutismo di certi uomini di scienza, ridicolizzati con perfetta adesione a certo entusiastico e megalomane codice linguistico divulgativo (encomiabile la clausola); nemmeno vale per “Il sogno dell’impiegato”, peraltro piuttosto fiacco; vale per buona parte dei racconti (7+1, composto da 5 dialoghi), dall’allucinato “Racconto del Lupo Mannaro” (i mannari apparivano già nel precedente “La pietra lunare”) – dove la luna finisce, rapita, in un camino, sfugge piena di fuliggine e per tre mesi cessa di brillare – all’eponimo “Mar delle Blatte”. In questo testo, discretamente simile all’ispirata logorrea d’un compagno di bevute in gran forma, il figlio perdigiorno d’un avvocato esce dal barbiere e va incontro al padre, gridando “guarda che taglio”; allude ovviamente al taglio che ha sul braccio, da cui fuoriescono pallini da caccia, chicchi di riso e un verme parlante, subito maledetto dal giovane. Questo verme è il suo rivale: ce ne accorgiamo una volta che padre e figlio – assieme a Lucrezia, “vergine lattante” nuda come una polena, oggetto della contesa – si ritrovano su una nave, diretti al Mar delle Blatte.
Le Blatte altro non sono che gli scarafaggi che circondano, poco prima d’una bellissima isola, la nave e tutto il suo equipaggio. Scopriamo che Lucrezia preferiva il verme al ragazzo; che propone una sfida ai due, nel corso della quale dovranno sedurla come meglio credono. Vince il verme (la descrizione è superbamente grottesca, questo sì), schiacciato poi in accesso d’ira dal ragazzo. La fine della storia possiamo risparmiarcela – diciamo che è una sorta di happy ending – ma nel complesso è tutto stupendamente senza né capo né coda. Se è questo che cercate in Letteratura, precipitatevi in libreria.
Il racconto eponimo è emblematico dello stile e dello spirito dell’intero volume; è probabilmente chiaro a tutti che un testo come questo può valere come oretta e mezza di consolazione e svago per un lettore medio-forte, magari brizzolato; in alternativa, può servire agli sceneggiatori contemporanei per dare vita – penso soprattutto al Racconto del Lupo Mannaro – a una pellicola finalmente anomala e francamente folle. Divagando, mi domando che lavoro facesse Landolfi nel 1939 per ritrovarsi a evadere dalla realtà con storie come queste; probabilmente – se stava già traducendo dal russo – fuggiva dall’iperrealismo di certe narrazioni svagandosi con queste prosette. Senza dubbio qui si registra un passo indietro, dal punto di vista della tenuta dell’opera, rispetto all’ottimo libro precedente; al contempo, si ha la percezione netta che Landolfi abbia lasciato galoppare a dovere l’immaginazione e l’estro creativo. Sprigionando qualcosa di felicemente sregolato, questo sì.
La speranza di chi legge, avanzando in ordine cronologico, è di incontrare superbi bestiari nei successivi testi dell’autore. È involontariamente comico il contrasto tra la limpida e raffinata lingua letteraria dell’artista e gli argomenti delle sue narrazioni, in questo frangente; si ha l’impressione di ascoltare le boutade irriverenti d’un professore di mezza età, molto ben educato.
Landolfi de “Il mar delle blatte” è un narratore snob e divertito; spesso divertente, altrove discretamente fine a se stesso; oppure, come dire, “involontariamente autoreferenziale”. Libro riservato ai cultori dell’opera di Landolfi.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Tommaso Landolfi (Pico Farnese, Frosinone 1908 – Roma, 1979), scrittore, critico, saggista e traduttore italiano. Si laureò in Lingua e Letteratura Russa nel 1932, con una tesi su Anna Achmatova.
Tommaso Landolfi, “Il mar delle blatte e altre storie”, Rizzoli, Milano, 1975.
Prima edizione: Edizioni della Cometa, Roma, 1939.
La prima edizione venne tirata in 555 esemplari, così suddivisi: 5 fuori commercio, contrassegnati dalle 5 vocali; 50 numerati in romano, da I a L; 500 numerati da 1 a 500. Quindi, venne ristampato assieme a “La spada” (Vallecchi, Firenze, 1942, con cambiamenti dei titoli) e nei “Racconti” (Vallecchi, Firenze, 1961). Quindi, Rizzoli, Milano, 1975, edizione qui esaminata; infine, Adelphi, Milano 1997.
Approfondimento in rete: Centro Studi Landolfiani / Wikipedia
Gianfranco Franchi, marzo 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Landolfi de “Il mar delle blatte” è un narratore snob e divertito; spesso divertente, altrove discretamente fine a se stesso; oppure, come dire, “involontariamente autoreferenziale”. Libro riservato ai cultori dell’opera di Landolfi.