Salani
2010
9788862560153
Finalmente un grande romanzo fantastico tutto italiano: è in libreria, a circa dieci anni dalla pubblicazione della prima parte, la saga completa del “Mangianomi” (Salani, 496 pp., euro 16,80) di Giovanni De Feo, scrittore capitolino classe 1973, già Premio Solinas nel 2002, autore, con Marco Chiarini, del recente caso cinematografico “L'uomo fiammifero”, fiaba salutata da un notevole consenso critico a dispetto della ridotta circolazione della pellicola. “Il Mangianomi” sembra un curioso cortocircuito tra “La storia infinita” di Michael Ende, il Calvino della Trilogia dei Nostri Antenati (“Il visconte dimezzato”, “Il barone rampante”, “Il cavaliere inesistente”) e un film d'animazione di Hayao Miyazaki: è un romanzo di formazione allegorico, solo apparentemente facile e immediato, capace di destreggiarsi con coraggio, fantasia e profondità nei sottili confini tra bene e male. È un grande libro sull'identità: sulla possibilità di perderla e di smarrirsi, sulla centralità dell'essenza di un individuo, sul pericolo di dimenticare il proprio nome, la propria storia, i propri ideali, e di diventare altro da sé; oppure, di sparire per sempre. Qualche anno fa, quando le edizioni e/o di Roma pubblicarono la prima parte del libro, parecchi lettori si innamorarono della grazia, dell'intelligenza e della purezza di questa storia; adesso s'è fatta ancora più grande e articolata, tingendosi d'una patina antieroica e drammatica, mantenendo tuttavia la spregiudicatezza e l'ispirazione originarie. Davvero una bella sorpresa, felicemente disorientante. Italianissima, e per questo, naturalmente, molto più emozionante.
Entriamo nel vivo del romanzo. Siamo nel Ducato di Acquaviva. Viviamo in un'epoca in cui s'è persa la capacità di raccontare le storie, e di riconoscere in esse quanto c'è di vero e quanto di inventato. Il Mangianomi s'aggira, nel buio, da un pezzo – e va rubando il nome a qualsiasi persona, e qualsiasi cosa. Quando ruba un nome a una cosa, essa appare diversa a chiunque la veda: irrimediabilmente. È perduta, perché non è più sé stessa. Il solitario cacciatore Magubalik viene ingaggiato dai cittadini per combattere il mostro maligno. Magubalik è un eroe da leggenda, nonostante i suoi vent'anni; è un santo brigante, un formidabile dispensatore di ferite e di benedizioni. Ha un cappello nero calcato sul viso. Due occhi grandi e freddi. Nessuno sa di chi sia figlio; si dice del Marchese, e d'una serva. Ma lui non è né servo né marchese. È uno nato per vivere in disparte. Per starsene nel bosco, e nel bosco cacciare. È un ramingo. Domanda soltanto tre cani, per l'impresa. Perché sa che i cani sono più intelligenti di un cavallo, e più fedeli di un uomo. La prima è una lupa, Uba. È forte. La vince a un brigante. La seconda è un alano, Maag. È veloce. Riesce a domarla, e impara a cavalcarla. Il terzo è un segugio, Lik. Ha un udito straordinario. Magubalik lo salva dalla morte, guadagnando la sua eterna riconoscenza.
Il Mangianomi è un'ombra orrenda, nera, tutta occhi e zanne. Una massa di buio. Non ha dimensioni né forma definita – piuttosto muta forma, perché può assumere quella delle sue vittime. Quando appare, viene come la sera, come un'ombra che si nutre di tutto quel che la circonda. Il cacciatore può perdere il nome; per ritrovarlo, dovrà solo pensare al nome dei suoi tre cani: quei nomi sono come una formula magica. Riesce a vincere il nemico, nello scontro determinante; non lo uccide, semplicemente lo scaccia via, dopo averlo ferito. La sua grandezza sta tutta nella sua compassione. Ed ecco che tutto torna al suo posto, tutto torna ad avere un nome. Eppure, senza una ragione precisa, Magubalik sente la vittoria come un “vino troppo giovane”. Non riesce ad accettarla. E dire che il premio non è solo il denaro; è la giovane figlia del duca, ed è una baronia da governare. Ma può un cacciatore ramingo dimenticare la sua essenza e diventare qualcosa di diverso? Può l'eroe solitario trasformarsi in un saggio e pacato amministratore? Può un guerriero diventare un buon capofamiglia? Il prezzo da pagare è molto caro: l'anarca non può rinnegarsi senza rischiare di autodistruggersi. Passano anni. Il cacciatore e i suoi tre cani sono diventati, nel frattempo, una statua, amata e omaggiata dal popolo. Perché un giorno Mabugalik è sparito. E nessuno più sa che fine abbia fatto. Preparatevi, allora, a scoprirlo: avanzando in una strepitosa caduta negli abissi della psiche del nostro eroe, in un'avventura che va proponendo, man mano, pericolosi e famelici Lupuomini, aggressivi e feroci briganti, stravaganti e misteriosi cantastorie, perdita del nome e assunzione di nuove identità, oscuri pericoli e incredibili rovesci e dolorose scelte di vita. Perché essere sé stessi a volte è un disastro. Ma è un disastro necessario. L'alternativa, la perdita del proprio nome, implica la perdita della propria identità. Ci vogliono anni di dure battaglie per poi ritrovarla, e restituirle un senso. Tanta fatica, e tanta letteratura.
BREVI NOTE
Giovanni De Feo (Roma, 1973), scrittore e sceneggiatore romano. Ha insegnato ad Amsterdam e Londra. Vive e lavora a Genova. Ha scritto “L'uomo fiammifero”.
Giovanni De Feo, “Il mangianomi”, Salani, Milano 2010.
Prima edizione: “Il mangianomi”, E/O, Roma 2002. Si trattava di un'edizione ridotta, rispetto a questa: l'edizione Salani è completa e definitiva.
Gianfranco Franchi, maggio 2010
Prima pubblicazione: Secolo d'Italia. A ruota, Lankelot.
Sulla nuova edizione di un notevole romanzo fantastico italiano…