Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di persone illustri

Il guscio della tartaruga Book Cover Il guscio della tartaruga
Silvia Ronchey
Nottetempo
2009
9788874521944

Una grazia sconfinata, una grande semplicità, uno stile inconfondibile: queste le tre caratteristiche principe delle microbiografie scritte dalla bizantinista Silvia Ronchey, fautrice di un approccio originale, fiabesco e seducente alle vite di letterati, filosofi, poeti e santi, madri padri e padrini della nostra civiltà. “Il guscio della tartaruga” [Nottetempo, 2009] è un mosaico composto da sessantacinque argomenti diversi; è la storia di tante storie, scritta rispettando la lezione degli enciclopedisti e degli agiografi bizantini: sa essere evocativa in poche battute, sa scolpire il passato con lucidità e consapevolezza, sa affascinare e sa insegnare con deliziosa naturalezza.

Ho scoperto con qualche anno di ritardo questo libro, ma quando ho scoperto la sua esistenza gli sono andato incontro con grande allegria. Venivo dalla lettura di un testo magnifico come “Il romanzo di Costantinopoli” [Einaudi, 2010], libro incantato che mi aveva profondamente commosso e istantaneamente richiamato nella città delle Blacherne, di Aghia Eirene e di Aghia Sophia, e avevo già apprezzato l'arte delle biografie brevi di Silvia Ronchey. Sfogliando l'apparato dedicato a raccontare, sinteticamente, le esistenze degli artisti, degli intellettuali e dei viaggiatori ospitati e antologizzati in quel viatico all'antica e caduta gemella di Roma, avevo apprezzato una facilità di scrittura e una felicità di scrittura che mi avevano ricordato, nell'incisività, nell'ispirazione, nella profonda femminilità, le pagine più riuscite della prima Nothomb. Ma c'era qualcosa in più. C'era l'eccellenza di una vera lettrice, di una profonda conoscitrice della storia della nazione sorella che abbiamo dimenticato, che non abbiamo mai abbastanza pianto. E così, durante l'ultima Fiera del Libro, qui a Roma, ho approfittato della presenza dello stand Nottetempo per comprare il mio “Guscio della tartaruga”. E cosa ho scoperto? Che il respiro di queste biografie è gentile come quello del “Romanzo di Costantinopoli”, con l'eccezione comprensibile di quella dedicata al primo poeta cucciolo, Catullo, più vicina a un racconto breve che all'essenza della scrittura di SR. Che l'artista romana finisce per restituire, o per insegnare, vite e storie antiche e moderne con la stessa disinvoltura. Che forse non c'è nessun legame diverso dalla passione dell'artista-cantastorie tra Apuleio e Dickens, o tra Giorgio Gemisto Pletone e Balzac, o tra Romano il Melodo e Kircher, ma in fin dei conti va bene così: in questo libro la Ronchey ha inventato decine di strade diverse per avvicinare vecchi e nuovi lettori a mondi fondamentali per chi è consapevole d'essere erede, fortunato, della classicità. S'è rivolta ai neofiti e s'è rivolta alla vecchia guardia. A tutti ha parlato, con diverso grado di accessibilità e stessa umanità, raccontando storie vere come fossero favole: raccontando favole come fossero storie vere.

“Ciascuno di noi è una tartaruga”, dice l'artista, e ciascuno di noi ha un guscio, fatto della sua conoscenza, della cultura interiorizzata e della cultura ereditata: andiamo avanti, lentissimi e fragili, forti della lezione del passato; dei migliori della nostra specie, dei migliori della nostra civiltà – delle nostre antiche, antichissime civiltà. Sarà questo guscio a salvare i nostri figli e a infiammare di entusiasmo e di amore per la conoscenza i nostri nipoti, superstiti a questa nostra buia epoca di degrado, corruzione limpida e decadenza.

“Il guscio della tartaruga” restituito dalla Ronchey è un piccolo tesoro per tutte le famiglie che intendano andare al di là della rovina di questa epoca e guardare al futuro con speranza e consapevolezza. È un libro che non vedo l'ora di leggere ai miei figli, quando verranno, per raccontare loro cosa è stato, e cosa potrebbe essere: per ogni storia almeno un altro libro, per ogni storia un'altra nazione, per ogni storia un altro tempo. In ogni storia un segreto.

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Come scrive la Ronchey? Come una persona che incideva le parole d'una leggenda nella pietra. Con la stessa logica. Questa: “Ammiano Marcellino fu il più grande genio letterario che il mondo abbia avuto nell'età compresa fra Tacito e Dante. Fu tra i più sofisticati, disperati e affidabili scrittori di storia di tutti i tempi. Nessuno quanto lui seppe padroneggiare la clausola ritmica. Nessuno potè attingere a tante fonti di prima mano. Nessuno ebbe una visione altrettanto lucida e buia del mondo che narrava e in cui viveva. Fu un avvocato e un uomo onesto in un tempo di fanatismo e di frode” [p. 10].

E come restituisce lo spirito d'un tempo che abbiamo perduto? Come se fosse ben presente a tutti: così: “Quando la Grecia era stata catturata da Roma e Gesù Cristo era da poco risorto e il grande dio Pan era morto nacque Plutarco di Cheronea, a metà strada tra Atene e Delfi. All'Accademia di Atene fu studente, dell'Oracolo di Delfi fu sacerdote. Fu un filosofo e fu protetto dall'imperatore Adriano. Nessuno scrisse tanto quanto lui, nessuno fu altrettanto letto” [p. 166].

E come parla d'un poeta moderno? Come se fosse suo fratello: “Charles Baudelaire fu un traduttore, ma per poco, un viaggiatore, ma per poco, un giornalista, ma per poco, un rivoluzionario, ma per pochissimo. Fu più a lungo un bevitore e un fumatore di hashish. Fu sempre un poeta. Amava Poe, De Quincey, i classici greci, le vie di Parigi, le prostitute mulatte, i gatti neri. Cambiava continuamente viso come un evaso dai bagni penali dell'angoscia. Vestiva di nero, i suoi occhi avevano un'insensibilità vendicatrice […]. Baudelaire conosceva l'akedia, malattia monastica, e le aveva dato il nome di spleen. La sua anima era una tomba che, come un cattivo monaco, abitava da un'eternità” [p. 27].

E verrebbe voglia di non finire mai. Perché si può attingere alla conoscenza dappertutto, in questo libro: è tutto nutrimento sano. Ma questa storia è forse la mia preferita: quella di Sergio Patriarca. Almeno l'incipit. “Nell'agosto del 626, durante l'assenza dell'imperatore Eraclio, la sacra città di Costantinopoli fu aggredita a tradimento dai satrapi di Cosroe, il re dei re, con le loro navi ricurve e le feroci milizie mercenarie àvare e bulgare. Gli abitanti della culla della cristianità, senza il loro imperatore, erano come neonati lasciati dal padre. Il patriarca Sergio li radunò. La voce baritonale dell'uomo dalla lunga barba chiamò la madre. E le voci dei presbiteri e dei diaconi anche loro invocarono: 'Madre'. E così tutti i fedeli implorarono: 'Madre'. Un'improvvisa tempesta sollevò le acque del Corno d'Oro e imbiancò le sponde del Bosforo, e l'istmo sottile tra Europa e Asia s'agitò e contorse e divincolò come un serpente che volava nell'aria. Le navi nemiche si rovesciarono come gusci di noci, mentre a terra i pochi soldati della Guardia, gridando il nome della Madre Divina, ricacciarono indietro nel vento gli invasori. Il sole tramontava purpureo sulle rovine d'oro insanguinate quando il patriarca Sergio, gli officianti e i fedeli scorsero, tra gli edifici rasi al suolo, una piccola chiesa intatta, in una località chiamata Blacherne. […]. La Grande Madre, la Stratega Invincibile, l'aveva salvata [...]” [pp. 184-185].

E adesso non rimane che tenerne viva la memoria, perché la bellezza non conosce rovina, conosce ombra soltanto. Grande libro. Pieno di memoria.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Silvia Ronchey (Roma, 1958), storica e saggista italiana. Insegna Filologia Classica e Civiltà Bizantina all'Università di Siena.

Silvia Ronchey, “Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di persone illustri”, Nottetempo, Roma, 2009. isbn, 9788874521944.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi. Santo Stefano, 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Superba raccolta di biografie brevi della Ronchey