Tunué
2019
9788867903153
Drammatico, e tuttavia grottesco; forse, a essere più esatti, terribilmente drammatico e profondamente grottesco. Atipico ed insolito, spesso sinceramente bislacco; cosparso di reminiscenze e di cicatrici di vecchie letture (letture caotiche, magmatiche, per lo più probabilmente dovute a un cammino autonomo), e comunque mai espressione di arida erudizione, o peggio di artificiosa ricerca di effetto, "Il giorno della nutria" [Tunuè, 2019; euro 16, pp. 156] è un libro sul disordine [emotivo, spirituale, esistenziale in generale], sui disordini e sui vizi [alcolici, farmaceutici, letterari, esistenziali in genere], sulle dipendenze [tiranniche] e sull'autodistruzione [come richiamo della foresta]; è un libro sulla confusione [interiore, famigliare], sulla pazzia [è una terapia, forse, o comunque un "tentativo di riallineamento"], sulla cefalea [una cefalea cronica, quotidiana, ciclopica: ogni cura ha fallito]: sulla provincia toscana [l'amabile Capalbio], sulla decadenza della borghesia [a picco], sulla sofferenza. Andrea Zandomeneghi, esordiente, classe 1983, condirettore della rivista letteraria Crapula, ha l'intelligenza, la fantasia e lo stile adatti a non rappresentare certe disgrazie e certi episodi come macigni – "Il giorno della nutria" dà la sensazione di potersi ingolfare, ogni tanto, sprofondando nella palude di un dolore abbacinante (per la morte di qualcuno, per la malattia di qualcuno, per la propria sensibilità) ed è proprio in quei frangenti che, più o meno regolarmente, si sente echeggiare la risata grassa, trascinante e fastosa del matto, oppure capita un episodio liminare che ammortizza la tragedia, o riesce in parte a stingerla. Da certi punti di vista, questo libro ha perciò qualcosa di chiaramente manganelliano (un manga ovviamente allucinato ma insolitamente, ferocemente autodistruttivo; stilisticamente meno sregolato ma comunque, qua e là, scapocciato con metodo, "cum grano salis") – è, ribadisco, un libro giocato per ripetute concessioni all'assurdo o al caricaturale.
Ad oggi – 3 marzo 2019 – nelle prime settimane di vita del libro, la copiosa rassegna stampa (da Beretta sul "Corriere" a Rialti sul "Foglio" così caro all'artista, passando per "Repubblica" e per diverse riviste letterarie digitali di tutto rispetto) ha forse trascurato (ha proprio glissato su) una delle parole più adatte a rappresentare "Il giorno della nutria": vale a dire, "tragicommedia". Una volta avremmo più facilmente riconosciuto certe caratteristiche; qua e là, qualcuno addirittura ha scomodato il giallo (è ovviamente una forzatura, è soltanto "in senso lato" che si può parlare di "elementi giallistici", al limite; per la redazione di "Internazionale", per capirci, la Nutria è un "giallo al contrario"), altrove mi sembra che si sia puntato sull'esistenzialismo, con buone ragioni. La bandella Tunué parla di "narrazione esilarante, giocata tra il grottesco e lo slapstick" e di "prosa raffinata e coltissima": sì, esilarante, come respirare certe sostanze. Proviamo a prendere le misure a Zandomeneghi, adesso.
In una recente intervista rilasciata a Zest, ha dichiarato che i suoi riferimenti sono soprattutto i grandi russi e francesi: tra gli italiani, ha nominato Siti, Vassalli, Calasso, Santoni, Tomasi di Lampedusa, Tondelli – già questo elenco racconta parecchie cose, soprattutto sull'eleganza e sulla ricercatezza che certi passi possono sfiorare, e sulla leggerezza di altre ispirazioni; Calasso e Tondelli, forse fin troppo simbolicamente, giocano un ruolo particolare, nella Nutria; il quarantenne Santoni è stato l'editor del libro; Vassalli sembra essere riferimento presente soprattutto per la sua primissima attività narrativa, e forse, in generale, per la sua singolare sensibilità per "la provincia". La combinazione è, in ogni caso, decisamente singolare. In un'altra intervista rilasciata a ridosso dell'uscita, Zandomeneghi ha spiegato che in questo libro "volevo esplorare i territori – i sotterranei abnormi, non le vette mistiche – dell’oltre la coscienza ordinaria, in particolare mi interessavano le deformazioni e aberrazioni della coscienza e del pensiero che si risolvono in forme di autotrascendenza– non sono più solo me stesso, ma anche altro – verso il basso, usando l’armamentario concettuale di Huxley [...]".
Tutto ha inizio quando, una mattina di fine aprile, l'inquieto e dissociato architetto Davide Aloisi trova, nel giardino di casa sua, come il vecchio Jeffrey Beaumont, qualcosa di inspiegabile: un cadavere di una nutria congelato e scorticato. Cos'è questa nutria? Un oggetto transizionale, un feticcio, una provocazione? Forse, addirittura, una minaccia? Un moloch rimosso? È, in ogni caso, perturbante: è oscena, sanguinolenta, inspiegabile; sembra quasi "un feto alieno" ["Vivevo questo senso estraniante e allucinatorio, come se una falla si fosse aperta nel tessuto coerente del mondo fenomenico. Come se da quella breccia fosse uscita una chimera", p. 38]. Il rinvenimento di quella carcassa è stato inquietante e da subito Davide si sente scosso e smania per liberarsi "al più presto della chimera": vuole negarla, vuole "ributtarla nel baratro del nulla da cui proveniva": è disturbato e non vuole capire davvero di cosa si tratti. Forse quella nutria non ha senso: forse rappresenta una colpa. Forse è l'avatar di una colpa: o di un mondo.
Il mondo di Davide è solo apparentemente lineare. Orfano del padre (borghese, massone, carismatico), vive con la madre ("la mia derelitta madre, il mio incubo incarnato"), una madre ormai malata, paranoica, fibromialgica, teatrale – inquieta per l'epifania della nutria almeno quanto il figlio. La madre è guardata da una domestica spiazzante, Dorota, lavoratrice infaticabile, colta, forse figlia di un alto diplomatico rumeno; gli amici di Davide, Emanuele ed Esteban (figio di Dorota) sembrano legati tra loro soprattutto da un'amicizia erotica, intellettuale ed erotica (rocambolesca, parecchio). Il nipote di Davide, Giulio, libertino, bisessuale, ha perso i genitori e forse c'è qualcosa da capire e da raccontare sull'accaduto, come si vedrà; l'unico, vero amico dell'architetto è il parroco, don Stefano, buon bevitore, lettore forte, "ingegno versatile", uno che campa di rendita per i suoi svariati affitti e intanto scrive agli artisti (non importa che rispondano). "Il giorno della nutria" è l'onirica e inquieta storia di uno scontro tra coscienza e incoscienza: un'indagine su un ambiente (famigliare, amicale) e su un io confuso e frastornato dagli alcolici e dai farmaci: è una storia di dipendenze, è la cronaca di un allucinato deragliamento nelle (per le, polverose) rimozioni. È un esordio che può sbigottire – sbigottire e sconcertare.
Gianfranco Franchi, marzo 2019.
Per approfondire: sito ufficiale del libro [rassegna stampa completa]
Cos’è questa nutria? Un oggetto transizionale, un feticcio, una provocazione? Forse, addirittura, una minaccia?