Neo Edizioni
2013
9788896176160
L'artista veneto Paolo Zardi, classe 1970, è stato artefice, in questi quattro anni, di due raccolte di racconti sorelle; forse, a ben guardare, gemelle. “Antropometria” [2010] e “Il giorno che diventammo umani” [2013] sono due libri così vicini che sembrano un'opera sola: un gioco di specchi. È forse questo il destino dei racconti e delle novelle dell'outsider padovano, quello di vedere un giorno luce nuova in un “canzoniere”, una sorta di moderno “Padua-merone”. Conforta questa mia congettura la tendenziale comune ambientazione di tutti i pezzi, in quella città antica, borghese e scostante che è Padova, nella sua anima calma e oscura; soprattutto, conforta la mia congettura la caratteristica classica dei racconti di Zardi, d'essere tutti fondati sulla descrizione delle dinamiche psichiche in condizioni liminari. Zardi racconta il disordine interiore di chi scopre di avere una malattia terminale; Zardi descrive il malessere di chi vive a fianco di un mancato suicida; Zardi insiste sulla dignità antica del pianto d'una puttana sodomizzata a sangue; Zardi osserva dei minorenni che vanno a stuzzicare due tedesche di mezza età perché hanno sentito dire che pagano i ragazzi italiani purché loro facciano e si facciano fare di tutto; Zardi ha raccontato la rabbia e l'angoscia d'una donna che sta per essere stuprata; Zardi s'interessa dei disagi e dei deragliamenti post ictus asimmetrico. E così via. Zardi non crede in nessun dogma, e probabilmente in nessun Dio. Zardi s'approccia ai sentimenti umani con l'animo dello scienziato: con approccio da ricercatore, da osservatore. Non da medico, non da guaritore. Il rischio che da “Antropometria” a “Il giorno che diventammo umani” Zardi ha corso è stato, fondamentalmente, quello di scadere nella morbosità, o nell'artificio, o nell'eccessiva insistenza sul male [sul dolore: sulla sofferenza]. È un rischio che probabilmente l'artista ha calcolato. Serve un equilibrio innaturale, in certi casi.
Venti sono i racconti che formano questa nuova raccolta di racconti, nuovamente benedetta da una ispirata copertina di Toni Alfano, nuovamente salutata, almeno sin qua, da una pioggia di buone recensioni – a volte, entusiastiche, addirittura euforiche – in ciò che rimane di internet letterario. Tendenzialmente, a Zardi viene riconosciuto stile, e viene riconosciuta, come fosse un pregio, una “scarsa italianità” nella scrittura: va detto che probabilmente, tra i narratori nostrani degli anni Settanta e Ottanta, è uno dei più americani, come Andrea Consonni. È forse il più drammatico – ma sprofonda in un dramma che non tracima nel kitsch, pur rischiando in più di un caso. In termini cinematografici, Zardi è estraneo alle burine e isteriche cadute di stile di Almodovar, un suo libro è come un film di Alejandro González Iñárritu scritto da Guillermo Arriaga: diciamo come un “Amores Perros” o un “21 grammi”.
Non so se Zardi stia cercando la verità. Non credo. E nemmeno credo che stia cercando bellezza. Credo semplicemente che stia cercando: che stia cercando di capire chi siamo, che cosa siamo. E si limita – si fa per dire – a cercare negli esseri umani. Non scrivo che sta cercando qualcosa nell'anima degli esseri umani, perché immagino che Zardi non creda nell'anima. Ma non ha la disperazione cosmica di un Parente, né il suo cinismo: ha troppa pietà per rifiutare l'umanità. Troppo sentimento per abiurarla. Troppa intelligenza per arrendersi all'oscura religione del caso, e della chimica. Meno male.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Paolo Zardi (Padova, 1970), ingegnere e scrittore padovano. Ha esordito pubblicando “Antropometria” [Neo Edizioni, 2010].
Paolo Zardi, “Il giorno che diventammo umani”, Castel di Sangro, Neo Edizioni, 2013. Copertina di Toni Alfano. Collana “Iena”, 7.
Approfondimento in rete: sito ufficiale di Paolo Zardi.
Gianfranco Franchi, novembre 2013.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“Antropometria” [2010] e “Il giorno che diventammo umani” [2013] sono due libri così vicini che sembrano un’opera sola: un gioco di specchi.