Feltrinelli
1958
9788807883828
Maggio 1860, Regno delle Due Sicilie. Ultimi giorni nel crepuscolo di un mondo. Alba di un nuovo potere, e sarà presto tempo di giurare fedeltà a nuove dinastie; conoscere i loro nuovi vezzi, e riconoscere le loro antiche ambizioni. Nell’isola un aristocratico comprende che se la sua classe desidera che tutto rimanga come è, e come sempre è stato, bisogna paradossalmente che tutto cambi: e non si oppone ai disegni rivoluzionari garibaldini, né tanto meno alle velleità d’annessione dei Savoia. Aspetta, e osserva. Aderisce al nuovo potere, ma rifiuta di partecipare della sua gloria. Questo aristocratico, pur padre di sette figli, è l’ultimo della sua famiglia: l’ultimo Gattopardo.
Fabrizio Corbera, Principe di Salina, è espressione dell’antica aristocrazia locale, e dei suoi cristallizzati valori: eleganza, dignità, distacco, distinzione, onore. Il suo primogenito, Paolo, è la sintesi della decadenza dell’aristocrazia: un mediocre, inadatto a vivere nel suo tempo e indegno della tradizione dei suoi antenati, viziato dai privilegi della sua classe sociale e inetto all’esistenza borghese. Nulla del Gattopardo si riflette in questa figura pallida e stanca: all’opposto, il nipote prediletto del Principe, Tancredi, sembra riassumere il talento, il fascino e lo stile della casata. Non sarà certo un caso, allora, se Tancredi si rivelerà così sensibile allo spirito del suo tempo: egli comprenderà perfettamente di vivere nel momento in cui l’aristocrazia deve scendere a patti con la borghesia e costruire una nuova società, deciderà di partecipare alla spedizione garibaldina dei Mille, si arruolerà infine nell’esercito sabaudo: non si opporrà, e non osteggerà in alcuna maniera l’ascesa di un’altra classe sociale. Tancredi incarna l’intelligenza di quell’aristocrazia che intuì di poter salvaguardare i propri privilegi e le proprie conquiste modificando strategia.
Mantenere dunque eleganza, dignità, distacco e onore: ma, per così dire, condividere la distinzione, ed erigerla a condizione primaria del più raffinato modus vivendi dell’alta borghesia. In altra epoca, Tancredi sarebbe stato destinato a sposare la sensibile e piacente cugina, Concetta, figlia del Gattopardo: e, al principio del romanzo, quando ci si trova con un piede nel passato e uno nel futuro, al bivio tra due regni e due sistemi statali, questa sembra essere la sua sorte.
Il Principe osserva compiaciuto le prime schermaglie amorose tra sua figlia e il prediletto nipote, sognando un nipote che sappia essere e rappresentare l’anima del Gattopardo. Tuttavia si vive in un’epoca di cambiamenti e le vecchie consuetudini si apprestano a sgretolarsi; e così, nella vita di Tancredi e della casata di Salina entra Angelica, figlia del borghese Don Calogero Sedara.
Splendida, ed educata a Firenze, già nel segno d’un miglioramento sociale e d’un perfezionamento culturale; selvatica e indipendente e fascinosa, come ogni figlia del popolo, d’una bellezza irriverente e soggiogante. La contrapposizione con la dolcezza e la compassata avvenenza di Concetta è netta e schiacciante. Il Gattopardo è meravigliato e paralizzato, in un primo momento, dalla bellezza di Angelica: si accorge che quella che sarebbe stata una splendida amante, fino a qualche anno prima, ora può ambire ad essere moglie e compagna di un rampollo della sua dinastia. A discapito della sua stessa figlia: ma come resistere al fascino innocente e alla sensualità istintiva d’una donna del genere? E in fondo, Tancredi stesso non è il fautore della piccola rivoluzione sabauda, e del connubio tra aristocratici e borghesi? E sia, dunque – decide il Gattopardo, insensibile alle richieste della moglie e al malessere della figlia – che si scenda a patti con la borghesia, e che possano fondersi le tradizioni di due classi un tempo rivali e nemiche.
Così, annesse le Due Sicilie al regno Sabaudo, mentre i garibaldini tornano nell’ombra o si arruolano nell’esercito regolare del nuovo Re, accadrà al Principe di ritrovarsi a ballare con la figlia del popolo compagna del nipote; e in questa danza, l’eleganza dell’aristocrazia sposerà il fascino della borghesia; la morte d’un tempo e d’un sistema danzerà con la vitalità d’un tempo e d’un sistema nuovo; il fascino danzerà con la bellezza, lo stile con l’innocenza.
Avanti, Principe Fabrizio. Non è una danza macabra; è la danza della vita che fugge e dell’amore che potevi conoscere e hai potuto invece pilotare; è la danza della tua famiglia che si assicura futuro e potere e nuova discendenza, è la danza dell’ultimo Gattopardo che esce di scena senza aver tradito e senza essersi ribellato: accettando, senza altro visibile segno di partecipazione che non sia questo ballo. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” aveva spiegato Tancredi, prima di partire per la guerra: ed è questa una delle più amare chiavi di lettura. La borghesia assurge poco a poco al potere non rinunciando alla ricchezza e al cinismo, e imitando grossolana stili e abitudini dell’aristocrazia; l’aristocrazia non svanisce, si trasforma. Non è più il sangue, né la storia a decidere il futuro di una famiglia: ma la capacità di affermarsi e di imporsi a discapito di altri, la capacità di sopraffare e di comandare. Fine di un’epoca, ma non certo fine di privilegi durati secoli: questi rimangono, e passano semplicemente da un ceto a un altro ceto.
Il romanzo si contraddistingue per uno straordinario equilibrio strutturale e formale, e per una lingua letteraria raffinata e limpida. I personaggi sono tratteggiati con intelligenza e garbo, e l’introspezione è spesso assai felice; si può leggere l’opera come contrasto o connubio tra aristocrazia e borghesia, mediante le antitesi Gattopardo/Don Calogero, o ancora Concetta/Angelica, o ancora Tancredi/Paolo (e suoni pure come paradosso che sia proprio il figlio del Gattopardo a doversi contrapporre al nipote): e ancora si può leggere il romanzo come storia e decadenza di un uomo d’un altro tempo, e storia e decadenza dell’aristocrazia fedele ai Borboni; in ultima istanza, il Gattopardo rappresenta uno dei più eleganti e fascinosi tributi allo spirito della Sicilia e dei siciliani. Il Principe parla con amore, disperata lucidità e tragica consapevolezza dell’isola, e della visione del mondo dei suoi abitanti: e in quella dichiarazione di fiera indipendenza e di solenne autonomia e distanza dalla mentalità e dalle abitudini degli italiani si riflette tutta l’anima della Sicilia.
Per finire, merita un'annotazione un elemento non da poco: un aristocratico ha scritto questo romanzo senza nostalgia reazionaria, e senza esternare malesseri sociali. Ha registrato e riflettuto sul senso della sua esistenza, e delle origini della sua famiglia e del nuovo Stato. Nato nel 1896, Tomasi di Lampedusa ha combattuto in entrambe le Guerre Mondiali, servendo lo Stato italiano: più facile immaginarlo come l’erede di Tancredi per condotta politica, più naturale immaginarlo come Gattopardo per stile, garbo, intelligenza, misura: distinzione.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Palermo, 23 dicembre 1896 – Roma, luglio 1957), ufficiale dell’esercito italiano. Postuma la sua fama di narratore e critico letterario.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo”, Feltrinelli, Milano, 1958. Collana “I contemporanei”, 4. Prefazione di Giorgio Bassani. Il romanzo, meditato per venticinque anni, fu composto tra il 1955 ed il 1956.
Traduzione cinematografica: “Il gattopardo” (1961) di Luchino Visconti, con Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale.
Gianfranco Franchi, febbraio 2003.
Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, Lankelot.
Maggio 1860, Regno delle Due Sicilie. Ultimi giorni nel crepuscolo di un mondo