Rizzoli
2003
9788817873055
Tobias Jones incontra un'italiana in Grecia, se ne innamora, si dimette dall'Independent e si trasferisce a Parma. Impara l'italiano frequentando la Curva Nord del Tardini, si mantiene come corrispondente dall'estero per la stampa britannica. Un bel giorno, si ritrova un libro commissionato: una lettura dell'Italia contemporanea, impossibile per chi l'aveva preceduto. Fatica molto a scrivere (“nessuno in Gran Bretagna, pensavo, crederebbe a certe cose”), e spiega ragionevolmente perché: “L'Italia è il Paese più civile del mondo ma anche – secondo Sylos Labini – 'Un Paese a civiltà limitata'; un Paese dove un'intelligenza raffinatissima convive con mass media pacchiani; dove il senso della comunità, quasi sparito altrove, è ancora forte e la famiglia è ancora sacra ma, allo stesso tempo, trionfa l'individualismo. (…) sembra omogeneo ma vanta infiniti dialetti, tradizioni e abitudini diverse” (p. 10)
Vuole parlare del popolo, non sospirare di fronte a siti e monumenti; così, per anni, raccoglie materiale viaggiando e studiando, entrando nelle chiese, nelle prigioni e nelle biblioteche. Vuole cercare, sulla falsariga d'una antica metafora di Carlo Levi, il cuore oscuro della Nazione, viaggiando nello spazio e nel tempo. Vuole pubblicare il diario di un “forestiero che vive in Italia”. Il libro esce in Inghilterra, e scoppia un casino: proprio in quei giorni, pubblica un articolo sul Financial Times titolato “Il mio inferno televisivo italiano”, che scatena polemiche in tutta Italia; nessuno ha potuto leggere questo suo atipico studio in traduzione, non ancora: le divampanti polemiche e le prime lettere di incoraggiamento, ricevute a Parma, hanno spinto l'autore non a tradurre, ma a riscrivere e riaggiornare il libro.
Capitolo primo. Jones racconta cosa significhi imparare la nostra lingua, e quanto melodiosa e complessa essa sappia essere: “gioiosamente creativa” nelle discussioni e nelle offese. Rileva quanti “permessi” si debbano domandare o siano necessari per qualsiasi cosa: si direbbe che i convenevoli sociali siano più rigidi che in Inghilterra, in certi frangenti. É spiazzato dalla prepotenza delle gerarchie, e dalle forme che siamo abituati ad adottare: dai titoli onorifici in avanti.
Non si capacita – e giustamente chiama a confermare la sensazione un vecchio passo di Calvino – che non esista differenza tra “history” (storia vera) e “story” (storia inventata): per noi tutto è “storia”.
Osserva quanto l'inglese abbia contaminato la nostra lingua: negli spot pubblicitari, nei programmi dei dj, nelle magliette o nelle felpe che indossiamo. E si diverte dei nostri errori: “sexy shop” per “sex shop”, ad esempio, o delle nostre invenzioni (“tight”, “smoking”, “mobbing”), o delle reciproche lacune (manca l'equivalente dei postumi della sbornia, “hangover” in inglese; nella loro lingua, non esiste “dietrologia”).
È affascinato dalle valenze semantiche di parole come “piazza” (ha capito quanto sappiamo essere orgogliosamente provinciali: e quanto la tradizione delle città-stato sia ancora viva) e “Stato” (il grande nemico dei cittadini, il responsabile di tutti i casini, il padre del mostro odioso: la burocrazia).
Osservazioni notevoli: siamo un popolo (piacevolmente) rumoroso, tanto negli uffici quanto nelle case o nelle palestre; le nostre conversazioni somigliano, involontariamente, a colte digressioni museali: la nostra storia antica e moderna è protagonista, come niente fosse, di dibattiti quotidiani. L'Italia risulta più civile della Gran Bretagna: per il culto della famiglia, della casa, della comunità (locale). Siamo rara avis, a livello mondiale, per la prepotenza della burocrazia: per un inglese, estraneo all'esistenza dei notai come a quella delle carte d'identità, siamo incomprensibilmente invasi di cartacce. D'altra parte, il pensiero è condiviso dagli italiani intelligenti e non intossicati dall'indifferenza, o dalla maledizione della tolleranza per il quieto vivere.
Altrettanto incomprensibile la presenza di fascisti e comunisti (post inclusi): forse è per via dell'elemento religioso, come suggerisce Galli della Loggia, tuttavia in Inghilterra le due categorie appartengono al dibattito storico sul primo Novecento, a quanto pare. Mi sembra un po' paradossale considerando che il comunismo non è del tutto caduto, piuttosto aggredisce e governa parte dell'economia dall'estremo Oriente; ma transeamus.
Capitolo secondo. Passato un anno ad amare la nostra cucina e la nostra cultura, Tobias Jones comincia a considerare con perplessità i misteri d'Italia, e la loro incredibile popolarità mediatica: è difficile accettare l'idea che questioni come il caso Moro, le irrisolte Stragi di Stato o i delitti del Mostro di Firenze possano essere notizie esplosive sui media, trent'anni più tardi. E così, prova a decifrare il senso dell'attività della Commissione Stragi e giunge a questa prima conclusione notevole: “Piazza Fontana è per l'Italia ciò che per l'Irlanda e la Gran Bretagna fu il Bloody Sunday (quando, il 30 gennaio 1972, l'esercito inglese aprì il fuoco su una manifestazione indipendentista irlandese a Derry): un terribile evento in cui i civili erano le vittime di una guerra più vasta, ma segreta” (p. 59): così, decide di studiare quanto avvenuto post 1943, dal principio della guerra civile.
Jones ha compreso qual è l'origine della spaccatura del nostro popolo – una storia non più condivisa dal 1943 – ma si direbbe abbia finito per puntare a destra per cercare i responsabili delle stragi: tutto nasce per favorire il programma del Golpe, previsto per il 1969, poggiando su militanti di Ordine Nuovo. Mi sembra una debolezza del testo non marginale.
Si comprende meglio la sua confusione quando chiama Evola “filosofo fascista” (p. 72), suggerendo fosse l'ispirazione di Delfo Zorzi: Evola, come saprete, non è mai stato tesserato a nessun partito (cfr. studi di De Turris) e mai ha avallato l’azione violenta, opponendosi anzi a una condotta di questo tipo: predicando piuttosto un’esistenza estranea all’attività politica. La sua era dottrina, e non politica: azione interiore e individuale. Tana per l'ingenuità di mister Jones.
Gioverà a Mister Jones scoprire che Feltrinelli pubblicò, nel 1969, con intento “politico” e “pratico”, il libro di Pietro Secchia (ex vicepresidente comunista al senato) “La guerriglia in Italia (da Mazzini alla Resistenza)”: tuttavia nessuno si sognò d’accusare Secchia e Feltrinelli d’essere mandanti morali degli omicidi delle BR, dei NAP, di PL. La tendenza, negli anni Settanta, era ben differente: c’era chi definiva, sulla stampa, addirittura “sedicenti” le Brigate Rosse; Umberto Eco si impegnò a fondo, in un numero de “L’Espresso”, a dimostrare come un volantino delle BR fosse opera d’un brigadiere dei carabinieri. Per dire. Cose, Jones ormai l'avrà inteso, comuni in questa nazione contrastata e contraddittoria.
Torniamo alla questione terribile delle stragi. Jones intervista Pino Rauti, indagando ancora – come gli investigatori negli anni Settanta – sui possibili legami tra Ordine Nuovo, i servizi segreti e Piazza Fontana; infine, ammette che questo Paese smanioso di leggi è sostanzialmente senza legge (p. 86), e sembra accettare a malincuore la terribile idea che la verità sia diventata “story”, non “history”.
Nel capitolo quarto, a questo punto, non vi stupirete se protagonista è Sofri, incarcerato a Pisa per responsabilità indiretta (il pentito Marino non è attendibile: è chiaro pure ai selci) nel delitto Calabresi. Jones va a intervistarlo, corroborando la sensazione che si tratti di una carcerazione politica e simbolica. Scosso dalla spettacolarizzazione della cronaca nera – sulla scia delle indagini della Nazione al gran completo su omicidi tutt'altro che politici – comincia a esaminare la televisione italiota.
Capitolo quinto. Jones riconosce che gli italiani siano un popolo di grande raffinatezza visiva: una ricercatezza estranea alla cultura anglosassone. Paradossalmente, questa sensibilità ha permesso che la televisione generalista, mediocre e sporcata da una quantità di passaggi pubblicitari senza precedenti in Occidente, attecchisse; il paradosso di Jones è che se potessimo cancellare le immagini, “ascoltando” la tv come fosse la radio, in molti capiremmo la nullità dell'intelligenza di certi programmi. Qualche eccezione, nella palude: “Le iene”, “Blob”, “Zelig” (“Zelig”?).
Come ogni cittadino senziente potrà intuire, l'abnorme e mostruosa anomalia della concentrazione di potere e di proprietà – televisive incluse – nelle mani di un solo uomo desta perplessità e incredulità nel giornalista inglese. Inevitabilmente, studiando cosa significò l'odiosa Legge Mammì, spunta fuori la donazione offshore al futuro “esule” Craxi: 23 miliardi di lire di gratitudine e riconoscenza, da parte della All Iberian: una misteriosa società parte del meno arcano gruppo Fininvest. Berlusca condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi; quindi – stranamente – reato prescritto.
Jones ha le idee chiare: “il forzismo è la televisivizzazione della politica” (p. 177). E il livellamento verso il basso della programmazione – integra Camilleri – è responsabilità del padrone assoluto della televisione, e di chi nella televisione ha investito tanti denari. Come non essere d'accordo: ma forse la questione è più complessa. Includerei la mediocrità intellettuale di un popolo che ha decretato la fortuna e la popolarità della “idiot box”.
Il capitolo otto è tutto dedicato al forzismo. In una fase storico-politica caratterizzata da totale vuoto ideologico e da un disperato bisogno di riforme (delle pensioni, del lavoro, delle leggi; della Costituzione, e della burocrazia), in Italia ha trionfato la “costante legislazione dell'evasione”, il culto di un leader dalla discussa e discutibile moralità, dall'abnorme potere mediatico ed economico; specchio e spettro di carne della nostra non eccessiva moralità, della nostra inevitabile tendenza ad aggirare fisco e leggi opprimenti, fotografia della furbizia che in tanti agogniamo di guadagnare, assieme ai denari.
Non si tratta, come avrei auspicato qualche anno fa, di un capitolo bilioso o livido; purtroppo è estremamente equilibrato e verosimile. Jones non demonizza l'imprenditore di Arcore amico di Craxi e Mangano, prende atto di quel che sta capitando e prevede la sua elezione a Presidente della Repubblica entro dieci anni. Probabilmente accadrà, e quel giorno morirà lo Stato Moderno, qui in Italia. Vorrei aggiungere che non piangerò lo Stato Moderno, né la fine del parlamentarismo, ma mi dispererò del potere concentrato nelle mani di un solo uomo e delle sue lobbies. Tra cento anni finalmente l'Italia, nazione laboratorio, per prima fonderà una nuova concezione di Stato. Stiamo oltrepassando la soglia prima delle altre nazioni europee, ma la transizione non è e non può essere felice. Chi ci governa è il più italiano di tutti. Nel male (molto) e nel bene (forse non altrettanto grande). Terribile? Come il fisco, inevitabile.
Avanziamo. Divertissement ma non troppo: capitolo terzo, il calcio. Un inglese consapevole che senza la disciplina dietetica di Wenger e Ranieri le squadre avrebbero continuato ad andare al pub la sera prima della partita, e che probabilmente continuare a tifare Everton l'avrebbe costretto a lottare tutte le domeniche per la salvezza, non può che innamorarsi del Parma – l'ultimo grande Parma – di fine anni Novanta. Peccato sia il periodo dei grandi scandali del calcio italiano: dal doping (denunce di Zeman, prime squalifiche) al doping amministrativo (decreto salvacalcio del governo), dalla corruzione arbitrale (famiglia Agnelli e Moggi) ai fondi neri (Berlusconi: affare Lentini). Appurato che la proprietà e la gestione delle squadre è curiosamente in mano a imprenditori o gruppi di potere protagonisti di altre e diverse scene (politiche incluse), manco fossimo rimasti nel Medioevo, annotato che contro la Juve di Moggi c'è sinceramente poco da fare (rigori generosi, ridotto numero di cartellini), conclude che tecnicamente rimaniamo adorabili, tatticamente restiamo maestri, ma purtroppo la puzza di bruciato è condivisa anche dagli entusiasti.
Cosa aggiungere? Grazie per aver nominato calciatori della Roma. Il resto è totalmente sottoscritto, incluse le pagine sul furto dello scudetto 1981 a firma Juve e arbitro Bergamo. Il gol di Turone era regolare. Ora lo sanno anche in Inghilterra. Consoliamoci così: fiat lux.
Nel capitolo sesto, Jones inizialmente vola a San Giovanni Rotondo, per raccontare (non indagare: curioso) la misteriosa santità di Padre Pio. Diciamo che la questione Forgione dà il la a una serie di meditazioni su miracoli, santità, cattolicesimo e Vaticano. Il cattolicesimo, gerarchico e conservatore proprio come il nostro popolo, sembra inconsciamente imporre il rispetto e la normalità della burocrazia ai cittadini; i termini dell'adesione al cattolicesimo e dell'opposizione al potere della Chiesa Cattolica sembrano, al nostro reporter, gli stessi della querelle Sismondi-Manzoni.
I passi più interessanti del capitolo – meriterebbero fiumi di inchiostro – sono quelli relativi alla questione del Banco Ambrosiano: sinistro nome che evoca, nelle nostre coscienze, l'angosciosa consapevolezza del potere economico del Vaticano, delle morti di Calvi e Sindona, dell'agghiacciante politica del diabolico vescovo Marcinkus.
“Il cuore oscuro dell'Italia” è un tributo agli italiani, e una dolorosa riflessione sulla decadenza e sui mali dello Stato: dell'Italia. Tobias Jones ama il nostro stile di vita, la qualità della vita nella buona provincia borghese di Parma, la nostra educazione – al di là del volume della voce – e la nostra solidarietà comunitarista. Ha patito i nostri nemici, la burocrazia, il fisco, la corruzione, il sistema clientelistico e nepotistico che tutto inficia e inquina, la televisione e i partiti politici; la mafia e il Vaticano, e le menzogne dei media governativi; e tuttavia ne ha saputo sorridere.
In termini calcistici, direi che è un grande tifoso di una gloriosa piccola squadra a rischio retrocessione, amareggiato e incazzato per le sconfitte e per le decisioni della dirigenza e del mister, il premier, e di tutto lo staff tecnico. Rimane tifoso, nel bene e nel male, perché ammira tre-quattro giocatori, in particolare: forse non troppo tecnici, ma molto coraggiosi e generosi. Il suo idolo s'è infortunato e forse non rientrerà in campo prima della prossima stagione. La prossima stagione si gioca tra un secolo, a occhio e croce; la nostra lenta e ignominiosa retrocessione in Serie B è alle porte.
A me non dispiace. Fa male, ma non dispiace. Perché abbiamo bisogno di disintegrarci per tornare a essere quel che Petrarca sognava fossimo. Italia.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Tobias Jones (1972), gallese, laureato in Storia Moderna al Jesus College di Oxford, ha vissuto a Parma dal 1999 al 2006; attualmente, vive con la moglie a Bristol. Ha scritto reportage dall'Italia per Independent, Guardian e Financial Times; collabora con Repubblica, Internazionale e Diario.
“Il cuore oscuro dell'Italia” è la sua opera prima.
Tobias Jones, “Il cuore oscuro dell'Italia”, Rizzoli, Milano 2003.
Traduzione di Chicca Galli. In calce, note bibliografiche.
Prima edizione: “The Dark Heart of Italy”, 2003.
Approfondimento in rete: Wiki en
Gianfranco Franchi, marzo 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Tobias Jones incontra un’italiana in Grecia, se ne innamora, si dimette dall’Independent e si trasferisce a Parma. Impara l’italiano frequentando la Curva Nord del Tardini…