Safarà
2019
9788897561996
Onirico, cerebrale, profondamente oscuro e inaspettatamente viscerale, l'esordio dell'artista irlandese David Hayden, Il buio a luci accese [Safarà, 2019; euro 16,50, pp. 200], tradotto da Riccardo Duranti, è originariamente apparso nel 2017 [Darker With the Lights On, Little Island Press in UK e Transit Books in USA], salutato da una buona critica. Si tratta di una raccolta di racconti, venti in tutto; non c'è nessuna indicazione cronologica, ma a giudicare dall'estrema eterogeneità della raccolta si tratta, per lo più, di pezzi probabilmente già apparsi altrove, in passato, nel corso del tempo, e poi qui assemblati – o almeno questa è la mia interpretazione. L'artista ha qualche problema con le date e col tempo, in generale; da nessuna parte è scritto il suo anno di nascita (potrebbe stare sui quaranta), da nessuna parte ha riferito quando aveva scritto (o già pubblicato) le sue variegate storie. Vuole farci tirare a indovinare – oppure si considera una nemesi dei filologi, vai a sapere.
David Hayden, dublinese, considerato qua e là "eccellente lettore" o giù di lì, aveva pubblicato, sin qua, a dar retta alle asciutte note biografiche di questa edizione italiana, racconti su «Zoetrope» e «Granta»; ma su «Granta» si legge che in precedenza aveva pubblicato pezzi su «gorse», «The Yellow Nib», «The Moth», «Stinging Fly», «Spolia» «The Warwick Review»; a margine, sue poesie erano apparse in «PN Review». Questo suo libro è stato l'esordio di un addetto ai lavori (tra librerie e case editrici, a quanto è dato capire) con un vissuto cosmopolita (intendiamoci: per lo più "cosmopolita nel commonwealth", angloamericano) alle spalle; il nostro irlandese ha vissuto parecchi anni in Australia e qualche tempo negli States, attualmente abita a Norwich, in Inghilterra. La scelta di un traduttore d'eccellenza come l'augusto professor Riccardo Duranti racconta il rispetto che l'editore italiano, la piccola Safarà da Pordenone, ha portato a questo esordio; un esordio salutato con un'enfasi clamorosa dalla Jordan, sul "Guardian" ("Una volta ogni secolo, arriva un libro che non assomiglia a nulla che abbiate mai letto": no, non sta parlando dell'Hypnerotomachia Poliphili, sta parlando di una raccolta di "short stories" di un dubliner, e non è stata l'unica a mostrarsi euforica) – e tuttavia apprezzabile, espressione di una personalità autoriale riconoscibile per le ossessioni (è morbosetto), per la sensibilità gotica e per l'umorismo infantile, e tuttavia artisticamente ancora parzialmente espressa; la «Literary Review» ha speso generosamente i nomi di Beckett e Borges come numi tutelari ben presenti all'artista: atmosfere e influenze beckettiane sono, periodicamente, piuttosto riconoscibili, magari mentre si scolpisce un personaggio come Il banditore; lascerei stare Borges e suggerirei di evitare ogni accostamento, pure velleitario od ondivago, ai suoi racconti o alla sua erudizione, soprattutto per il bene dei lettori di Borges (già che ci siamo: Adelphi ha appena ripubblicato Il libro dei mostri del suo vecchio sodale Wilcock; andate là a cercare uno della famiglia del maestro, non venite qui. Questo libro irlandese è, piuttosto, un demone Legione. Adesso spiego).
Hayden, in questo suo esordio, è capace di dettare divertissement filosofici, come il buffo dialogo Una mela in biblioteca, o di animare altri pezzi ludici, forse leggermente più macabri, metodici (Lettura), e comunque ingenui; è capace di far parlare uno scoiattolo coi bambini, per spiegare seriamente Come leggere un libro illustrato, e probabilmente ha ben presente la lezione di sua maestà Carroll, come questo pezzo dimostra (quando Hayden si misurerà con un romanzo capiremo meglio quante corde sa suonare; per adesso, si intuisce che è un polistrumentista, un virtuoso).
Hayden conosce poi fiammate romantiche (e gotiche), come nel racconto Luci, racconto che contiene – in coda – la battuta che dà il titolo al libro, e vampate di violenza d'una crudeltà degna del Profumo di Süskind: Leckerdam mano d'oro non ha freni. L'artista irlandese è spesso capace di strapiombi onirici, come l'ultradescrittivo La casa dei ricordi, con tanto di epifania di un cuscino che a un tratto "diventa grande come la luna": potrebbe piacere al narratore padovano Paolo Zardi, che sotto ogni cuscino ha recentemente riconosciuto un Dio, nel suo "La gente non esiste". Coi sogni Hayden gioca più volte, con l'insistenza di un Christopher Nolan: il diciannovesimo racconto, Facendomi d'oro, è uno spin off di Inception.
Il primo pezzo, Sortita, si fonda su una delle più riuscite idee della raccolta (ed ha, forse, uno dei migliori incipit), storia di un tizio che è saltato giù dal cornicione (e da un bel pezzo!), protagonista di un'eterna caduta (quasi luciferina), perché "il suolo era più lontano di quanto mi aspettassi e anzi, come se non bastasse, pareva allontanarsi". Non mancano esercizi di stile (Dopo lo spettacolo), piuttosto manieristi, e strambe vicende gotiche (I resti del mondo che fu), complete di cornacchia parlante: secondo Justine Jordan, in questo frangente, la famiglia protagonista della storia incarna dapprima un mito della creazione, quindi un mito della distruzione (interpretazione condivisibile). Inquietante.
Ciò che ho trovato più limitante, in questa esperienza estetica, non è la scarsa linearità, ma l'eccessiva eterogeneità dei pezzi; da certi punti di vita, Hayden ha pubblicato un quaderno sperimentale – per la varietà, l'estraneità dei pezzi tra loro, la pochissima coerenza. L'esito è irregolare, a volte spiazzante o comunque infestante, altre volte meno incisivo e meno apprezzabile. È comunque, intendiamoci, un risultato "estremamente personale", anarchico e fertile.
Veniamo a qualche rilievo grafico. Giuseppe D'Orsi, art director della Safarà, ha spiegato, nelle "note sul progetto grafico", che per la copertina ci si è ispirati "alle atmosfere oniriche, al contempo terribili e suggestive" del libro: nelle parole dell'illustratrice Laura Pizzato, "il volto della donna intende avvertire il lettore che ci troviamo nel profondo dell'inconscio, dove l'Io è labile e la percezione del sé multipla, deformata, eppure in qualche modo più acuta e penetrante": i colori fluo – spiega D'Orsi – "intendono evocare gli improvvisi bagliori di consapevolezza che si accendono nella mente quando, pur immersi nel buio, il nudo fatto dell'esistenza, gli oggetti e le persone emergono nell'oscurità con abbagliante nitidezza".
Gianfranco Franchi, aprile 2019
Per approfondire, J. Jordan sul Guardian / Luigi Loi per I libri degli altri / S. Mortland in Pank Magazine / Ian Maleney di Irish Times.
Malinconico, cerebrale, profondamente oscuro e inaspettatamente viscerale, l’esordio dell’artista irlandese David Hayden, Il buio a luci accese [Safarà, 2019; euro 16,50, pp. 200], tradotto da Riccardo Duranti, è originariamente apparso nel 2017 [Darker With the Lights On, Little Island Press in UK e Transit Books in USA], salutato da una buona critica