Identità distorte

Identità distorte Book Cover Identità distorte
Massimo Maugeri
Prove d'autore
2005
9788888555614

Opera prima di Massimo Maugeri, artista catanese classe 1968, “Identità distorte”, pubblicato nel 2005, è un’opera capace di confederare, alternandoli, diversi generi. Semplificando potremmo definirlo un thriller contaminato: in almeno due frangenti dal prosimetro, altrove dalla tragedia e dal noir (mi riferisco alla notevole definizione di “noir” di Evangelisti) – sotto i sempre chiari auspici della lezione identitaria pirandelliana. Ambientato tra Catania e New York, mostrando quindi promettente consapevolezza del rapporto vassallatico tra le nostre imprese (e la nostra cultura) e quelle dello Stato egemone, è un’allegoria del tracollo della borghesia di una città occidentale che ha perduto identità, orgoglio delle differenze e delle peculiarità, in nome d’una desertificante omologazione al modello yankee. E che quando ne assume coscienza s’inchioda: deraglia, si sgretola.

Il protagonista – Claudio Crivi – è un alfiere della c.d. “new economy”, l’industria che giurava di poter vivere sganciandosi dalla “materia”, fondandosi sulla Rete: abbattendo quelle “infrastrutture” dal sinistro eteronimo di “risorse umane”. Crivi fonda un’azienda sul non è: dalle vetrate del suo ufficio, guarda l’Etna come fosse lo skyline di NY, precipitando nelle diaboliche dinamiche della Borsa, e delle speculazioni industriali. E non a caso termina la sua prima esistenza, come vedremo, nel buio d’un ascensore. Sospeso nel vuoto.

Nel niente. È un pioniere d’una Catania che viene – simbolicamente – descritta nella sua essenza soltanto durante un funerale; altrimenti risulta difficile decifrarla, se non per via di qualche nome. Campioniamo il frammento in questione, ottima testimonianza dello stile e della qualità della scrittura di Maugeri, e della sua capacità di dipingere il suo territorio: Al centro della piazza barocca l’elefante in pietra lavica, u’ liotru, svettava sulla fiumana di corpi assiepata dinanzi alla Cattedrale, nel tratto che va dall’imbocco di Via Etnea a Porta Uzeda. Con i suoi occhi bianchi u’ liotru osservava placido i volti appesantiti e caduchi degli uomini e delle donne in attesa. Dietro un sorriso abbozzato pareva percepire i suoni, le voci, i bisbigli della città. Di quella città di cui esso stesso ne era simbolo. Di quella città dove bene e male, luci e ombre, sacro e profano si erano avvicendati in un flusso continuo di eventi che gli erano scivolati addosso; lievi, uniformi, come l’acqua a linzolu della Fontana dell’Amenano. E tutto aveva compreso, assorbito, captato; quasi che l’obelisco egizio di granito di Syene, che imperioso si stagliava dalla sua schiena per più di tre metri e mezzo d’altezza, non foss’altro che una potente, maestosa antenna ancestrale” (Quattro, p. 74). Seguono a questa descrizione, naturalmente, campane a morto.

Maugeri poteva tenere i fili di un thriller classico, giocando su qualche nobile citazione cinefila e letteraria; l’essenza del romanzo è diversa dalla sua confezione. La confezione è quella d’un romanzo-matrioska, verità a incastro, da giallista evoluto, di mestiere. Potrà contentare e titillare la curiosità del lettore appassionato del genere, sensibile magari a stilemi e dettami del noir postmoderno. Ma io dico che l’essenza è altra, è quella d’una drammatica satira del proprio tempo, gli ingranaggi narrativi non m’ingannano: allegoria e satira del precipizio nichilista post diluvio consumista e capitalista, dell’incandescenza delle anime morte nelle carcasse vive del borghese-automa auspicato dalle industrie, dell’incomprensibile importanza assegnata alle logiche di chi muove denari (valori) inesistenti tra industrie esistenti, a danno dei cittadini. L’economia. Assieme, tutto questo trascina via vite umane: nel romanzo, ci troveremo di fronte a qualcosa di simile a un ecatombe – con tanto di inattese e irrazionali “resurrezioni”. Virgoletto a pieno titolo, ma non entro nel dettaglio per non bruciare il piacere della lettura ai neofiti. La resurrezione nel secondo Novecento, ben lo sappiamo e questo posso anticiparlo, è ben altro che mistica o metafisica: mai messianica, in nessun senso. È zombesca, e romeriana. È una metamorfosi disumanizzante. Non si torna dall’Ade per rivendicare giustizia e libertà: l’Ade non più esiste, l’abbiamo ibernato. Si torna da un altro luogo per completare il proprio disegno, per eseguire la propria robotica missione. Per profittare. Di tutto. Va da sé che gli innocenti che s’accostano al palazzo di carta della new economy di Crivi ne rimangono infettati: partim da pedine del suo gioco, partim dal suo genius loci. Quello d’un morto che simula la morte, speculando sui sentimenti d’amore e d’amicizia; e nella morte trascina chi non aveva ancora corrotto.

Al principio della storia, il narratore – extradiegetico, non onnisciente – racconta che Claudio Crivi sfiorò la morte solo qualche anno prima, in barca, al largo di Panarea. Il secondo infarto fu fatale: black-out, sospeso nel vuoto, nell’ascensore della sua azienda. Il primo cortocircuito nella nostra lettura si verifica quando scopriamo che pochi anni dopo, in occasione di un secondo black-out, chi rimane chiuso in quell’ascensore è un giovane appena assunto dall’impresa, Stefano Re; chi ne esce è convinto d’essere Claudio Crivi. Ha memoria soltanto del suo passato, conosce dettagli e segreti dei suoi collaboratori che nessun altro poteva conoscere. Tuttavia beve il caffè dolce. L’epifania della menzogna – la prima – è questa. Crivi beveva soltanto caffè amaro: il doppio fallisce non solo per l’incapacità d’assumere il suo aspetto, ma per l’estraneità alle sue abitudini. In compenso ha tutta la sua memoria. Scisso Stefano Re, a un tratto, e scisso il lettore. Disorientato.

Il vicepresidente dell’azienda è un altro frammento del mosaico. Giordano è un vecchio amico di Crivi. È stressato, sembra voler fuggire da quel lavoro che sta rovinando la sua esistenza. Scrive versi, ama tornare a guardare “Luci della ribalta” di Chaplin. Scrive spesso che la vita è un clown, e quando finalmente accetta la verità di quel che ha scritto non ride, si uccide.

L’altro cardine del mosaico è sua figlia, Lara. Figura funzionale alla narrazione – sosterrà Stefano Re nella sua ricerca di identità e verità, e di analisi e comprensione della sovrapposizione tra “Claudio Crivi” e sé stesso – e giovane promessa d’un futuro diverso. Sembra resistere al crollo di tutto proprio per poter cambiare le cose, per dirottare altrove la sua vita. Intanto, oltreoceano, il controllo del potere non conosce intervallo: soltanto, muta strategie.

Apocalittica lettura di inizio millennio, travolge e mozza il fiato come un noir e ti sospende nel buio d’un ascensore tra un secolo e l’altro: quando tornerà la luce, dovremo decidere quale identità assumere. Dovremo considerare se tornare alla nostra, o assumere quella d’una nazione capitalista e colonialista, che ci tratta da vassalli; e dell’economia e della cultura nostra decide, e nella società incide. Suggerisce Maugeri che la perdita dell’identità non è un gioco di ruolo; l’uomo non è un camaleonte, si traveste ma dentro non muta. Lo scenario può cambiare, l’esito rimane intatto. Nessuna alterazione è una corrosione: solo un mascheramento. La distorsione dell’io ha puntinato il secolo; vediamo di tornare alla dolorosa unità, adesso. Decidiamo a cosa appartenere, e cosa essere. Domani.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Massimo Maugeri (Catania, 1968), scrittore italiano. Ha pubblicato racconti sul mensile di Letteratura “Lunarionuovo”; collabora con diverse riviste e quotidiani. È il curatore del popolare blog letterario “Letteratitudine” dal 2006.

Massimo Maugeri, “Identità distorte”, Prova d’Autore, Catania 2005.

Gianfranco Franchi, Settembre 2007

Prima pubblicazione: Lankelot.