I volatili del Beato Angelico

I volatili del Beato Angelico Book Cover I volatili del Beato Angelico
Antonio Tabucchi
Sellerio
1987
9788838904417

I volatili del Beato Angelico” è una raccolta ibrida: composta da prose gotiche, o di gusto paradossale e borgesiano, o liriche e sentimentali: è un’opera assai prossima a un rinnovamento del culto romantico per la frammentarietà, facile quindi ad apparire un erudito e ben calibrato artificio, a dispetto dell’esibita “poetica della dispersività”. Nella nota introduttiva, Tabucchi definisce questi scritti figli delle claudicanti muse dell’ipocondria, dell’insonnia, dell’insofferenza e dello struggimento: asserisce siano prose “eccentriche a se stesse”, “profughe all’idea che le pensò”: ancora, “rumore di fondo fatto scrittura”. Il lettore si domanda se stia per esaminare, a questo punto, materiale trafugato da un impavido redattore o se l’autore voglia suggerire d’aver pubblicato qualche frammento scritto con la mano sinistra. Nel dubbio che sempre accompagna non solo la lettura e l’interpretazione delle opere letterarie, ma l’esistenza tutta, non m’avventuro e non m’addentro: limitandomi a dire che questa prefazione è – con ogni probabilità – opera d’un cretese.

Al di là dell’occupatio autoriale, il buon lettore ha individuato un testo assolutamente notevole nel libretto – che, da solo, pretende e impone l’acquisto immediato dell’opera. Alludo a “Passato Composto – Tre Lettere”. Sono lettere amarissime, disperate e intense: figlie della riflessione sull’ideale, sulla visionarietà, sul senso dell’esistenza, sulla natura dell’amore, e dell’eternità.

La prima lettera è spedita al pittore Goya dall’ultimo re portoghese della dinastia Aviz, Don Sebastiano (1554-1578), salito al trono ancora bambino (ci illumina, in merito, un’ottima nota), educato in ambiente intriso di misticismo e convinto d’esser nato per incarnare una volontà superiore, e un’elezione a straordinarie imprese. S’imbarcò in una Crociata, capeggiando mercenari e pezzenti, e fu annientato dai Mori: la corona di Spagna s’annesse il regno lusitano. Nella lettera, il re domanda all’artista di dipingere una tela: e “in mezzo al quadro e bene in alto, fra nuvole e cielo, farete un vascello. Esso non sarà un vascello ritratto secondo il vero, ma qualcosa come un sogno, un’apparizione o una chimera. Perché sarà insieme tutti i vascelli che portarono la mia gente per mari ignoti verso lontane coste e negli abissi infiniti degli oceani; e insieme sarà tutti i sogni che la mia gente sognò affacciata alle scogliere del mio paese proteso sull’acqua; e i mostri che essa creò nell’immaginazione, e le favole, i pesci, gli uccelli abbaglianti, i lutti e i miraggi. E insieme sarà anche i miei sogni che ereditai dai miei avi, e la mia silenziosa follia. Alla polena di questo vascello, che avrà figura umana, darete sembianze che paiano vive e che ricordino lontanamente il mio volto. Su di esse potrà aleggiare un sorriso, ma che sia incerto o vagamente ineffabile, come la nostalgia irrimediabile e sottile di chi sa che tutto è vano e che i venti che gonfiano le vele dei sogni non sono altro che aria, aria, aria” (pp. 29-30). Splendido. Ma non basta: la seconda lettera, spedita dalla cartomante di Napoleone, Mademoiselle Lenormand, alla rivoluzionaria Dolores Ibarruri, incontriamo un’altra memorabile riflessione a proposito del crollo degli ideali (p. 34), e a proposito della rabbia che innesca le rivoluzioni dei poveri (p. 31).

La sensibilità dell’artista toscano nei confronti della sconfitta dell’utopia, e della disperazione che non smette d’accompagnare chi ha avuto fede in un sogno, e s’è trovato ad argomentare sul niente (o, sic et simpliciter, a dover ammettere che la meta è questo atroce niente), segna i passi più ispirati e toccanti dell’opera. Torniamo a questo suo “Passato composto”: la terza e ultima lettera è scritta da Calipso ad Odisseo, appena partito (“è trascorso un battere di palpebre”, p. 35): il testo ospita sublimi riflessioni sull’eternità, e sulla mortalità: Calipso invidia e desidera la vecchiezza del suo perduto amore, e da lui si congeda con queste parole: “E invece resto qui, a fissare il mare che si distende e si ritira, a sentirmi la sua immagine, a soffrire questa stanchezza di essere che mi strugge e che non sarà mai appagata – e il vacuo terrore dell’eterno” (p. 36).

Ribadito lo splendore di questa parte del libro, davvero destinata a sfidare la tendenza all’oblio della bellezza e dell’intelligenza cara alla nostra specie, ai cultori dell’opera di Tabucchi possiamo segnalare ottime pagine dedicate, ancora una volta, alla Musa Lisbona (il tetro e malinconico “Ultimo invito”, che chiude la raccolta), il delizioso scambio epistolare intitolato “La frase che segue è falsa. La frase che precede è vera”, che sembra tanto una dichiarazione di poetica e di visione dell’arte e della letteratura, a dispetto delle prime impressioni e delle primitive suggestioni (e cioè che si tratti di frammento puramente satirico), la borgesiana “Storia d’una storia che non c’è”.

Il racconto eponimo è grazioso e irriverente: Guidolino, già Fra’ Giovanni da Fiesole, lavora nell’orto del chiostro; cadono dal cielo, per irregolari intervalli, creature che s’esprimono in un linguaggio che lui solo comprende, e sa decifrare. Sono umanoidi buffi e alati, che non sanno camminare e nemmeno arrancare; soltanto, precipitano nella sua immaginazione (esse rerum est percipi), arrivando a volo raso, di sbieco; salvo poi incastrarsi tra le fronde degli alberi, e finire ingabbiati – ma assieme. Fra’ Giovanni mostra loro la terra e spiega loro cosa sia: li guarda, mentre “(…) si scambiavano colpetti di zampe, affettuose occhiate e tocchi di penne, parlando nel loro modo alare e anche ridendo per la gioia di essersi ritrovati” (p. 23).

E queste stravaganti creature – questi pensieri che si giurava dovessero restare isolati nell’allucinazione, o nella più divertita immaginazione – finiscono a essere protagonisti dei suoi affreschi. Come quelle immagini che lo scrittore ruba ai sogni, sprigionandole per gioco e per necessità nei suoi racconti; ogni alterazione della realtà, e delle proprie percezioni, è già l’origine d’una storia: domandò forse Percefal al Re Pescatore…

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Antonio Tabucchi (Pisa, 1943-Lisbona, 2012), romanziere e traduttore italiano. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sul Surrealismo in Portogallo, ha insegnato Lingua e Letteratura Portoghese nelle Università di Bologna, Genova e Siena. Esordì come narratore pubblicando “Piazza d’Italia” nel 1975.

Antonio Tabucchi, “I volatili del Beato Angelico”, Editori Riuniti, Roma 1997.

Prima edizione: Palermo, 1987.

Gianfranco Franchi, novembre 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.