Mondadori
2012
9788804615415
Romanzo breve d'argomento sentimentale, strutturato in due parti, giocato su uno stravagante simil-flusso di coscienza, sporcato da un disordine espositivo sinceramente dilettantesco, “I sotterranei” è un discreto libretto da performance dal vivo, una sconclusionata vicenda d'amore e di tradimento, un campione di quanto possa essere confusionaria e ossessiva la scrittura sotto l'effetto delle droghe. Non è niente di memorabile; è, al limite, qualcosa di divertente per chi volesse mettersi alla prova con una narrativa sconnessa e – diciamo così - “jazzata”.
Secondo il curatore di questa edizione dei romanzi (Mondadori, Meridiani) di Kerouac, Mario Corona, “I sotterranei” “(...) fu scritto sotto forti dosi di benzedrina in tre notti di luna piena nell'ottobre del 1953, nella cucina della madre a Richmond Hill, Queens, nel periodo in cui JK frequentava l'East Village con Ginsberg e Burroughs. Venne pubblicato solo cinque anni più tardi (...)”.
In Italia uscì per Feltrinelli nel 1963 e venne processato per oscenità, quindi assolto per la “bellezza lirica” di diverse immagini. Kerouac si difese scrivendo al giudice italiano che la forma strettamente confessionale dell'opera si accordava alle “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij (si vola bassi, eh?), nei limiti del “buon senso istituzionalizzato”; secondo JK, l'opera era “salace” ma non “oscena”. Grottesco pensare che nel nostro Paese ci fossero processi del genere, punto. Processi ridicoli e umilianti, per l'intelligenza dei cittadini.
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Narratore, in una violenta, farraginosa ma prepotente prima persona, Leo Percepied – laddove dovremmo riconoscere in “Leo” un omaggio al padre di Kerouac, e in “Percepied” un vago richiamo edipico (“piede ferito”) - innamorato di una nera, Mardou Fox (nella realtà, Alene Lee). È, nelle parole di JK, “un uomo insicuro di sé”, “un egomaniaco”, “un maschio rozzo e sensuale”, ex “bambinone triste”, ora “omone triste e solitario”, ma anche “allegro teppista grande e grosso”: scrive, e sospetta di essere un genio... “[...] ora questo caldo pensiero di grandezza è solo un grande brivido nel vento – perché anche la grandezza muore – ah e chi ha detto che sono grande – ma se anche fossi un grande scrittore, uno Shakespeare clandestino da intimità notturne?”
… e intanto, strafatto di benzedrina, dà vita a questo abnorme, caotico e buffo flusso di coscienza. È una storia d'amore – sic et simpliciter – con questa ragazza figlia di una madre negra morta mettendola al mondo, e di padre mezzosangue cherokee e hobo; la storia del loro primo bacio e della loro passione, dell'essenza autentica del loro amore (“Le cosce contengono l'essenza”), delle loro avventure da drogati e delle sensazioni che ricordano di aver condiviso e sentito, e via dicendo. Lei è “sciatta”, “esile” e “scomposta”; ha alle spalle gravi disturbi mentali, è nera – e questo costituisce ancora un problema nella società yankee, wasp e razzista, e a quanto pare il problema se lo pone anche il narratore. Infine, è – diciamo così – cedevole e portata al tradimento, e questo sembra turbare Kerouac che, una volta lasciato, torna a casa dalla mamma e si mette in cucina a scrivere l'accaduto.
Qualche descrizione è sinceramente infelice, penso a lei distesa “come una piccola mummia”, col naso “leggermente mongoloide se non da pugile”; oppure, a lei donna “di più profonda donnitudine che io abbia mai visto, una brunetta di un'eternità incomprensibilmente bella” (p. 460). Se leggessi passi come questi in uno dei mille manoscritti che piovono ogni anno in casa editrice, subito scriverei all'autore una letterina di due righe ringraziando per la cortese proposta, ribadendo che l'opera è estranea alla linea editoriale della casa editrice.
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Chi c'è nei sotterranei? Persone “hip” che non se la tirano, “intelligenti ma non pallosi, intellettuali marci che sanno tutto di Pound senza fare i saccenti o parlarsi addosso, tranquilli e pacifici come tanti gesucristi”. Tutto di Pound? Ammazza.
Sempre drogati o sbronzi, pronti a bofonchiare qualcosa di vagamente letterario e superficialmente esistenzialista... “ma esistenzialismo americano, il peggiore, il più cool, quello dei tossici sai, li frequentavo, ormai da quasi un anno e ogni volta che quelli andavano su di giri mi sentivo come se avessi infilato le dita nella presa” (p. 435)... sono gli artisti amici di Kerouac – sempre il solito clan dei beatnik, con qualche cammeo di Gore Vidal; per un elenco completo delle corrispondenze tra gli pseudonimi e le reali identità dei vari personaggi, divertitevi a sfogliare il Meridiano Mondadori.
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Cosa ho letto? Una storia d'amore e di droga ambientata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta; il problema principe del narratore sembra quello di dover accettare l'idea di essersi innamorato di una donna di colore; il problema principe del lettore è senza dubbio quello di avere abbastanza volontà e pazienza per star dietro alla narrazione slegata e spezzettata e tutta giocata su sovrapposizioni, ripetizioni e digressioni tendenzialmente insensate del signor Kerouac, da Lowell. Non c'è niente di rivoluzionario a falsare lo stream of consciousness con un po' di punteggiatura d'accatto, nel 1958; né niente di particolarmente spiazzante nel mostrare quanto casino possa fare certa droga nella mente di un narratore. Non mi sono emozionato, mi sono fatto qualche risata. Un po' poco per invitarvi a condividere la lettura del libro. Un po' poco per giustificare la fama internazionale dell'autore. Mistero.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Jean-Louis Lebris de Kerouac, alias Jack Kerouac (Lowell, 1922 – St. Petersburg, 1969), scrittore americano, di sangue franco-canadese, cattolico; fu tra i padri della Beat Generation.
Jack Kerouac, “I sotterranei”, in “Romanzi”, Mondadori, Milano 2001. A cura e con un saggio introduttivo di Mario Corona. Traduzione di Nicoletta Vallorani.
Prima edizione: “The Subterraneans”, 1958.
Gianfranco Franchi, agosto 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.