Laterza
1956
9788876380302
Secondo Coppola e Piccinini, curatori delle opere complete di LB assieme a Luciana Bianciardi, “I minatori della Maremma”, originariamente apparso sul periodico marxista “Il Contemporaneo”, è essenzialmente una testimonianza militante: ma i riferimenti di Bianciardi sono “crociani, non gramsciani”. Non siamo di fronte a un comunista: siamo di fronte a un azionista. Siamo di fronte a un intellettuale sensibile nei confronti delle condizioni dei lavoratori, non a un malato di dogma rosso. Scriveva Montanelli: “Quel tipo di anarchico toscano che, credendosi comunista, parte con la dinamite in tasca alla distruzione della società e poi scopre che l'unica realtà sono l'uomo e i suoi valori morali, mi è familiare – e congeniale – come pochi altri. Ma devo dire che mai lo avevo visto incarnato così compiutamente come in Bianciardi, e rappresentato con tanta disperazione e poesia, intercalati da blasfemi sghignazzi alla Cecco Angiolieri” (Corsera, 2 ottobre 1962; “Antimeridiano”, ISBN, 2005 p. XV).
“Anche se la tradizione (e la letteratura) ha fatto sì che l'italiano medio pensi alla Maremma come alla terra dei pascoli, degli sterminati campi di grano, del palude, dei butteri, delle cacciate al cinghiale, oggi la Maremma è soprattutto una zona di grande ricchezza mineraria. La provincia di Grosseto produce quasi il 90 percento della pirite italiana. Ribolla era, fino allo scorso anno, la maggiore miniera di lignite picea d'Italia. L'Amiata produce un terzo del mercurio mondiale” (p. 12). Rame, argento e cinabro attrassero Romani ed Etruschi: la storia della Maremma è una storia di sfruttamento di notevoli risorse naturali, ci insegnano Cassola e Bianciardi nelle prime, tecnicissime pagine del loro libro-inchiesta (capitolo “Le miniere della Maremma”), destinate senza ombra di dubbio agli specialisti e agli storici dell'industria locale, prima ancora che ai lavoratori. Ed è una storia di dolorosa battaglia contro la natura per colonizzarla: bonificarla è costato, a partire dal 1765 (Pietro Leopoldo granduca di Toscana), decine di migliaia di morti.
Com'è la miniera? “Una città sotterranea, con vie principali, piazze, slarghi, incroci, vie secondarie, vicoli ciechi”, scrivono gli autori (p. 33), raccontando la differenza tra le gallerie primarie e quelle secondarie e spiegando cosa si faccia oltre ad aprire ed armare le gallerie (riempire vuoti, illuminare, stabilire le premesse per la ventilazione e per l'eduzione – ossia lo smaltimento – dell'acqua). Quanti erano i lavori in miniera, nel 1952?
Il Ministero del Lavoro parlava di: Minatore, in genere; Tracciatore minatore; Minatore di carbone; Perforatore con martello; Fuochino-carichino; Sgabbiatore, Ingabbiatore-Boccaiolo; quindi, come manovali: Manovale, in genere; Manovale di pozzo di perforazione; Manovale di galleria; Vagonista; Manovale di laveria; Ferratore; Lampionista. Turni da otto ore ciascuno; a sorvegliare le compagnie un operaio esperto, il “caporale”. Malattia più frequente, la silicosi – spesso accompagnata dalla tbc. Mortale. 200 casi l'anno, negli anni Cinquanta, a fronte di circa 3500 impiegati. Altra malattia classica era l'intossicazione da mercurio, l'idrargismo. Può portare alla demenza o al suicidio.
Infortuni sul lavoro: statistische preoccupanti già allora. In due anni, tra 1951 e 1953, da 3761 a 5035 l'anno. Cause, l'aumento della produzione a dispetto della diminuzione o della stasi della manovalanza, le attrezzature antiquate, le rivalità politiche e le relative conseguenze ambientali.
Cassola e Bianciardi raccontano tutto dei paesi dei minatori e dei villaggi; della povertà estrema e delle difficoltà di sopravvivenza dei cittadini lavoratori; di come e dove dormivano; delle loro storie di emigranti (efficaci e toccanti i ritratti ospitati nell'ultimo capitolo); delle rivalità politiche e delle noie subite da quanti si facevano portavoce delle rivendicazioni sindacali; e qui la questione si fa indubbiamente interessante. Il clima politico dell'epoca (1956) non poteva che rivelare un enorme numero di militanti del partito comunista – sindacalizzati CGIL – tutti o quasi (c'erano dubbi?) ex partigiani, magari della primissima ora. Non stupisce leggere, in questo studio, degli scontri d'antan tra fascisti e comunisti, né di quelli precedenti e successivi tra padroni e operai: un pizzico di perplessità, magari, si nutre leggendo delle somiglianze tra repubblicani e fascisti (p. 88), o delle antiche limpide compatibilità tra liberali e fascisti. Questioni niente affatto marginali, sicuramente extra-letterarie. Lasciamole scivolare via. Meglio.
Cassola e Bianciardi documentano e raccontano la strage di Niccioleta (p. 95), terribile rappresaglia nazista contro i minatori comunisti (o semplicemente antifascisti) avvenuta nel periodo bellico, calcando la mano sulla responsabilità dei fascisti del posto; è molto triste pensare che dei lavoratori, spesso emigrati in Toscana da tutta Italia pur di sopravvivere, pronti a ogni sacrificio pur di garantirsi una decorosa esistenza in vita, siano finiti così; più ancora non riuscire a decifrare fino in fondo le cause di una rappresaglia così terribile. Ho la sensazione che non essendo né Cassola né Bianciardi degli storici, ed essendo il periodo della tragedia troppo vicino al loro racconto, non abbiano potuto indagarne a fondo la genesi e le dinamiche. Rinvio la questione al dibattito storiografico. Non ho le competenze specifiche. Mi piace pensare che i responsabili siano stati individuati, nel tempo, e giudicati dai tribunali. Altro non so dire, e non voglio.
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Da un lato, “I minatori della Maremma” rimane un encomiabile lavoro di ricerca, di documentazione e di condivisione empatica delle condizioni e delle sorti dei lavoratori dell'epoca; dall'altro, l'opera si direbbe inficiata e inquinata da una generica, populistica e umanissima passione politica – questo libro poteva diventare un facile e comodo strumento di lotta per quei partiti pronti a speculare sulla pelle dei lavoratori, dichiarandosi loro esclusivi rappresentanti salvo poi servirsene a fini elettorali e poco più. Un approccio rischioso e pericoloso quanto le negligenze di certi padroni, in miniera. Negligenze omicide, a quanto documentano i due scrittori.
Farne un romanzo, di queste storie di minatori, sarebbe stata cosa buona e giusta. Farne un romanzo credibile, triste e doloroso sarebbe stato difficile, ma necessario. Peccato: mi sarebbe piaciuto, sinceramente, leggerlo: leggerlo e tramandarlo.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luciano Bianciardi (Grosseto, 1922 – Milano, 1971), giornalista e scrittore italiano. Si laureò in Filosofia presso l’Università di Pisa, discutendo con Guido Calogero una tesi su John Dewey. Esordì pubblicando il libro-inchiesta “I minatori della Maremma” (in collaborazione con Carlo Cassola) nel 1956.
Carlo Cassola (Roma, 1917 - Montecarlo, 1987) scrittore e saggista italiano.
Luciano Bianciardi, Carlo Cassola, “I minatori della Maremma”, in “L'antimeridiano. Opere complete. Volume primo”, ISBN, Milano 2005.
Prima edizione: 1956, Laterza, collana “Libri del tempo”.
Gianfranco Franchi, giugno 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Luciano Bianciardi esordisce così, lavorando fianco a fianco con Carlo Cassola, a difesa dei minatori della Maremma…