Passigli
2009
9788836811861
«Napoleone I, la cui carriera ebbe il carattere di un duello contro l’Europa intera, disapprovava il duello fra gli ufficiali del suo esercito. Il grande imperatore militare non era uno smargiasso e aveva poco rispetto per la tradizione. Tuttavia, la storia di un duello, che divenne leggendario nell’esercito, percorre l’epopea delle guerre imperiali». (Joseph Conrad, “I duellanti”, incipit)
Strasburgo, 1800. Storia di due ufficiali di cavalleria, Feraud e D’Hubert, tenenti degli ussari, nemici inseparabili. D’Hubert, aristocratico normanno, è un giovane officier d’ordonnance, addetto alla persona del generale in capo alla divisione. È “alto, con un viso interessante e dei baffi color grano maturo”. Ha la fama di uomo di buoni principi e comprovato equilibrio: è diligente e disciplinato. Feraud, popolano guascone, comanda la truppa. È “basso e tarchiato, col naso adunco e una capelliera di ricci” e lucidi baffetti neri. È istintivo e fumantino. Non è un uomo d’armi, ma un combattente.
D’Hubert è stato incaricato di arrestarlo perché, poche ore prima, ha ucciso in duello un borghese figlio d’una influente famiglia cittadina. Feraud non accetta l’idea che un legittimo regolamento di conti venga punito con un fermo: soprattutto, non digerisce che sia un tirapiedi del generale a condurlo agli arresti domiciliari. Tutto, in quell’uomo, lo irrita. L’eleganza, il distacco, la fermezza: è la sua antitesi, e la sintesi dell’arroganza e dei privilegi di quella Francia reazionaria che Napoleone contribuirà a combattere.
D’Hubert, invece, tratta con indifferenza quello che giudica un sanguigno meridionale, aggressivo e folle. La punta di fastidio che rivelerà sarà fatale: Feraud, pur ferito nell’orgoglio dalla decisione del generale, si risolve a sfidare a duello almeno quel nobilastro lacchè. Decide d’impulso. D’Hubert non può rifiutare: è questione d’onore, si rischia l’infamia. «Un duello, lo si consideri una cerimonia in culto dell’onore o addirittura lo si riduca nella sua essenza morale a una forma di gioco virile, richiede una fermezza d’intenti assoluta, un’omicida austerità d’animo» (cap I).
Il primo duello si tiene nel giardino di Feraud. D’Hubert cerca di contenere i furibondi assalti del suo rivale, percependo, poco a poco, che la sua volontà è semplicemente omicida. Così, con grazia e freddezza, D’Hubert libera un fendente che fa perdere l’equilibrio al rivale; il guascone, caduto rovinosamente a terra, batte il capo e perde i sensi. L’aristocratico normanno s’accerta che non sia morto: sul punto di domandare alla domestica dell’ospite di convocare d’urgenza un chirurgo, si trova a fronteggiare i suoi isterici assalti. Para come può le artigliate della servetta, se ne libera solo per l’arrivo d’un altro ufficiale.
L’eco del duello non tarda a raggiungere le truppe. D’Hubert perde il suo incarico di officier d’ordonnance, torna al reggimento e viene informato del miglioramento della salute di Feraud: che pure, ancora convalescente, già minaccia un nuovo scontro. Nessuno è al corrente delle reali ragioni del terribile dissidio tra i due giovani militari, subito avvolto da un’aura di mistero.
Feraud e D’Hubert diventano popolari per via dell’accaduto: c’è chi s’immagina che si tratti d’un’inimicizia lontana nei secoli, avallando l’ipotesi che i due si siano reincarnati per potersi battere ancora; c’è chi propende per una rivalità sentimentale. Nessuno capisce, nessuno comprende.
Il secondo duello si svolge durante un periodo d’armistizio, al termine d’una campagna militare. Stavolta è l’elegante D’Hubert ad avere la peggio: una ferita al fianco che pure non serve a mitigare il furore di Feraud, che s’ostina a non giudicare chiusa la contesa, nonostante le proteste dei compagni che auspicavano la conclusione delle ostilità tra i due.
La conciliazione fallisce, vane le mediazioni di tutti: per tramite d’un colonnello, si riesce a impedire che per un anno i due possano sfidarsi. Giusto al termine della tregua, l’aristocratico D’Hubert viene promosso: Feraud non può più appellarsi al codice d’onore, deve assolutamente ottenere lo stesso grado: il rischio, altrimenti, è la corte marziale. A costo di grandi fatiche, dopo la campagna di Austerlitz, Feraud è capitano e può sfidare, in Slesia, l’odiato nemico.
Il terzo duello è un bagno di sangue. È soltanto la generosità dei commilitoni a impedire che i duellanti si massacrino. E a questo punto nessuno dei due sembra più voler accettare una conciliazione: neppure il sobrio D’Hubert, risoluto a concludere quella che non è più una noia, ma un punto d’onore, con la morte del rivale. L’ennesima guerra rinvia lo scontro.
Prima del quarto duello, previsto a cavallo (per variare, chissà, la monotonia dei precedenti o in segno di rispetto all’ordine dei duellanti), il normanno è preoccupato e sente il presagio d’una morte prossima a venire: scrive addirittura il testamento. Contrariamente alle sue previsioni, ferisce alla fronte il guascone al primo assalto.
La guerra separa i duellanti. Feraud è impegnato nella spedizione in Spagna, D’Hubert in Polonia: passano gli anni, e fervono i preparativi per la sfortunata campagna di Russia. Sullo stesso fronte, i due vivranno i momenti più difficili della guerra: la sorte li vedrà fianco a fianco contro un comune nemico, in un singolare momento di vera coesione. Un istante. La caduta di Napoleone, la disgrazia dei suoi fedelissimi e le inevitabili successive repressioni stanno per rovinare Feraud. A sua insaputa, è D’Hubert a evitargli guai.
Entrambi generali, anno 1814. Feraud vuole l’ultimo duello. Con le pistole. D’Hubert è un gentiluomo di quaranta anni che s’avvicina all’idea del matrimonio, vive un momento di nebbia e d’ombra. Feraud è un guerriero indomito che non accetta i rovesci della sorte di Napoleone e non sopporta l’idea che la contesa col nemico di sempre si sia impaludata. Vincerà il normanno, e non pretenderà la morte del nemico: che rimanga pure a sua disposizione, dopo quindici anni di odio. Ma che non sappia mai, nei giorni della pensione, che quel denaro proviene dalle sue tasche. D’Hubert non può recidere la radice della sua esistenza: il suo doppio e il suo contrario, suo nemico, e suo fratello; sua sorgente di gloria, di dolore e di senso.
Il romanzo breve, narrato in terza persona, è strutturato in quattro capitoli. Originariamente, era ospitato nella raccolta di racconti “A set of six”, pubblicata nel 1908. Deve la sua rinnovata fortuna alla riduzione cinematografica di Ridley Scott, sua opera prima, datata 1977. Interpreti, Harvey Keitel e Keith Carradine.
«[…] “In questa faccenda, secondo me, c’è stato dal principio alla fine qualcosa che nessuno di noialtri, nell’esercito, è riuscito a capire” dichiarò lo chasseur dal naso sbreccato. “È cominciata nel mistero, nel mistero è proseguita, e nel mistero, a quanto sembra, deve finire” […]» (Joseph Conrad, “I duellanti”, IV).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Joseph Conrad, pseudonimo di Jósef Teodor Konrad Korzeniowski (Beredičev, Ucraina, 1857 – Bishopsbourne, Kent, 1924), saggista, drammaturgo e romanziere inglese di origine polacca.
Joseph Conrad, “I duellanti”, E/O, Roma, 1994. Traduzione di Leonardo Gandi. L’edizione esaminata, fuori commercio e riservata a lettori e abbonati de “L’Unità”, si segnala per una fastidiosa e irritante quantità di refusi.
Prima edizione: “The Duel” in “A set of six”, 1908.
Traduzione cinematografica: “I duellanti”, di Ridley Scott. Uk, 1977.
Gianfranco Franchi, novembre del 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.