Feltrinelli
2005
9788807830051
“Homo Faber” (1957): ossia cosa succede quando un uomo razionale e freddo si trova tutto a un tratto a dover ammettere che il destino esiste; e che può essere tragico, edipico, di una malvagità assurda. Il romanzo di Frisch, al di là dei chiari debiti nei confronti della classicità (involontario incesto, predestinazione, estinzione del ghenos: sarebbe piaciuto agli Ateniesi), è un'opera capace di affrescare i dubbi e le fragilità della civiltà occidentale e dell'uomo moderno, nel Novecento; mette a nudo le debolezze della specie massacrando un'esemplare intelligenza razionale e tartassando di dubbi, sensi di colpa e angosce una personalità determinata e consapevole, raccontando la rovina della sua esistenza e la sua terribile maledizione. Ne deriva un'opera intensa, triste, narrata per improvvisi flashback (analessi) e flashforward (prolessi); a un tratto, quando l'intreccio diventa chiaro e prevedibile, lo sguardo del lettore si concentra sul dramma interiore del protagonista. Si chiama Faber. È un “Homo Faber” del suo destino, come da lezione Latina (scriveva Appio Claudio Cieco, “Faber est suae quisque fortunae”): “ciascuno è fabbro della sua sorte”. Non sempre volontariamente.
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“Tra il probabile (che gettando 6 miliardi di volte un normale dado a sei facce escano circa 1 miliardo di “uno”) e l'improbabile (che in gettate con lo stesso dado si abbiano 6 “uno”) non c'è una differenza essenziale, ma solo una diversità di frequenza, laddove ciò che è più frequente appare da principio più credibile. Ma quando poi sopravviene l'improbabile, non accade niente di soprannaturale, nessun miracolo o come simile, come il profano vorrebbe” (p. 28)
Incontriamo Faber, la prima volta, come passeggero di un aereo. Cittadino svizzero, sta per sbarcare negli States. Lavora come aiuto tecnico ai paesi sottosviluppati, per l'UNESCO. È un tecnico: uno “abituato a guardare le cose come sono” (p. 31). Un professionista coscienzioso, freddo, al limite della pedanteria. Uno che ha viaggiato per il mondo risolvendo problemi ingegneristici e aiutando le economie delle nazioni deboli. Uno senza troppi sogni, concreto, pratico, lineare.
Sbarca a Houston, e deve prendere un altro aeroplano, per il Messico. Attende. Ha un piccolo malore, si riprende, l'altoparlante chiama il suo nome ma lui preferisce non rispondere all'appello. Infine viene ritrovato da una hostess, e sale a bordo. Destino. L'aeroplano è in avaria, atterraggio di fortuna nel deserto. A sessanta miglia dalla strada più vicina. Faber non ha emozioni. Attende che vengano a riprenderlo; intanto, scopre che il suo vicino di posto è il fratello di un suo vecchio amico, Joachim, marito del suo primo amore, Hanna. E che viaggia in cerca di lui: è sparito da qualche mese, non dà più notizie. Da questo momento in avanti ha inizio la storia.
Faber era innamorato di Hannah, quando erano giovani, e voleva sposarla nonostante il tragico clima politico: lei era un'ebrea sanguemisto, e avrebbero sicuramente avuto problemi. Non importava – lui ne era innamorato, era pronto a tutto. Aspettavano un bambino. Lei non voleva che Faber fosse il padre; se ne era andata, così, con Joachim. Adesso Faber sta per scoprire che il vecchio amico s'è tolto la vita, senza una ragione – come spesso accade.
Adesso Faber sta per finire la sua relazione con Ivy, una modella, giovane e già innamorata dei matrimoni. Dopo di lei ci sarà un nuovo incontro. Una ragazza ancora più giovane, Elisabeth (Sabeth). In lei c'è qualcosa di famigliare. Qualcosa che gli restituisce il ricordo di Hannah. Faber non sa fino a che punto è così, e presto si ritroverà a scoprirlo, tragicamente. Fermiamoci qui, con la trama.
Com'è Faber? Frisch ne delinea così la personalità: è uno che non ama i romanzi. Non ha interesse per i sogni. Non si sente a suo agio quando ha la barba lunga: si sente come una pianta. Odia il sudore, gli dà la sensazione di essere malato. È sempre stato sano. La prima vera malattia lo distruggerà. Detesta gli artisti, per la loro estraneità alle scienze. Odia i complessi di inferiorità. È angosciato dalla sovrappopolazione. Diffida del romanticismo. Dei musei non sa che farsene. Ama le belle donne. Ha nostalgia di una soltanto. In tutte rivede e ritrova qualcosa di lei.
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Se nelle prime pagine del romanzo si ha la sensazione che qualcosa di tragico stia per accadere a bordo dell'aereoplano, per via dell'incidente, presto ci si accorge che la tragedia è figlia dell'incontro che il protagonista farà a bordo dell'aereo: “razionalmente”, un guasto meccanico si riesce a risolvere. Uno psichico, uno animico no. Non si può. Non c'è tecnica o medicina che tenga.
Man mano che avanziamo nella storia, sprofondiamo nella memoria di Faber, e nel suo incoscio. Non possiamo spezzare o interrompere gli eventi, non possiamo impedire che il passato riemerga e s'impossessi del presente, non possiamo salvare il neo-Edipo dalla sua nuova incarnazione. Una volta ancora, assistiamo a una sconfitta tremenda dell'umanità, e la lezione non c'è – se non di avere pietà per tutto, non soltanto per sé stessi, e di restare umili (ma non sconfitti) di fronte al mistero della vita. Mistero della vita che né la scienza, né la tecnologia, né la filosofia spiegano, risolvono e dominano; e la letteratura si limita a cantare. Cosciente della sua impotenza e della sua limitatezza, riesce a dargli un senso. Uno per volta.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Max Frisch (Zurigo, 1911 – Zurigo, 1991), architetto e scrittore svizzero di lingua tedesca.
Max Frisch, “Homo Faber”, Garzanti, Milano 1966. Traduzione di Aloisio Rendi.
Prima edizione: 1957.
Adattamento cinematografico: “Homo Faber”, di Volker Schlöndorff, 1991.
Gianfranco Franchi, settembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.