EDIT
2007
9789532300673
Non stupisca la pubblicazione, nel 2007, di queste “clausole medievali”: rivisitazione sensibile e accorta d’un passaggio, quello dal medioevo all’umanesimo, fondante per la cultura mediterranea e per la letteratura italiana. Non stupisca perché quello era un tempo in cui le letterature circolavano (male, ma liberamente) al di là dei confini dei regni e degli imperi, per suggestioni romanze e quindi, diremmo oggi, europee occidentali; tornando all’etimo, ricordiamo: romanze e cioè neolatine, Romane. Tanto che i chierici del nostro nuovo medioevo contemporaneo, avventurandosi nella c.d. “Storia della Letteratura Italiana”, scopriranno non poche difformità e stravaganze nella storia della nostra letteratura dell’undicesimo e dodicesimo secolo, a partire dalla compresenza di diverse lingue. Confusioni che soltanto lo Stato Moderno e il suo imponente apparato propagandista, menzogna moloch, ha saputo risolvere forzando la mano e riscrivendo il passato, assicurando che era italiano chi non sapeva d’esserlo, perché “italia” altro non era che una nostalgia Romana dei letterati, un ormai splendido “non luogo”. Ma questa è un’altra storia, ne riparleremo.
Non stupisca la scelta, dicevo, di pubblicare “clausole medievali” perché l’autrice si trova a vivere in una delle più antiche aree romanze, perdute oggi e destinate a combattere eroicamente per tenere viva la coscienza di sé, della propria storia e delle proprie radici, a dispetto della giovane, viva, plurietnica e forte ondata slava del sud. Vlada Acquavita è istriana: mi spingo, per ragioni di sangue, a leggere il significato della parola “istriana”. Per me significa né italiana né croata, significa cittadina d’una terra d’area in generale latina, quindi romanza, caratterizzata da una popolazione costiera un tempo a maggioranza assoluta italiana, e da una popolazione rurale decisamente meno numerosa, un tempo a maggioranza relativa slovena o croata: tutte governate, tendenzialmente e storicamente, da Venezia e dall’Austria, negli ultimi sette secoli. Con tolleranza e intelligenza. Sino a circa cento anni fa, quando è sopraggiunta la menzogna dello Stato Moderno, il delirio delle macro-nazioni, la confusione del centralismo, la massificazione, l’ideologia assassina alfa e quella beta. Per me “istriana” significa cittadina delle patrie lettere italiane, perché non ho dimenticato la storia. E non m’illudono e non m’accecano i favolosi glagolitici che periodicamente spacciano un passato inesistente per storia.
Non stupisca la scelta, ribadisco, perché tra i circa 30mila rimasti, dall’esodo dei 300mila istriani, fiumani e dalmati, è ancora viva la coscienza della storia, del sangue, della terra, del passato. È vivo nuovamente quel non-luogo chiamato Italia, fantasma di Petrarca e Dante. Loro hanno avuto il privilegio di ritornare prima di noi nel medioevo, e dal futuro comunicano. Comunicano concetti chiari. Si chiamano nostalgia, malinconia, amarezza, rimpianto; si chiamano desiderio di ricordare – come viandanti d’un libro di Bradbury – e di tenere vive certe lezioni. Perché magari tra trecento, quattrocento anni gli europei avranno imparato la lezione, e si potrà rinascere.
Medioevo, futuro. Da lì Vlada Acquavita nomina, interpola e interiorizza Valery, Dino Campana, Francesco d’Assisi, Cielo d’Alcamo, il Cantico dei Cantici, Arnaut Daniel, Bernardo di Chiaravalle, avanzando sulle tracce del sacro nei paesaggi istriani, per misteriose rovine e selvatica natura. Castelli, chiese e case del passato sono spettri, “immagini infrante”, nessun restauro e nessun rinnovo. La nuova architettura è una negazione di Roma, Venezia, Austria. È altro, è storia nuova. Vlada cerca quel luogo ineffabile (attenzione) dove la parola “affoga nel silenzio”, in cerca delle tracce del sacro logorato dalla quotidianità. L’allegoria mi sembra chiara, la risposta degli Stati altrettanto.
Vlada è tornata nel medioevo e sa che almeno le piante – come certi libri – non si sradicano mai del tutto. Ecco l’erbario mistico d’una poetessa di lingua italiana – ahi lingua solo letteraria, patrimonio vero di noi pochi e di nessun altro – nuovo Deus e(s)t Amor, nuova discendenza petrarchesca e trobadorica, nuova testimonianza di vitalità di un popolo che qualcuno preferisce credere perduto. Non cercate in questi versi modernità o contemporaneità: troverete soltanto passato remoto e futuro anteriore, come in ogni visione mistica.
C’è una rosa avvizzita nella vigna, dimentica delle radici; e c’è chi maledice il suo esilio. C’è un bestiario che s’addentra in casa come demone meridiano, disarmato con la nuda voce e la protezione della Madonna. C’è quell’antica luce preziosa e casta, e un passaggio improvviso per traduzione d’Abelardo e Eloisa, dell’amore riunito in Cristo e per Cristo. Ci sono canti soavi che giungono da oltremare, e da lontano veleggia un sogno d’amore: rosa bianca sprofonda nel sogno. Ci sono le prime attestazioni del volgare nel territorio di Umago, ci sono leggende apocrife e rivisitazioni. Commentario e note per chi vuole approfondire. Capire è un po’ più complesso, mi rammarica ammettere che soltanto chi ha sangue giuliano, istriano, fiumano potrà capire. In Italia – in questa stupenda cartina geografica disegnata, in centoquarant’anni, da mani europee, russe e americane, con poca fantasia e qualche errore di troppo – c’è qualche confusione che dubito possa essere risolta dai partiti, dai media o dalla letteratura. La prima confusione si chiama “italiani”.
Io testimonio comprensione, condivisione, riflessione e interiorizzazione. Per quanto mi riguarda questo è canto soave e lirico che giunge da oltremare. Intanto, confido ai rimasti quel che ripeto agli esuli e ai miei strani concittadini italiani; è tornato il tempo di contarci e di sopravvivere, salvando i libri e discutendo dei libri per come possiamo e quanto possiamo: siamo chierici, siamo tornati chierici e bisogna prenderne coscienza. L’Italia non vuole letterati e non vuole letteratura. Perché è una menzogna di nazione, non ha storia perché la riscrive e la cancella in fretta: ha solo letteratura. A quella m’appello, m’uncino, m’aggrappo, speranza di comprensione e comunicazione.
Tutto il resto è espressione.
“Che, in Istria, interi capitoli di storia sono stati inghiottiti dalla nebbia, è noto. Altrettanto noto è che antichi castelli e palazzi sono in attesa di restauro” (p. 127). Cara Vlada, potrà l’Europa se saprà essere asburgica. Né Italia, né Croazia: tertium non datur?
(tertium è letteratura, io dico)
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Vlada Acquavita (Capodistria, 19xx-Umago, Istria, 2009), scrittrice, saggista e poetessa italiana e croata. Vive e lavora a Buie d’Istria. Laureata in Lingua e Letteratura Francese a Zagabria, ha esordito pubblicando “La rosa selvaggia e altri canti eleusini” per l’Accademia Casentinese nel 1997.
Vlada Acquavita, “Herbarium mysticum – Clausole medievali”, EDIT – Ente Giornalistico Editoriale, Fiume, Croazia, 2007. Collana Altre Lettere Italiana, 9 (collana degli autori italiani dell’Istria e del Quarnero). Quarta di Vittorio Vettori. Copertina di Erna Toncinich.
ISBN 978-953-230-067-3
Gianfranco Franchi, giugno 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.