:duepunti
2010
9788889987377
“L'Europa è quell'accozzaglia disordinata in cui da secoli ci si conquista, ama e uccide reciprocamente sotto qualche bandiera. È la mescolanza, la fusione, il calderone. L'Europa è Goethe e Virgilio, Napoleone e Hitler. E, così pensava Theo, era l'unica amorevole casa sicura che potesse immaginare per sé. Come una tenda protettiva, che in basso era aperta da tutti i lati” (p. 146).
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Koen Peeters, scrittore belga di espressione nederlandese, classe 1959, scrive il suo “Grote Europese Roman” [“Grande romanzo europeo”, Duepunti, 2010] per “riassumere la storia dell'umanità europea in forma grandiosa, epica, ma dalla prospettiva ristretta di persone che lavorano o abitano a Bruxelles” (“proposito”, p. 7). Ogni capitolo del romanzo è ambientato e dedicato a una capitale, “come se ogni capitale fosse un elemento chimico”: l'idea è quella di dare vita a un sistema periodico, come ha fatto Primo Levi. Come se non bastasse, a Peeters piacerebbe proprio “descrivere la bellezza dell'Amministrazione, l'erotismo del mondo degli affari di Bruxelles. Insieme a voi, all'europea”. Impresa riuscita?
Riuscita è senza dubbio la satira dell'omologazione, da Dublino ad Ankara, da Madrid ad Helsinki. È una satira giocata sulle semplificazioni e sulle piccole menzogne odiosette del linguaggio del marketing, sull'ostinata prepotenza culturale angloamericana che tutto è andata a intaccare e influenzare; è una satira della vita d'ufficio, degli uffici tutti uguali, sempre uguali, a dispetto delle distanze geografiche, con pochi tratti peculiari, per lo più folkloristici. È una satira della mancata nascita d'una cultura nazionale europea, d'una unità sin qua soltanto monetaria, niente affatto economica né politica; è la satira dei piccoli orgogli nazionalistici e delle cicatrici mostruose dei massacri del Novecento, e di quella cultura di plastica che convince poveri cristi di essere scrittori soltanto perchè dà loro il Moleskine di Chatwin.
Altrettanto riuscito è – torna in mente una vaga reminiscenza anni Ottanta, bambinesca e televisiva, “Giochi senza frontiere”: velleitario tentativo di educarci a un futuro che ancora non s'è incarnato, non del tutto e non per tutto né per tutti – il balocco barocco delle “cartoline”; nel senso che questo libro di racconti, appunti e prose sembra essere una raccolta di cartoline, più o meno estese, complete di schizzi e sketch di umanità variopinta e non sempre prevedibile. Trovata molto carina.
Discretamente riuscita è la contrapposizione tra il vecchio grande imprenditore, coscienza non sempre pulita, e il giovane rampollo che prende e va per tutte le nazioni della futura grande nazione, mappando popoli ed esperienze con apprezzabile disinvoltura. Perché “Forse anche le capitali hanno un'anima che si può portare via? Il pensiero è bello, ma francamente ridicolo. Una città non si perde in alcun modo nei suoi visitatori, li dimentica nel momento stesso in cui arrivano” (Peeters, “Grande romanzo europeo”, Praga, p. 103).
“Grande romanzo europeo” è soprattutto un'idea, prima che un buon esercizio di scrittura. L'idea è sensata, ambiziosa: è quella di fermare, nella trasfigurazione letteraria, questo nostro presente che verrà considerato tra qualche decennio come una transizione non del tutto asettica, tra le vecchie patrie e la nuova patria. Peeters ha capito che l'Europa, al di là delle singole memorie e storie non sempre compatibili e non sempre condivise, è un sogno, un'idea: un'idea che va ancora caricata di senso, e di significati. Quelli pacifici vengono subito in mente a tutti; la tolleranza, il dialogo, il rispetto reciproco, il culto delle diversità, l'angoscioso studio delle colpe dei regimi totalitari e di quelli democratici, su un livello naturalmente diverso. Altro verrà da sé, nel tempo. Perché pensando alla Turchia, per dire, è difficile non condividere questo incipit:
“Quanto è grande l'Europa? Non ha mai avuto confini: è dappertutto, dovunque nel nuovo millennio si parla di Europa. Sul giornale la parola 'Europa' era accostata ad Ankara, e aveva lo stesso suono che altrove”. Forse quel suono e basta.
Sì, vi anticipo: si passa per Nicosia ma non si va fino a Gerusalemme. Tra una manciata d'anni potrebbe servire un “Grande romanzo europeo 2.0”. La mia sensazione è che senza Israele manchi qualcosa di determinante per la formazione d'una patria comune. E non credo di sbagliare.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Koen Peeters (Turnhout, 1959), scrittore belga di espressione neerlandese.
Koen Peeters, “Grande romanzo europeo”, Duepunti, Palermo 2010. Traduzione dal nederlandese Antonella Ippolito. Collana “Terrain vague”.
Prima edizione: “Grote Europese Roman”, 2007.
Gianfranco Franchi, aprile 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.