Nutrimenti
2007
9788888389707
Non vuole essere messianico. Forse non vuole essere nemmeno luciferino. È un satiro in fasce. È soltanto un bambino che ha sviluppato con eccezionale precocità il linguaggio, e con abnorme intelligenza interiorizza e apprende opere letterarie di ogni genere e periodo storico: tutto osserva, critica e giudica, ogni cosa descrive e nomina. Ralph, io narrante, è consapevole che tutto quel che vede è infinitamente al di fuori di sé: contempla e analizza, cerca significato in quel che a volte non ne ha. Indaga e investiga la realtà: crede che la realtà abbia un’anima, consapevole di se stessa e di noi; noi la vediamo tutto il tempo e non ce ne accorgiamo (p. 22).
Ralph capisce perfettamente tutto quel che ascolta già attorno ai dieci mesi. E a dieci mesi decide di non comunicare per altra via che non sia la scrittura. Scrive testi sempre più complessi, dalla prima, spiazzante nota simbolica sino a versi, calcoli matematici, racconti, saggi brevi. Ha una promettente consapevolezza della sua edipica attrazione per la madre, e della sua relativa insofferenza per il padre. Non crede di essere un genio: d’altra parte, non sa guidare.
“Io non do informazioni sulla società. Non fornisco alcuna verità sulla cultura. Ho da offrire solo il numero di parole che ci sono qui nel testo e la frequenza e l’ordine in cui sono scritte, insieme ai segni che governano partenze, fermate e pause. Io non amo l’umanità. L’umanità non mi ama. E anche se rispondo a un paio di nomi e a parecchie descrizioni, c’è un solo nome che corrisponde a me. Se volete che dica menzogne, eccovi la verità: la ricerca delle origini della ragione, della logica e del pensiero è ragionevole quanto la ricerca delle origini della funzione corporea chiamata defecazione” (p. 203). Punto.
Questo romanzo di Percival Everett, seconda sua opera tradotta in Italia dopo “Cancellazione” (Instar, 2007), è un’opera complessa e seducente. Ralph si racconta quando ha ormai raggiunto i quattro anni di età, stando alla tracimante inventiva di Percival Everett – l’io narrante trasfigura la sua allegorica e allucinata infanzia di mostro del linguaggio e della conoscenza; è un tributo alla parola e alla filosofia del linguaggio di ben altro spessore e profondità rispetto al molto parzialmente assimilabile, ma non estraneo (del resto è successivo…) “Metafisica dei tubi” della Nothomb. Kaspar Hauser era un dilettante, in confronto: Ralph è ancora in culla quando riflette e medita sulla filosofia di Zenone, Leibniz, Locke, Kant, Socrate, e si confronta con Wittgenstein; per diletto legge Harold Bloom, e Zane Grey, Richard Wright e Fitzgerald, Ezra Pound e Mark Twain, Tucidide e il vilipeso Byron; non mancano nemmeno Swift e Sterne, e il sempreverde Joyce: madamina, il catalogo è questo, salvo errori ed omissioni. Lettore totale, eclettico, onnivoro, non dorme per nutrirsi di bellezza e conoscenza. Non dorme per capire. All’altezza del primo sequestro che subisce sappiamo che stava scoprendo “Daisy Miller” di Henry James. Già, perché nel romanzo Ralph affronterà tutta una serie di sequestri: un grottesco passaggio di consegne, sviluppo fondamentale dell’intreccio, occasione per variare stile nella narrazione, come osserva lucidamente Marco Rossari. E allora lascio subito la parola a chi ha tradotto, metabolizzato e analizzato struttura e stilemi dell’opera.
Marco Rossari scrive: “'Glifo' è un contenitore di stili, un parcogiochi multitematico che parodizza tutti i generi. Troviamo, in ordine sparso: il genere del campus novel, non senza adulterio e tesine poststrutturaliste; il genere psichiatrico alla 'Qualcuno volò sul nido del cuculo' (come non scorgere il ghigno sardonico di Jack Nicholson sui tratti imberbi ma sarcastici del piccolo Ralph?); il genere carcerario, con tanto di evasione rocambolesca; il genere comico antimilitarista, figlio di Joseph Heller e Kurt Vonnegut, via via fino a sconfinare nel demenziale. E così via. Non appena hai imparato a trottare su un tipo di orme, ecco che lo scrittore cambia passo. E tu con lui. Poi arriva un gioco di parole all’apparenza intraducibile, una citazione nascosta, una riscrittura di Wittgenstein. La palla di neve con dentro il sasso” (fonte: Nota del Traduttore).
La critica ha espresso pareri non dissimili. Campiono qualche passo a beneficio del neofita. Scrive Beretta sul 'Corriere della Sera' del 16 settembre 2007: “(…) è uno di quei narratori che assediano le vicende con deviazioni, poesie, note a pie’ di pagina, teoremi, citazioni nascoste e mise-en-abyme. Una di quelle voci narranti, insomma, che fa di tutto per perdere di vista la storia rallentandola o arricchendola, a seconda dei punti di vista, con continui interventi esterni che riflettono sulla vicenda in corso” – ed è bene integrare che queste note a pie’ di pagina, cifra stilistica notevole e divertente, sanno essere quando didascaliche, quando erudite, quando stravaganti, quando folli. Folli, ed estranianti. Penso, per intenderci, a quel che si legge nella nota 47, corrispondente alla frase “Non avevo un linguaggio privato”: lo sguardo scende ai bordi della pagina. Poi legge e si rimane sospesi. La nota dice “Fai tu” (p. 167). Esemplare.
Ancora a proposito della struttura e del corpo dell’opera, per completare il quadro, integro questo passo di Federica Novaro, tratto da L’Indice dei libri del mese, anno XXIV, n. 9, settembre 2007, “(…) Farciscono il libro, oltre al Barthes reinventato, come filtrato da un’opaca fruizione dell’Europa da parte dell’America più autoreferenziale, dialoghi tra filosofi del linguaggio variamente assortiti, lunghe dissertazioni metaletterarie, poesie, schemi grafici di teorici della lingua, note di natura diversa ma soprattutto usate nella funzione di glossa al testo. Il contrasto fra gli accadimenti, che si mantengono a livello di immagini-quadro, distillate dal repertorio più frusto delle fiction televisive, e l’affabulazione iper-tecnicista, frammentata e ricomposta, alterata e piegata, direttamente precipitata sulle pagine dalle ricerche linguistiche strutturaliste e poststrutturaliste, sembra essere, vorticando attorno all’innocente-sapiente, il luogo dove l’autore intende portare il lettore”.
Do per acquisito, a questo punto, che il neofita abbia le coordinate per accostarsi e orientarsi nella sua prossima lettura. Qualche parola a proposito dei personaggi comprimari, non secondari: il padre, intellettuale post-strutturalista, è romanziere frustrato che vira nella critica, devoto a Barthes – qui integrato e dissacrato in diversi cammeo, come spiega la Novaro.
Ascolta la musica senza emozionarsi, come un collezionista. Fisicamente, secondo Ralph, è un faccione gonfio, con un principio di stempiatura. Eroticamente disturba la madre – ma è Ralph a deciderlo – e sembra veleggiare per relazioni clandestine e studentesche (cfr. nota di Rossari sul genere omaggiato). La madre, Eve (nomen sin troppo eloquente), è una pittrice dal talento inespresso, e forse solo potenziale. Ha un lato oscuro che la attrae sino a nutrirsi di lei. Dipingendo – o nell’attesa di dipingere – ha paura di ingannarsi (p. 95). Sarà la prima ad accorgersi e a riconoscere i talenti del figlio, diventando la sua pusher (testuale) di libri. Ralph è figlio di artisti incompiuti. Nasce da un ambiente in cui non può che respirare arte e intelligenza: soprattutto, ricerca di senso. E così, accelerando vorticosamente nel sentiero della ricerca, giorno dopo giorno, riflette sul significato delle idee.
Personificandole: “Dite alle vostre idee di non accettare caramelle dagli sconosciuti. Non permettete alle vostre idee di giocare in mezzo alla strada. Non date alle vostre idee giocattoli con pezzi troppo piccoli: potrebbero infilarseli in bocca e soffocare” (p. 63).
Reificandole: “Ogni tanto mi affezionavo a un’idea che mi assorbiva completamente, ma l’angoscia all’idea che quella concentrazione finisse sminuiva il piacere totale di quell’esperienza. In fondo ero un bambino triste, frequentemente divertito, spesso piacevolmente sconcertato, e attratto morbosamente dalle idee, ma triste, sconfitto dai miei stessi demoni” (p. 95, durante il primo sequestro).
L’idea, per Ralph, è materia. Quest’opera è materia di meditazione e riflessione: perché è lezione di scrittura, stile altro e nuovo, letteratura delle letterature, in un certo senso; narrativa ibrida saggistica, in questo senso pienamente tardo novecentesca, e sicuramente filosofica. Un incontro, in altre parole, folgorante. Lasciatevi cullare.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Percival Everett (Fort Gordon, Georgia, USA 1956), scrittore americano. Laureato in Filosofia e Biochimica, ex musicista jazz, bracciante e insegnante di Liceo. Professore di Letteratura alla Southern California, vive in un ranch con la moglie Danzy Senna. Ha pubblicato romanzi (esordio: “Suder”, 1983), raccolte di racconti, favole e poesie.
Percival Everett, “Glifo”, Nutrimenti, Roma 2007. Traduzione di Marco Rossari. Qui la sua nota. Art Director: Ada Carpi.
Collana Greenwich, 1. Collana fondata da Simone Barillari e Leonardo G. Luccone.
Prima edizione: “Glyph”, 1999.
Nella bandella destra, leggiamo: “Glifo è stato scritto a matita su quaderni ad anelli in un ranch a circa cento chilometri da Los Angeles, soprattutto di notte e in un arco di circa tre mesi, probabilmente durante il 1998. È venuto più facilmente di qualsiasi altro libro l’autore abbia fatto, ma non è possibile determinare con maggiore precisione la data, perché Percival Everett soffre di quella che definisce ‘amnesia dell’opera’ e dice di ritrovarsi spesso con un romanzo finito senza rendersi conto di averlo scritto (…)”.
Gianfranco Franchi, aprile 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.