Giunti
1994
9788809204539
"Capii che intendeva dire che l'immagine – l'immagine mitopoietica che ogni greco si portava dentro, costituita dalla sovrapposizione e fusione di figure diverse: il poeta, il signore, il donchisciottesco e indomito difensore della giustizia, l'inglese probo e amante della libertà – quell'immagine era finalmente crollata, frantumata in mille pezzi, e mai si sarebbe ricomposta"
[L. Durrell, "Gli amari limoni di Cipro", Cap XII, "Fine di un'epoca", p. 279 – trad. L. Corbetta].
La terza più grande isola del Mediterraneo, la selvatica e antichissima Cipro, alle spalle qualche millennio di storia greca e poi grecoromana, un medioevo franco, un secolo di gloria veneziana e poi lo sfregio di trecento anni di dominazione ottomana, s'era affacciata al Novecento come parte dei territori inglesi: strategicamente decisiva per i disegni britannici, l'isola, abitata da una maggioranza assoluta di cittadini greci e ortodossi e da una sparuta minoranza di turchi musulmani, viveva la dominazione inglese con qualche progressiva, ovvia insofferenza: parecchi ciprioti sognavano – come i sardi, come i corsi, come forse qualche siciliano, per restare nel nostro Mare – l'indipendenza; nell'indipendenza credevano come a qualcosa di dovuto, forse di inesorabile, comunque di "naturale"; parecchi altri ciprioti desideravano l'annessione alla madrepatria greca, l'agognata "enosis", sia per una questione storica, religiosa, culturale e spirituale, in genere, sia per tutelarsi dall'angosciosa vicinanza con una nazione, la Turchia, nata dalle pulizie etniche e dai genocidi (famigerato e tuttavia misconosciuto quello degli armeni; meno raccontato quello degli assiri; "proibito" parlare di quello dei Greci del Ponto e dell'Asia Minore; in corso quello dei curdi), sia per avere una prospettiva civile e una possibilità di partecipazione alla vita politica e culturale ben diversa da quella che l'Inghilterra riservava ai sudditi della sua bizzarra e pigra isola, a due passi da Gerusalemme e da Suez. La minoranza turco cipriota, logicamente, vedeva con una certa angoscia la possibilità dell'enosis alla madrepatria greca; probabilmente preferiva la strada dell'indipendenza o di un'amplissima autonomia in seno al commonwealth.
In questo scenario, negli anni Cinquanta – gli anni delicati e complicati raccontati da questo libro – nell'isola si stavano formando i primi nuclei di combattenti rivoluzionari (per gli inglesi, naturalmente, "terroristi") che volevano rivendicare, per cominciare, l'indipendenza dell'isola e la libertà dal giogo inglese. L'organizzazione si chiamava EOKA ("Ethniki Organosis Kyprion Agoniston") ed era animata da giovani idealisti di ogni provenienza politica; il partito comunista cipriota, per capirci, era orientato su posizioni analoghe, non aveva nessuna voglia di giocare all'internazionalismo sotto Union Jack; il leader della rivolta veniva considerato Makarios III, l'arcivescovo. Avatar dei giovani dell'EOKA era un eroe di un poema bizantino (loro dicono, più correttamente, "romano d'oriente", riferendosi all'impero millenario, civiltà leggendaria): Digenis Akritas. Un nome parlante – significa, circa, "il difensore dei confini" e "il bastardo" ("l'uomo delle due genie"): una figura esemplare per la grecità.
È in questo momento e in questo contesto, con Cipro che alza la testa per scacciare il dominatore inglese, pur salutandolo come "amico", invitato a restare nell'isola, ma non come "amministratore" o peggio come "padrone" ("amico", sì, perché non c'è greco che non possa amare l'Inghilterra, per Byron e per il 1821) che è ambientato questo micidiale, oggi introvabile reportage di Lawrence Durrell: "Gli amari limoni di Cipro" [Giunti, 1994; trad. Luisa Corbetta; ed. or. "Bitter Lemons", 1957; Duffer Cooper Prize; in appendice, una "bibliografia scelta" inglese d'argomento cipriota).
Chi era Lawrence Durrell [1912-1990]? Romanziere, poeta e drammaturgo inglese, conservatore e reazionario, leale servitore del Foreign Service del governo britannico (con svariati e complessi incarichi tra Atene, Belgrado, Cairo, Alessandria d'Egitto, Kalamata, Rodi, Cipro e Argentina: un professionista affidabile e duttile) mancato premio Nobel nel 1962 (gli venne preferito Steinbeck), Durrell era un'intelligenza mimetica – parlava perfettamente greco, amava la Grecia come ogni inglese, si sentiva probabilmente parecchio superiore ai poveri greci e ai poveri ciprioti della sua epoca, come ogni inglese; si presentava come scrittore, perché scrittore era, naturalmente non si presentava come "impiegato" dell'ufficio informazioni britannico, diciamo così.
Questo suo "Bitter Lemons" è un libro dalla fondamentale rilevanza storico-documentaristica perché, come ben sappiamo, di lì a poco capitò qualcosa di terribile: ottenuta una particolare indipendenza nel 1959 [Union Jack sventolava ancora su due basi, Akrotiri e Dhekelia: proprio come oggi; antenne angloamericane puntinavano il territorio, dove faceva comodo; da Costituzione, il vicepresidente di Cipro doveva essere un turco, con diritto di veto, etc], cominciarono i prevedibili disordini tra maggioranza assoluta greci e bellicosa minoranza turca [1964: Caschi Blu dell'Onu: stanno ancora là]: nel 1973, l'irreparabile. Colpo di Stato militare greco – golpe – contro il presidente di Cipro, l'arcivescovo Makarios; terrificante reazione turca, chiaramente avallata dal cinismo inglese, con la famigerata e barbarica "Operazione Attila": sbarco sulla spiaggia di Kyrenia, lancio di paracadutisti, inizio dei veri massacri. Esito: ad oggi, 2019, un terzo della Repubblica di Cipro è ferito da un'occupazione brutale e sanguinaria, quella dei turchi; 200mila greco ciprioti sono stati costretti ad abbandonare Kyrenia, Bellapais, Famagosta e Morphou – lasciando case, terreni, cimiteri, storia: tutto – e sono stati sostituiti, nel tempo, da 160mila coloni, illegalmente trasferiti dalla Turchia nell'isola, per alterare definitivamente l'equilibrio demografico dell'isola; 25mila turco ciprioti hanno lasciato Cipro per ritirarsi nella loro neonata, illegale "enclave"; oltre 40mila soldati turchi si trovano nell'autoproclamata "Cipro Nord" – una nazione che nessuno riconosce al mondo, eccetto Ankara.
Nel frattempo, i turchi hanno sradicato e profanato monasteri, chiese, icone sacre, cimiteri, musei (!) e segni della grecità e della cristianità dell'isola dove e come potevano; migliaia i desaparecido; incalcolabili i danni al patrimonio culturale; seviziati e cementificati "ad mentula" tanti terreni. Abominevole. Si parla, ormai, di "pulizia etnica di Cipro Nord" [cfr. Gatestone Institute]
Per questa ragione "Gli amari limoni di Cipro" non è un libro normale, non può più esserlo: non è soltanto letteratura, è un documento di storia cipriota (e di storia greca; e di storia inglese) di eccezionale rilevanza, scritto negli anni in cui l'Inghilterra poteva certamente evitare questo disastro, interpretando con diversa correttezza e ben altra sensibilità le rivendicazioni cipriote. Durrell sembra tragicamente consapevole di tutto questo: da scrittore e da agente inglese.
Ho raccontato tutto questo, prima di entrare a dovere nel libro, perché credo vada anche doverosamente riferito che oggi, camminando per la splendida e ancora parzialmente selvatica Cipro, nel territorio profanato dalla criminosa occupazione turca, può capitare, andando per i vicoli di Bellapais – il borgo greco nato nei dintorni della superba "Abbaye de la Belle Paix", la trecentesca abbazia della pace – può capitare, dicevo, di incrociare una targa in memoria di Lawrence Durrell: sta sulla casa che lo scrittore inglese comprò (!) e poi rivendette, da quelle parti. Segno di una (sordida) amicizia tra turchi e inglesi, o comunque della placida accettazione inglese dell'atroce turchizzazione dell'isola, in nome di bieche convenienze e opportunismi politici; è chiaro che altrimenti quella targa sarebbe andata in pezzi, sostituita da qualche oscuro richiamo a un colono turco di dubbio valore o peggio ad Ataturk (la sua immagine è dappertutto, nell'isola ferita: un incrocio tra Bela Lugosi e un faraone in acido che tappezza Cipro Nord; se vi capita di passare da quelle parti, tra una preghiera, un pianto nervoso e un attacco di rabbia per ciò che state osservando, per la cosiddetta "turchizzazione", per il dramma di quei poveri esuli greci, per tutta questa ingiustizia, fateci caso)
Adesso siamo pronti per entrare nel libro.
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"Questo non è un libro politico" – forse l'incipit più beffardo per un lavoro del genere: "è semplicemente una sorta di ricostruzione impressionistica degli umori e dell'atmosfera tormentata a Cipro tra gli anni 1953 e 1956", promette Durrell, augurandosi che il libro possa "considerarsi un valido omaggio al mondo rurale di Cipro e al paesaggio dell'isola": un racconto della tragedia dell'isola restituito sia "dalla taverna di paese che dal palazzo del governo".
Si tratta del terzo pannello di una trilogia dedicata alle isole greche: in precedenza, Durrell aveva raccontato Corfù ["La grotta di Prospero", "Prospero's Cell”, 1945] e Rodi ["Riflessi di una Venere marina", "Reflections on a Marine Venus " 1953].
La partenza è simbolica come poche altre – Durrell, reduce dall'incarico governativo a Belgrado e da cinque anni passati in Serbia, s'imbarca a Venezia, consapevole di partire da una delle madri di Cipro: "A Cipro Venezia non mi sarà mai lontana, perché il leone di san Marco cavalca ancora le umide atmosfere di Famagosta e di Kyrenia": a Famagosta, l'eroico Marcantonio Bragadin era stato protagonista, cinquecento anni prima, di una leggendaria difesa del borgo, assediato per un anno intero, ed era caduto vittima di un classico tradimento turco – era finito scuoiato vivo, con un interminabile oltraggio pubblico, pur resistendo con esemplare stoicismo alle torture e alle sevizie nemiche. Durrell medita sulla storia dell'isola: "Le diverse invasioni l'hanno disgregata ed erosa, ammucchiando monumenti su monumenti. Le diatribe di monarchi e imperatori l'hanno macchiata di sangue, hanno più volte logorato e ravvivato il suo paesaggio con moschee, cattedrali e fortezze. Nei flussi e riflussi di storie e cultura è stata di volta in volta un punto critico dove ariani e semiti, cristiani e musulmani si sono incontrati in un abbraccio mortale. Lì san Paolo ha ricevuto la meritata fustigazione per mano degli abitanti di Tafos. Antonio fece dono dell'isola a Cleopatra. Afrodite..." [p. 20].
Sbarca a Limassol, in un "silenzio stupefatto e pesante". Quel silenzio dura poco; Durrell cerca subito di spezzarlo parlando in greco coi ciprioti. Sulle prime, incontra soltanto addetti che rispondono in inglese: "Per loro cedere al greco con chiunque non fosse un contadino avrebbe significato perdere la faccia". Scoprirà, poco a poco, un popolo che va matto per il vino, e per la libertà ("la nostra libertà"): a qualcuno di loro dirà che si è presentato nell'isola perché voleva imparare a bere, e in cambio gli verrà domandata una cosa soltanto: la libertà. Scoprirà un popolo di eccezionale ospitalità. La parola magica è "kopiaste", circa "siedi e condividi".
Scoprirà un popolo che vive nel mito della Grecia: "l'idea che hanno della Grecia è quella del paradiso in terra: un paradiso senza difetti [...]. Tutti sono invidiosi del buon carattere dei greci e tutti cercano di essere il più possibile come loro" [p. 129]. Dappertutto, nell'isola, scritte per l'enosis: "Enosis e solo enosis", la mitizzata annessione alla madrepatria greca. Come era già capitato a Creta. Le radici dell'enosis si nascondono negli "abissi di un processo storico inconscio" [p. 140-41]: nell'eredità millenaria di Costantinopoli. "Non c'è nulla di antinglese nell'enosis" – spiega qualcuno [p. 119], a conferma della memoria riconoscente del Risorgimento Greco e dello spirito filelleno dei britannici. I ciprioti sembrano dare per acquisito che gli inglesi siano filantropi e filelleni al contempo – un popolo degno di Byron (oggi diremmo: di Byron e di Leigh Fermor. "Paddy" in questo libro fa più di un cameo; l'aneddotica sul suo ellenismo perfetto cresce).
Il primo alloggio di Durrell è nel porto di Kyrenia: "L'unico di Cipro che – pieno di colore, minuscolo, ben tenuto e incantevole – possieda qualcosa della vera allure cicladica. È situato nel punto in cui le colline di Kyrenia si affacciano al mare [...], dove le montagne sprofondano e riemergono dall'acqua, si dissolvono e ricompaiono evanescenti come la promessa di un miraggio nel deserto" [p. 29]. Siamo nella parte dell'isola più verde e più bella, e tuttavia vicina alla capitale, Nicosia. Dalle parti di Kyrenia è purtroppo cominciata una sconcia speculazione edilizia "da periferia delle città inglesi di provincia": Durrell se ne stanca presto e cerca qualcosa di differente. Cerca una casa di paese a poco prezzo, per restarci qualche anno ("forse anche per sempre"): i greco ciprioti gli segnalano un buon agente immobiliare, turco cipriota. Sarà così bravo da scegliergli una casa nel piccolo borgo della superba, piccola Bellapais, non lontano da Kyrenia.
"Ero preparato a qualcosa di bello, sapevo che le rovine del monastero di Bellapais costituivano una delle migliori testimonianze gotiche del Levante, ma non ero preparato alla bellezza mozzafiato del paesino, che circonda e custodisce il monastero serrandolo contro il fianco della montagna. Poco oltre l'ultima salita la strada descriveva una serie di curve in uno scenario di aranci e limoni sprofondato nel frastuono dell'acqua. Mandorli e peschi in fiore lambivano la strada, inverosimilmente perfetti come in una scenografia giapponese. Il paese scende per un centinaio di metri lungo la strada e la costeggia con case grigie di tipo tradizionale, con le volte ad arco e le porte intagliate inserite in antiche modanature. Poi, passati sotto un arco, si sbuca sotto l'Albero dell'Ozio; da lì si completa la strada fino alla piazza principale, all'ombra dell'abbazia. Giovani cipressi si piegavano all'indietro contro il cielo, resistendo al vento; tra i mandorli, grandi aiuole di rose stupende. Tutto giaceva desolato sotto la pioggia" [p. 61].
Durrell riconosce "la purezza e l'autenticità di un villaggio cretese" in quel borghetto; scopre che gli abitanti sono tutti paciosi e longevi, "tutti proprietari di terre, bevitori di caffè e giocatori di carte. Pare che qui non muoia mai nessuno" [p. 84]. L'abbazia che dà il nome al paese è di una bellezza sconcertante: "anche in rovina, è una testimonianza di coloro che hanno provato, pur senza raggiungere la perfezione, a catturare e trattenere l'essenza più profonda dell'immaginazione, che sta nel pensiero, nella contemplazione [...]" [p. 87]. L'abbazia è viva – ogni domenica le campane suonano e i paesani vanno a messa. Metà delle case del paese sono costruiti con blocchi di pietra che un tempo le appartenevano.
E così, comincia la routine di Durrell nel borgo incantato e nell'isola selvatica, che sta domandando "libertà" agli amici inglesi senza essere ascoltata: ci racconta del suo primo incarico da maestro a Nicosia, dei suoi allievi, del loro spirito e del loro approccio alla cultura britannica e alla cultura greca; racconta dell'inadeguatezza delle strutture e dei servizi della capitale (nessuna università e nessuna libreria decenti, niente tipografie, niente officine grafiche...) poi riferisce l'inadeguatezza e l'approssimazione dell'ufficio centrale informazioni inglese, orfano di un qualsiasi documento politico, a testimonianza che Londra non aveva nessuna intenzione di concedere niente a nessuno – al limite, forse, una blanda costituzione partigiana. Durrell medita a lungo e con profondità sul fu commonwealth bizantino, e sul significato di quell'eredità, in pagine lancinanti [cfr. almeno pp. 138-39]. E poi, poco a poco, cominciamo a calarci nella situazione pericolosa che si stava vivendo: nelle ripetute richieste di libertà dall'Inghilterra, di annessione alla Grecia.
"La prospettiva dell'enosis toccava nel vivo il cuore greco e qualunque cosa dicessero in proposito (anche se in modo isterico) era sentita nel profondo. E anche in questo caso non pensavo a possibili sobillazioni e interventi a Cipro, a opera di governi o organi ufficiali, ma ad azioni spontanee di quei basettoni pazzoidi che avevo conosciuto a Rodi o a Creta, pronti, almeno uno su tre, a costituirsi in banda per autoproclamarsi 'eroici liberatori'. Cipro era completamente esposta al mare, con una forza di polizia praticamente inesistente. Venti pastori di Creta, con un carico di materiale bellico recuperato tra i rottami abbandonati sul fronte del porto di Salonicco, potevano causare danni enormi in pochissimo tempo" [p. 183]
Più avanti: "Mi preoccupava la prospettiva che arrivassero i cretesi e i rodioti a dare l'esempio: avevo visto cosa sapevano fare e, date le condizioni in cui si trovava la nostra polizia, non era da escludere che azioni esemplari potessero indurre la popolazione a sollevarsi, per indolente e inerte che fosse. Nell'eventualità di una crisi reale ci saremmo trovati in uno stato di impreparazione pauroso" [p. 202].
Durrell riferisce i primi passi dell'EOKA [include il "giuramento", p. 211] e i primi volantini firmati "Digenis Akrites"; spiega cosa significa aver capito "troppo tardi" la natura greca di Cipro [p. 240] e come, poco a poco, i rivoluzionari ciprioti vanno cedendo a logiche terroristiche, con ripetuti attentati, per l'estenuazione e la frustrazione, e per accelerare più possibile la transizione in corso: "da caso clinico per i politici, Cipro si stava trasformando in campo di operazioni militari". E così, come inglesi, ostacolando i ciprioti, si finiva per rinnegare i propri ideali e la propria storia: "Anche se non eravamo in lotta contro la Grecia, stavamo senza dubbio combattendone lo spirito" [p. 249]. Il risultato è che ci si ritroverà a spararsi addosso "con rammarico, perfino con affetto" [p. 290]. Durrell si congeda a quel punto.
"E adesso per noi non era più il galeone che era stata per Venezia, ma una portaerei: una nave sulla linea di combattimento. Eravamo in grado di tenerla? Senza dubbio, se bisognava; non era lì il problema. Piuttosto: eravamo in grado di tenerla con la forza e non con l'astuzia? Perché, in mancanza di soluzioni politiche, ci saremmo trovati nella situazione di Venezia. Non sapevo fare previsioni" [p. 171].
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Ho aspettato questo libro per quasi dieci anni. Tutto è cominciato a Bellapais, una notte, vagando per i vicoli, osservando le ferite del tempo; non avevo mai letto niente di Lawrence Durrell, non sapevo che avesse scritto qualcosa di così bello e di così difficile, "nel momento giusto", poco prima che succedesse una così terribile disgrazia. I suoi numerosi compatrioti che ho incontrato in quei giorni avevano spesso copia di "Bitter Lemons"; con mio relativo, crescente stupore, non mostravano particolare disagio per ciò che era successo e stava succedendo ancora nell'isola: nuotavano in piscina con la solita indolenza, bevevano parecchio e ballavano, ogni tanto, tra loro. Erano stupiti che fossi italiano – due o tre di loro mi hanno chiesto come fossi finito da quelle parti, manco fossimo stati nel Lancashire. Appena uscito da Bellapais cominciavi a incontrare soldati armati, dappertutto bandiere con l'oscena mezzaluna turca, il faraone Ataturk come un moai. Un giorno, a Salamina, ho incrociato un pullman di ortodossi e osservandoli scendere dal bus, con gli occhi gonfi, la mia memoria ha fatto cortocircuito. Non posso dire perché.
A Cipro si guida come a Londra – a destra. La lingua inglese la capiscono praticamente tutti. A Bellapais, a Kyrenia, a Famagosta, a Morphou; nelle rovine del castello di sant'Ilario, o del monastero di Antifonidis, o lassù a Buffavento tutto racconta che, nell'Europa Mediterranea, sotto lo sguardo inerte di Roma, di Vienna e di Atene, da 46 anni è in corso un genocidio culturale: la prepotenza turca lascia indifferenti i turisti inglesi. In mezzo a loro, qualche solerte impiegato del loro decaduto Foreign Service e parecchia borghesia. Proprio come prima. La targa in memoria di Durrell non dà fastidio a nessuno. Chissà cosa hanno scritto nella prefazione all'edizione turca degli "Amari limoni", chissà come hanno tradotto certi passi.
Gianfranco Franchi, gennaio 2019
Per approfondire: WIKI en su Durrell / Lawrence Durrell Society / Durrell School – Corfu / NYT /
A Mauro. Grazie.
“Bitter Lemons” [1957] è un libro dalla fondamentale rilevanza storico-documentaristica perché, come ben sappiamo, di lì a poco capitò qualcosa di terribile: ottenuta una particolare indipendenza nel 1959 [Union Jack sventolava ancora su due basi, Akrotiri e Dhekelia: proprio come oggi; antenne angloamericane puntinavano il territorio, dove faceva comodo; da Costituzione, il vicepresidente di Cipro doveva essere un turco, con diritto di veto, etc], cominciarono i prevedibili disordini tra maggioranza assoluta greci e bellicosa minoranza turca [1964: Caschi Blu dell’Onu: stanno ancora là]: nel 1973, l’irreparabile…