duepunti
2005
9788890140365
Notte di Natale, in un grande magazzino. Così pieno, eppure così vuoto. Nello spogliatoio, flebile il ritorno dei canti di Natale. Lo speaker annuncia sconti e promozioni speciali. Merce a prezzo d'occasione. È tempo di sorprese, presepi di varia grandezza a seconda delle esigenze. La signora Maria, donna delle pulizie, precaria, si domanda perché gli uomini sono come sono. Vorrebbe andarsene, è stanca di tutto. La gente è così crudele, si ripete. Ha quasi settant'anni, a casa la aspettano il figlio, la nuora e il nipotino. Sta pensando ai regali più belli per loro. Un addetto alla sicurezza, il vecchio sorvegliante Giuseppe, viene a parlarle; e le parla dell'assenza del Cristo negli scritti degli storici suoi contemporanei, della religione come oppio dei popoli, del suo ateismo marxista. Si sente libero pensatore a dispetto dell'adesione totale a un'ideologia: socialista convinto, ex attore amatoriale, è rimasto uncinato a un tempo che non più esiste, e allo spettro del nazismo. Combatte una battaglia terminata da un pezzo, senza essersi accorto mai che chi credeva amico era infame almeno quanto i nemici d'antan.
Lei è un'ex ballerina. Ha nostalgia del suo passato, a Tirana, nonostante qualche licenza di troppo concessa ai suoi ammiratori. Ha nostalgia della bellezza sfiorita, della giovinezza. Non si direbbe che Giuseppe e Maria abbiano mai parlato, in precedenza. Eppure è come se si conoscessero da sempre. “La si può anche ammazzare, una vecchia come me, ma l'artista non muore mai”, dice Maria. Forse è per questo.
È il 24 dicembre 1991: un secolo che è anche un millennio, dice Maria, s'appresta a finire; e loro assieme a lui. Giuseppe crede nel progressismo e nella solidarietà internazionale, si sente un granello di sabbia d'una folla in movimento. Il 24 dicembre 1930 Franco bombardava Madrid. Il 24 dicembre 1972 Nixon bombardava Hanoi. Il 25 dicembre 1991 Gorbaciov si dimetterà dalla presidenza della nazione assassina per antonomasia, l'URSS. L'URSS che Giuseppe amava, cieco – o forse no – alla sua malvagità. “Evviva la guerra per la patria. Evviva la gloriosa Armata Rossa. Evviva la solidarietà internazionale. Duecento milioni di cittadini sovietici mi vengono appresso”.
“Non si fidi dei sovietici” - dice Maria. “Il giorno prima sono dei liberatori e il giorno dopo ti violentano”. Maria ha capito che quel “sogno” è finito, da un pezzo. E che forse non aveva mai avuto nessuna ragione di esistere, nessuna che non fosse propaganda. Altro che “Pravda”, la verità era una menzogna. Albania e Cuba cadranno, e la Cina si convertirà all'americanismo.
Maria e Giuseppe si innamorano, incoscienti e incauti, e riscoprono il sesso dopo tanti anni. È un Natale diverso, il Novecento si chiude con dieci anni di anticipo e porta con sé una lezione terribile, romantica e atroce: milioni di vittime nel nome delle ideologie imperialiste di ogni colore politico, e tanta innocenza di liberi cittadini che a quelle ideologie hanno prestato fede, e dedicato l'intera esistenza. Il mondo ritorna alla speranza, allora, e la vecchia generazione si ritrova a far l'amore nel libero mercato, nel grande magazzino del presente, cittadini in un microcosmo di consumatori. Cittadini, però: mai consumatori. Sorveglianti e pulitori della sporcizia dei consumatori. Diverso. Vivi, e disperatamente vivi. Liberi, a dispetto della zavorra del passato.
Quale sarà il nuovo figlio di Dio nato dalla loro passione? Utopista è la mia risposta, utopista e radicale. Ribelle. Il sogno nuovo vagisce dal natale del 1991, dobbiamo dargli un nome ancora, e sostenerlo a dispetto di tutto.
***
Questo scritto del Turrini, intrapreso e originariamente messo in scena nel 1980, è stato terminato nel 1999, quando il tracollo comunista era sostanzialmente completo, con buona pace di un manipolo di nostalgici.
Contestualizziamo, infine l'opera di Turrini, figlio di un ebanista italiano emigrato in Austria, col sostegno dell'esperto professor Cometa: nella postfazione, leggiamo “«La critica teatrale e letteraria ha ormai consacrato l'opera di Peter Turrini tra le più rilevanti della letteratura austriaca del tardo Novecento, collocandola nella tradizione del Volksstück viennese e del "realismo" di protesta. [...] Sarebbe del tutto improprio appiattire le opere teatrali di Turrini, e in particolare questo Giuseppe e Maria, sullo sfondo di un'insistita per quanto lucida protesta sociale. Essa costituisce semmai la superficie del dramma (...). Dietro le mosse iconoclaste della letteratura austriaca – ci riferiamo anche a quella della tradizione alta degli inizi del Novecento (Kraus, Musil) – si profila il ghigno metafisico del nichilismo più radicale. La convinzione che la storia è solo la messa in scena di un disastro. Una tesi che le vicende del primo e del secondo Novecento hanno semmai rafforzato. [...]”
E col ghigno metafisico del nichilismo più radicale festeggiamo questo nuovo Natale. Aspettando di vedere sgambettare quell'austriaco figlio del tempo nuovo, che restituirà grandezza alla perduta Mitteleuropa. Patrimonio culturale e spirituale che il Novecento ha ferito, ma non distrutto. L'Austria tornerà forse a essere quel che il destino aveva determinato fosse: grande e tollerante guida dell'Europa unita, sotto le insegne dell'antico romano sogno. Questo il mio auspicio. Questo io credo.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Peter Turrini (St. Margarethen, Carinzia, 1944), drammaturgo, poeta e saggista austriaco.
Peter Turrini, “Giuseppe e Maria. Un dramma”, Duepunti, Palermo 2005. Traduzione e postfazione di Michele Cometa.
Prima edizione: “Josef und Maria”, Suhrkamp, 2003.
Gianfranco Franchi, dicembre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.