Armillaria
2017
9788899554187
Perché la crisi ambientale che stiamo vivendo può essere considerata come una crisi di immaginazione? Cosa significa immaginare, e quanto ha a che fare con la preistoria dell'umanità? Cosa vuol dire pensare e praticare un paesaggio, e cosa restituisce la consapevolezza che l'unica libertà è la terra? È possibile praticare un paesaggio per intraprendere una resistenza ecologica? Il paesaggio è un metodo o una disciplina definita? Cosa accadrà quando crolleranno gli ecosistemi terrestri, per come li abbiamo conosciuti fin qua, e quanto coraggio e quanta poesia serviranno per sopravvivere e riadattarsi? Che senso ha tornare a ragionare sulle strategie di sopravvivenza dei cacciatori-raccoglitori degli ecosistemi artici e subartici di 40mila anni fa? Perché, nella cosiddetta arte preistorica, l'alterità raffigurata era alterità animale? Cosa vuol dire inventare storie che funzionino come “specchio delle differenze”? E ancora: perché il problema sociale è invariabilmente connesso al problema ecologico? Perché nelle scienze ecologiche e nella geografia, in questo momento storico, si sta cercando un linguaggio nuovo per descrivere fenomeni complessi? Perché ormai stiamo parlando di “Terra”, e di problemi della Terra, e non più di “natura” o “ambiente”? Cosa significa “geoanarchia”, e in che senso deve essere un metodo? Perché è così rilevante che l'anarchico Kropotkin fosse un geografo? Cosa significa che la vera anarchia è geografica, “dinamica come i paesaggi della terra, come le linee di costa lavorate dai ghiacciai quaternari, come le dune del Gobi?” Perché, se vogliamo essere veramente liberi, dobbiamo “uccidere l'anarchia”? Cosa significa ripensarla alla base, o meglio buttarla alle ortiche? Perché dovremmo sostituire la poesia alla politica? Qual è l'ordine esistente in ciò che è selvatico, e in cosa consiste? Perché non riusciamo a capire la “wilderness”, e in che senso la wilderness è un'esperienza del limite? Infine: perché camminare è fare vuoto? E perché camminare è fare luogo?
“Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica”, raccolta di dodici saggi brevi e di frammenti di Matteo Meschiari, illustrata con ispirazione da Claudia Losi, vede la luce a nemmeno un anno di distanza dal notevolissimo “Artico nero. La lunga notte dei popoli dei ghiacci”, l'atipica pagina di “antropofiction” che ha stupito e ferito la sensibilità di molti lettori; non si può dire che “Geoanarchia” sia altrettanto riuscito, né che riesca a restare altrettanto impresso. La ragione è che si tratta di un libello assemblato con molta fatica e poco raziocinio: ci sono scritti datati 1998 e 1999 e altri più recenti, 2011 o 2012; ci sono pagine che sembrano scritti d'occasione e altre che sembrano provocatori manifesti ideologici, come nel caso della lettera spedita a diversi circoli anarchici italiani; c'è qualche scritto più compassato e controllato, altri che periodicamente capitombolano in qualche ragionamento scombinato, o eccessivamente astratto, o addirittura poetico – e la poeticità, purtroppo, in certi contesti stona un po'; sconfina nella mattata, coincide con un pizzico di fanatismo, implica autoreferenzialità. In ogni caso l'esperienza estetica sa rivelarsi emozionante, e c'è più di qualche passo che spinge o costringe alla meditazione. Certi passi dedicati al cammino potrebbero appassionare chi s'è nutrito, per tempo, dei due libri della viandanza del poeta Luigi Nacci; altri passi sulla wilderness parlano ai lettori di Davide Sapienza; i ripetuti omaggi a Kropotkin e a Perec addolciscono qualche ruvidità di troppo. La bibliografia in appendice è un po' eccessiva, e in un certo senso pretestuosa e leggermente presuntuosa: se questo va considerato un saggio allora si deve pretendere una struttura e un rigore ben diverso, e il giudizio critico diventa un altro, decisamente più duro; se questo invece è un doloroso moleskine strapieno di appunti, allora possiamo ragionare, e io su questa base sto ragionando. È mezza narrativa mezza saggistica mezzo diario, è letteratura anfibia piena di sentimento e di immaginazione, e di speranza per una rinascita dell'umanità e per un suo ritorno alla terra. È quasi mistica (dico “quasi” perché manca completamente Dio, perché c'è un ostinato rifiuto della spiritualità: forse è un vezzo ideologico. Forse no. Non ha importanza, in fondo).
Gianfranco Franchi, maggio 2017.
Prima pubblicazione: Mangialibri
Cosa vuol dire pensare e praticare un paesaggio?