Neo Edizioni
2019
9788896176641
Oscuro, violento e simbolico, "Genesi 3.0" [Neo Edizioni, 2019; euro 15, pp. 160] è un romanzo a metà strada tra la satira della burocrazia [capiamoci: alla Terry Gilliam di "Brazil": niente di mitteleuropeo], la burla sul militarismo [non alla "Comma 22" di Heller, piuttosto alla "Sturmtruppen" di Bonvi] e una carognesca estetizzazione del complesso di Edipo. Strutturato in quattro parti – la tentazione è chiamarle "tappe" – è un libro capace di giocare con buona intelligenza (stavo per dire "con facilità") con i simboli e con il "doppio"; tecnicamente, si poggia su una scrittura periodicamente tinta di grottesco e di caricaturale (più avanti osserveremo i limiti di questo approccio) e su una buona quantità di dialoghi (i migliori sono quelli più spicci e quotidiani); episodicamente, cede al farsesco o al delirante, limpido (vengono nominati una buona quantità di alberi e piante inesistenti, con tanto di caratteristiche specifiche; il narratore racconta la sua relazione sessuale con una gallina chiamata come una vecchia coppa, Mitropa). È narrativa bizzarra. Parecchio.
L'artista è un irrequieto outsider, inequivocabilmente irregolare: Angelo Calvisi, genovese, classe 1967, recentemente insegnante di italiano per un biennio a Bonn, prima ancora cooperatore sociale, attore e sceneggiatore (nel misconosciuto "Lazzaro" dell'esordiente Paolo Pisoni), in passato giornalista sportivo, geometra e, per una decade, negoziante di dischi, Calvisi è stato, sin qua, narratore molto prolifico (già in catalogo per la piccola o la piccolissima editoria di progetto, tra Round Robin, Quarup e CasaSirio). L'editore è uno ormai famigerato per la sua capacità di pizzicare outsider e lanciarli a buon o ad alto livello, magari anche all'estero: è la Neo Edizioni di Angelo Biasella e Francesco Coscioni, da Castel di Sangro; il testo è stato pubblicato nella collana Iena, come diciottesima uscita (in compagnia di Paolo Zardi, Gianni Tetti, del discussissimo "Cometa" del toscano Gregorio Magini).
"Genesi 3.0" ha inizio in una radura, circondata dal bosco. Vicino alla radura c'è una casa a due piani – là Simon, il narratore, abita da parecchio tempo, da quando era piccolissimo. Davanti al portone di casa c'è un cortile col prato, con l'orto, la stia delle galline, un capanno degli attrezzi. Accanto al capanno, c'è un albero dalle foglie viola. A destra, c'è una strada che porta dritta alla Capitale. Simon si avventura nel bosco tutti i giorni, in mezzo alle "complesse genie di animali selvatici". Gioca a trovarne le tracce, invano – per lo più sono animali invisibili, incontrarne uno dal vivo è un miracolo.
La prima azione descritta da Calvisi è il lancio di una manciata di terriccio sul vetro della finestra – il Polacco viene a chiamare Simon, devono darsi da fare, c'è un albero da potare. Il Polacco è piuttosto perentorio ("altrimenti vengo su e ti stacco quella testa di cazzo dal collo"); Simon si infila stivali di gomma e una magliaccia con la "S" di Superman e scende.
Chi è il Polacco? Simon ci racconta che è un cinquantenne che sembra parecchio più giovane, un eroe di guerra – una guerra parecchio lontana – che in Polonia ha soltanto combattuto. Non sa dove sia nato né da dove venga. Ogni tanto, racconta qualche impresa bellica – una di quelle è stata il salvataggio di Simon, marmocchio, assieme a parecchi altri bambini rimasti intrappolati sotto le macerie. Simon sa di essere diventato orfano quel giorno. Non può ricordare altro.
Un giorno, nel bosco, Simon incontra una famiglia, nascosta – sono ribelli, scampati a qualcosa di terribile dalla Capitale, col loro bambino. Nel frattempo, il vecchio Polacco riceve visite – si direbbe che i vecchi camerati lo vogliano richiamare all'ordine, vogliano riportarlo in città per dargli un incarico fondamentale: costruire, costruire muri, muri di ogni tipo.
"Mi vogliono mettere lì come un pupazzo. Guardate chi c'è dalla nostra parte: il condottiero della Luminosa Guerra. Io lo conosco il Potere, velenoso come una radiazione, non bisogna esporsi troppo altrimenti ti bruci la buccia. È per questo che mi hanno richiamato. Sono diabolici. Non sarà facile, per gli Altri, venirne fuori". "Chi sono gli Altri?" "Lo vedrai con i tuoi occhi. Cosa credi, che ti lascio qui da solo a far danni?" [p. 37]. E così il Polacco e Simon partono in missione. Fermiamoci qua, con la trama.
Limiti di questa "Genesi 3.0": qualche espressione disgraziata ("miasmi caliginosi", "la nausea mi attanaglia le trippe", "un caffè nero come il culo di un ciuco", "gorgoglia come il sifone di un lavandino occluso"), altre semplicemente buffe ("smoccola come un orco", "mi disincaglio da quell'antro mefitico", "mangiamo tutto con la disperazione dei lavandini": sì, di nuovo i lavandini, Calvisi ha una strana sensibilità idraulica); al di là di ciò, come s'è detto, è un romanzo piuttosto atipico, fondato su una appassionante commistione di generi; qualcuno ha già speso la (recentemente popolarissima) categoria della "distopia" per raccontare spirito e mood del libro; onestamente di distopico vedo pochissimo, forse niente. Più che un libro su un "futuro negativo possibile", questo è un libro su una "dimensione parallela possibile"; niente di fantascientifico, niente di futuribile, nessuna profezia, niente di particolarmente visionario. In compenso, s'intravede una critica (non sempre lucida) a tanti aspetti della nostra epoca e della nostra società occidentale: s'è detto della burocrazia, vedrete della "sanità", con varie pugnalate al clero (perfino alle povere monache), en passant, e ovviamente ripetute satire del militarismo e dell'autorità, in genere; il tutto condito da un erotismo morboso e malaticcio (scrivo a ridosso dell'uscita, non entro troppo nel merito a beneficio dei neofiti). "Spiazzante" e onestamente imperfetto.
Gianfranco Franchi, febbraio 2019.
Per approfondire: ZEST (intervista) / Pulp Libri [U. Rossi] / Scrittori Precari.
Oscuro, violento e simbolico, “Genesi 3.0” è un romanzo a metà strada tra la satira della burocrazia, la burla sul militarismo [non alla “Comma 22” di Heller, piuttosto alla “Sturmtruppen” di Bonvi] e una carognesca estetizzazione del complesso di Edipo.