Fanucci
2004
9788834715994
L'imprevedibilità della trama, in un romanzo di genere – forzando la mano ma non troppo: thriller – è un elemento fondamentale; soprattutto quando, come nel caso di Lansdale, la scrittura è talmente semplice, piana ed elementare che non si può non considerarla artigianale, e dallo stile non ci si attende niente di imprevedibile, né di ricercato, né di disorientante. Lansdale scrive romanzi che sembrano canovacci evoluti, sceneggiature perfezionate: dialoghi fitti e serrati, descrizioni minime, introspezione lasciata a qualche minima battuta, preferendo siano gli eventi a dare forza a quelle minime battute; lasciando che sia l'azione, incalzante, e la descrizione della progressione dell'azione ad appassionare il lettore, senza paura di livellarsi su un piano di superficie profonda. Superficie profonda, piuttosto, pretesa e mantenuta.
“Freddo a Luglio” è, in estrema sintesi, un thriller (con elementi noir) che ha un protagonista supremo: la storia. Lansdale tesse una trama intelligente e spiazzante; suddividerei, in questo senso, il romanzo in due parti. La prima, thriller psicologico, giocata sulle debolezze del narratore, sul suo periodico assedio da parte dei banditi (come vedremo), sulla sua inconscia scelta di fidarsi di chi stava per uccidere suo figlio – padre di chi il narratore aveva ucciso; la seconda, praticamente un thriller picaresco, inventato sull'impossibile indagine su una doppia vita condotta da tre figure l'una più estranea all'altra possibile. Sebbene tendenzialmente propenda per letteratura alta e altra, in generale, con pochi e irrilevanti strappi alla regola, devo dire che mi sono lasciato intrattenere e conquistare come di fronte a un buon film di David Fincher – diciamo il Fincher prima maniera, quello di “Seven” o di “Fight Club”, capace di mantenere sempre alta la tensione e di giostrare clamorose inversioni di rotta. Quelle, per capirci, che non ha saputo gestire in “Zodiac”.
Lansdale mi ha fatto credere quello che voleva. Ho parteggiato per un personaggio capace di vivere un'esistenza pienamente contraddittoria, per vaghi rimpianti d'una figura perduta nell'infanzia; ho previsto – sbagliando – una catena di violenze che non s'è verificata; ho giurato che avrei incontrato trabocchetti e inganni da più parti, a un certo punto, toppando di brutto. M'è rimasta addosso la strana sensazione d'aver simpatizzato per un bandito e per un assassino, al termine della lettura, e – paradosso non da poco – non m'è dispiaciuto troppo. Sicuramente, e voglio evidenziarlo, mi sono divertito. Come al cinema. Come di fronte al cinema disimpegnato, ma ben confezionato.
***
Texas, luglio. Una notte, l'artigiano Richard Dane – protagonista e io narrante del romanzo – affronta un ladro in casa: è preoccupato per la moglie e per il figlio, non tanto per sé stesso. Deve difenderli, non può tirarsi indietro. Sparatoria. Richard ammazza l'intruso, ma la sua vita cambia. “Legittima difesa o meno, non mi sentivo l'ispettore Callaghan. Stavo solo di merda, peggio di come mi fossi mai sentito in vita mia” (p. 24). E così, per diverso tempo, scosso dall'accaduto – che torna a vivere nella sua memoria, come fosse una fantasia – è angosciato dalla caducità dell'esistenza, dalla possibilità che possa succedere qualcosa di grave al figlio. Al figlio, alla moglie.
Non era mai stato un violento, aveva – come tutte le brave persone – ricordi, al limite, di qualche scazzottata in gioventù. Cose da ragazzi. Dormiva nel suo sangue, ecco, la “cultura texana da macho” (p. 70). Presto si sarebbe dovuta risvegliare.
Perché il bandito era – per così dire – figlio d'arte: giusto qualche giorno dopo la tragedia suo padre, fresco di (ennesima) scarcerazione, riconosce Richard durante il funerale e si presenta con aria semi-minacciosa. Accenna al suo bambino, a quanto potrebbe accadergli. Richard ha paura. Se lo ritrova sotto l'asilo, il clima si fa incandescente. L'artigiano s'accorge che Russel è entrato in casa. La polizia assicura protezione. Non servirà. Colluttazione, uno sbirro kappaò, Richard mezzo svenuto, il bambino sotto la minaccia d'un coltello. Russel non trova la forza di ucciderlo, si ritrova in arresto.
E intanto, col passare del tempo, Richard ritrova una memoria rimossa. Suo padre suicida, quando era bambino, probabilmente per una questione d'onore. Suo padre assomiglia a Russel. Saranno le mani, sarà l'odore. Sarà il desiderio che sia così; o forse, la scoperta che la foto del figlio, ritrovata nel portafogli, non corrisponde a quella del bandito che lui ha ucciso. Complotto?
Avanzerei ancora nella trama, ma considerando qualità e caratteristiche dell'opera proprio non posso. Anticipiamo soltanto – come si spiegava in apertura – che assisterete a tutta una serie di nuove dinamiche relazioni, dalle quali deriveranno stravaganti e dolorose scoperte. No, non quella che state pensando. Provo a stuzzicare la vostra fantasia: incapperete nella dixie mafia, in uno snuff movie, in messicani alti due metri, in nuove sparatorie e in ombrosi congedi. Ecco, così può andare.
“Freddo a luglio” è un intelligente divertissement sulla paternità, e sull'agnizione dell'essenza della paternità; e delle verità che nessun padre e nessun figlio vorrebbero mai ascoltare. Scoprirete come si mettono a tacere. Volendo.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Joe R. Lansdale (Gladewater, 1951), scrittore e sceneggiatore americano.
Joe R. Lansdale, “Freddo a luglio”, Fanucci, Roma, 2002.
Traduzione di Giancarlo Carlotti. Collana TIF Extra.
Prima edizione: “Cold in July”, 1989.
Gianfranco Franchi, marzo 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.