TEA
2016
9788850241910
L’indimenticabile esordio di Daniel Keyes è uno dei libri più profondi, intensi e intelligenti del Novecento: è un ibrido tra un romanzo di science fiction e un diario esistenzialista, una superba riflessione sull’intelligenza e sulla dialettica tra esseri umani, una amarissima elegia della diversità. Il talento dello scrittore americano dà vita alla rappresentazione del linguaggio e della mente d’un ritardato prima e dopo un intervento che lo renderà un genio: incontreremo, nelle pagine iniziali, una lingua sghemba, sconnessa ed elementare, flagellata da un’ortografia inaccettabile e sublimata da un’ingenuità e una purezza nel sentire che non possono che conquistare; poi, la nuova coscienza e la straordinaria intelligenza acquisita dal protagonista si contraddistingueranno per una pulizia linguistica e lessicale e una limpidezza di pensiero non comuni, a discapito, in più d’una circostanza, del pathos e della “dolcezza” del narratore. Un traduttore come Bruno Oddera ha saputo mantenere spirito, colore e vitalità d’una lingua tanto poliedrica ed eclettica, rispettando la natura perfettamente frammentaria dell’identità del narratore.
Charlie Gordon ha trentadue anni. Da diciassette è fornaio, a undici dollari la settimana. La famiglia l’ha scacciato quando ne aveva dodici, perché la sua presenza non fosse d’impaccio per la sorellina sana. Il dottor Strauss dice che deve scrivere quel che pensa e ricorda, e tutto quel che gli accadrà dopo l’esperimento. Perché Charlie è ritardato, ed è stato prescelto, all’interno d’una classe speciale, per via della sua particolare motivazione, atipica per un uomo dal quoziente intellettivo pari a 70. Dovrà stilare, così, regolari rapporti sui suoi progressi, divisi giornata per giornata, come in un diario.
Quando viene sottoposto alla prova delle Macchie di Rorschach, dapprincipio, non si capacita che gli altri non vedano semplicemente delle macchie d’inchiostro. È incapace d’ira e di sospetto; non sa orientarsi nella sua memoria; è semplicemente desideroso, per predisposizione naturale, di piacere agli altri. L’altro medico che lo tiene in cura, il dottor Nemur, teme che Charlie possa star male dopo l’intervento, perdere perfino quel poco di presenza a se stesso che ha: ma il ragazzo è pronto ad affrontare il rischio. Scaramantico, s’affida ai suoi amuleti, e al sogno di diventare intelligente, per poter finalmente imparare a leggere e a scrivere senza errori di ortografia. La stessa operazione è stata effettuata su un topolino, Algernon. È diventato tre volte più intelligente di prima: nel laboratorio di Psicologia, i dottori osservano i suoi stupefacenti progressi nelle corse a ostacoli all’interno di un labirinto. Charlie viene sconfitto, nelle prime sfide con Algernon, e avverte un sentimento d’invidia per le sue capacità. Odia Algernon, i labirinti, i test cui è regolarmente sottoposto.
A tre giorni di distanza dall’intervento, Charlie torna a scrivere e comincia, poco a poco, a correggersi. Torna al lavoro: nel frattempo, ogni giorno stila il resoconto richiesto dai dottori. Giorno per giorno, Charlie cambia: la velocità della sua metamorfosi sarà progressiva e brutale. Inizia a guardare con spirito critico tutto quel che ha intorno. Riesce a ricostruire frammenti sempre più significativi del suo passato. Ricorda che da piccolo diceva di voler diventare pittore, come lo zio; ricorda d’esser stato picchiato; ricorda d’aver sofferto perché si sentiva rifiutato dalla madre, per via della sua deficienza mentale. Ricorda l’abbandono. Prende coscienza che quella è l’origine della sua motivazione: il frustrato desiderio d’accettazione: l’umanissimo bisogno d’amore. Si veda, ad esempio, quanto afferma nel tredicesimo rapporto: “Ma io, suppongo, non smisi mai di desiderare di essere il bambino intelligente che lei avrebbe voluto, affinché potesse amarmi” (p. 128).
Finalmente, sconfigge Algernon in una sfida, nel labirinto: e, quasi istantaneamente, il suo atteggiamento nei confronti del topolino cambia, fino al momento in cui rifiuterà di gareggiare con lui. L’attività onirica di Charlie si fa sempre più intensa: è sconvolto dalla progressione e dall’evoluzione dei suoi pensieri, dalla sempre più nitida percezione di se stesso e dell’alterità, da una suprema e inappagabile avidità di conoscenza. L’ortografia delle relazioni è sempre meno costellata da errori: Charlie si sensibilizza alla punteggiatura, rispetta le doppie. Diventa, infine, finissimo artista della parola.
Diversamente dall’impressionante sviluppo del suo quoziente intellettivo, la sua sfera emozionale rimane svantaggiata e arretrata: i dottori s’accorgono che la sua prossima genialità patirà la zavorra di una dolorosa fragilità emotiva. Charlie perderà il contatto con la realtà: si troverà allontanato, come vedremo, dal suo precedente ambiente lavorativo, dove verrà visto con sospetto e con orrore per la sua mostruosa diversità intellettuale; avrà difficoltà nelle relazioni sentimentali, per via dell’influenza d’un irrisolto choc lontano nel tempo; si scoprirà, a un tratto, senza più amici e senza più comprensione da parte dell’alterità. Isolato.
Legge con una rapidità disumana: una pagina al secondo, e di qualsiasi argomento. Nell’arco di pochissimo tempo, controlla e domina la storia, la geografia, l’aritmetica, e apprende decine di lingue vive e numerose lingue morte. Maestro d’ogni scienza, è diventato una superintelligenza. I discorsi degli studenti universitari, che fino a poco tempo prima lo lasciavano meravigliato e ammirato, d’un tratto gli risultano noiosi, sgraziati e poco brillanti: sorte che condivideranno le teorie e gli studi degli accademici e dei luminari, di lì a breve. Charlie sembrerà disgustato dalla limitatezza delle loro conoscenze e dei loro studi: gli appariranno degli impostori, mediocri e vanagloriosi. Perderà ogni tolleranza e ogni comprensione della distanza tra sé e i suoi maestri: fino ad incutere loro una soggezione invincibile (si veda, ad es., p. 134), non priva di disprezzo.
S’innamora di quella che era stata la sua maestra nella scuola “speciale”, Alice. Lei, inizialmente, è titubante e incerta: teme che lo sviluppo dell’intelligenza di Charlie possa condurlo troppo lontano dal suo mondo, paventa un futuro distacco tra loro, abissale e irrisolvibile. Quando le prime, timide schermaglie amorose stanno per trasformarsi in un rapporto sessuale, la tara che infesta l’emotività di Charlie produce la prima di una serie di allucinazioni: riesce a percepirsi come fosse scisso; il “vecchio” Charlie lo osserva, nel buio, curioso e atterrito al contempo, paralizzando il “nuovo”. L’emotività e l’umanità dell’idiota soffocano e castrano il genio.
Le allucinazioni sono accompagnate da ronzii e nausea, e da una sensazione di gelo (p. 101). Il passato pretende un terribile tributo. L’incapacità di avere la donna amata. Il passato è reale. Dal passato torna l’eco delle proibizioni e delle intimidazioni familiari: un ritardato non doveva osare guardare altre ragazze.
Al contempo, è sempre più conscio ed entusiasta dell’importanza dell’esperimento: quando, ad esempio, prenderà congedo, pure a malincuore, dalla vecchia panetteria, dirà a una vecchia amica: “Non si può tornare indietro, Fanny. Non ho fatto niente di male. Sono come un uomo nato cieco al quale sia stata data la possibilità di vedere la luce. Questo non può essere un peccato. Presto ci saranno milioni di uomini come me in tutto il mondo. La scienza può compiere questo miracolo” (p. 96)
È un pioniere, e al contempo una sorta di Adamo e di Prometeo per gli idioti: è un neo-uomo che non ha più umiltà, né misura. Vede un futuro diverso e felice per la specie, e s’illude che l’intelligenza e la conoscenza possano cambiare l’anima delle persone. Ma adesso non ha più simili. E neppure riscuote simpatie istintive, per pietà o per compassione. È un mostro. Maledizione atroce e lacerante: da debole di mente era un reietto, da genio è detestato e frainteso.
D’un tratto, però, il suo gemello d’esperimento, il topo Algernon, comincia a manifestare i sintomi di una crisi: “Una volta raggiunto il culmine dell’intelligenza, il rendimento di Algernon era divenuto variabile. V’erano momenti, stando alla relazione di Burt, in cui Algernon si rifiutava completamente di lavorare, anche quando, apparentemente, era affamato, e altri momenti in cui si risolveva il problema, ma invece di consumare il cibo che costituiva la ricompensa si gettava contro le pareti della gabbia” (p. 140).
Charlie, preoccupato per la sorte di Algernon – che avrebbe prospettato la sua medesima – medita sulle stravaganti e inattese involuzioni del suo atteggiamento. Ha l’intuizione dell’errore commesso da Nemur e Strauss: e capisce di dover cercare un rimedio, per evitare che la regressione dell’intelligenza sua e del topo possa divenire irreversibile.
Adesso può accantonare l’analisi e l’indagine sulla sua natura, e sul suo inconscio: può sospenderla, e pensare a una soluzione alla dannazione che si delinea all’orizzonte. “Anche un uomo debole di mente vuole essere come gli altri. Un bambino può non essere capace di mangiare o non sapere come nutrirsi, ma ha fame ugualmente. Oggi ho imparato qualcosa. Devo smetterla con queste preoccupazioni infantili sul mio conto…sul mio passato e sul mio avvenire. Voglio dare qualcosa di me agli altri. Voglio servirmi della mia cultura e delle mie capacità per accrescere l’intelligenza umana. Chi è meglio preparato di me? Chi altro ha vissuto in entrambi i mondi?” (p. 176)
Charlie ha fatto fuggire Algernon dalla gabbia dei dottori, sconcertato per la loro arroganza nel corso d’un convegno in cui avrebbero dovuto presentare le loro “creature”, il “deficiente-genio” e il “topo geniale”: ha portato via con sé Algernon, in un’altra casa. Per vivere una diversa vita, liberi dal giogo degli esperimenti imperfetti dei dottori. In quella casa, Charlie costruirà un nuovo e più complesso labirinto tridimensionale per Algernon, per aiutarlo a tenere la mente allenata. E, pochi giorni dopo il trasloco, quando ancora pensa all’incompiuto amore della sempre più lontana Alice, incontra una vicina che lo conquista. È Fay, una pittrice piena di vita, interessata soltanto all’arte, alla danza, agli alcolici e al sesso. Sarà lei a liberare Charlie dai vincoli del passato, a sradicare il senso di colpa e la percezione del male: a fargli vivere la vita che avrebbe sempre desiderato vivere, almeno per qualche tempo.
Perché la regressione, all’improvviso, comincia a manifestarsi. Svenimenti, nausea, e – nel sonno, o nella sbornia – “epifanie” del vecchio Charlie (p. 172).
Proprio quando si presenterà nel negozio del padre, barbiere, indeciso se farsi riconoscere o meno, a distanza di quindici anni dall’ultimo incontro, subentrerà una crisi: l’emozione di ritrovare una figura cardine della sua vita, e di poter dimostrare d’essere diventato quel che sempre aveva sognato, è troppo forte e Charlie non trova equilibrio, e perde le parole. Come un estraneo, entra, si fa tagliare barba e capelli, e scompare.
Algernon si sta ammalando. Morde Fay, che voleva giocare con lui, e uccide la compagna che gli avevano regalato, Minnie. È imprevedibile. Presto prenderà a cadere in letargo: a tratti darà timidi cenni di ripresa, per poi sprofondare daccapo nel buio. Charlie porterà a termine, con grande fatica, il suo studio. La dissociazione della sua personalità si farà sempre più dolorosa e incontrollabile. Sebbene riconosca che il “vecchio Charlie” aspetta nell’ombra, perché non intende affermarsi con prepotenza, sa che non potrà procrastinare a oltranza il definitivo passaggio di consegna. Il deterioramento sarà rapido.
Con l’ultima lucidità, compila ancora i rapporti. Pur regredendo, testimoniando la morte di Algernon e percependo lo smarrimento delle sue conoscenze e della sua intelligenza, scrive di voler discolpare tutti, purché promettano di non effettuare esperimenti analoghi sugli uomini in futuro, almeno non prima che gli animali abbiano dimostrato la perfetta riuscita del trapianto del tessuto cerebrale. Ma poggia i fiori sulla tomba di Algernon, in cortile. E questo potrebbe suggerire qualcosa di differente. Fay non può più stargli vicino. Sarà Alice, negli ultimi giorni del “nuovo” Charlie, a consolarlo e a badargli. Sta tornando allo status iniziale: ma sa già che peggiorerà ancora, che sarà “terminato” dal fallimentare esperimento, proprio come Algernon. Ciò non gli impedisce di suggellare il suo percorso di vita con un ultimo, faticoso e allucinante incontro con la madre e la sorella: nel corso del quale scoprirà le ragioni profonde dei suoi problemi emotivi, e chiuderà il cerchio della sua esistenza mostrandosi ancora una volta umano nei confronti di chi l’aveva rifiutato e scacciato per sempre, privandolo del futuro.
È l’idiota a concludere il libro. Con l’umanità che mancava al genio. Con l’ultima richiesta a chi sta sfogliando le sue pagine, quella d’aver pietà della tomba di Algernon, e di non perderne memoria.
*
Opera prima di Daniel Keyes, “Fiori per Algernon” (1966) è stato tradotto e pubblicato in trenta Paesi. Il nucleo del romanzo risale a una novella precedentemente pubblicata (1959) in The Magazine of Fantasy and Science Fiction. Recentemente, l’artista ha raccontato la genesi del libro nell’autobiografia romanzata “Algernon, Charlie and I: A Writer’s Journey”.
Da segnalare, per gli appassionati di fumetti, la toccante citazione dell’opera nel glorioso Dylan Dog numero 23, “L’isola misteriosa”: la vicenda di Algernon fa da cornice a un numero ispirato a “L’isola del Dottor Moreau” di H.G.Welles. Disegni di Carlo Ambrosini, soggetto e sceneggiatura di (serve dirlo?) Tiziano Sclavi, prima pubblicazione Agosto 1988.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Daniel Keyes (New York, 1927 - Boca Raton, Florida 2014), psicologo e scrittore americano. È stato professore di Scrittura Creativa presso la Wayne State University e la Ohio University.
Daniel Keyes, “Fiori per Algernon”, Longanesi, Milano, 1973. Traduzione di Bruno Oddera.
Prima edizione: “Flowers for Algernon”, New York, 1966.
Riduzioni cinematografiche: “Charly”, di Ralph Nelson, con Cliff Robertson (1968).
Gianfranco Franchi, marzo 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.