Mondadori
2009
9788804595687
"Il Futurismo ha insegnato che può essere bello l'atto più insignificante, l'istinto più elementare e più povero di sovrastrutture intellettuali. L'eternità è una fisima di poeti troppo seri e pretenziosi: si goda l'effimero, annunciò Marinetti, intuendo per primo che l'oggetto quotidiano, l'immagine pubblicitaria, il prodotto commerciale finiranno nei musei. La Pop Art, Andy Warhol, le esplorazioni musicali di John Cage, gli happening hanno molti debiti verso di lui" (GUERRI, "Filippo Tommaso Marinetti", pp. 82-83)
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"Poeta e profeta della modernità", "Caffeina d'Europa", inventore dell'avanguardia in accezione artistica, padre di un movimento che fu, secondo Alfred Doblin, "un atto di liberazione", Marinetti fu un utopista e un rivoluzionario che sognava di scuotere l'Italia dal torpore e "a suon di schiaffi e dinamite rianimarlo con il battesimo della modernità"; un patriota che rivendicava centralità e grandezza al genio italiano, e difendeva l'italianità di Trieste, ancora austriaca; un talento naturale dell'anticlericalismo ("svaticanamento d'Italia"); un nemico puro del parlamentarismo, del socialismo, del comunismo ("esasperazione del cancro burocratico che ha sempre roso l'umanità") della democrazia e delle ripetizioni di ogni genere, un autentico cultore della velocità; un guerrafondaio, un anarchico stirneriano, un fervente interventista; fascista atipico, antirazzista (s'oppose alle tristi leggi del 1938), generoso coi rivali politici (salvò dal confino o dal carcere decine di artisti e di oppositori del regime, p. 245), come Malaparte fu filofrancese e antitedesco. Un uomo carismatico, coraggioso e solare, stando a quanto ci racconta il magnifico libro di Giordano Bruno Guerri.
Influenzò Joyce, Pound ed Eliot ("Vorticismo", 1913), Ungaretti e Campana ("Come avrebbero scritto se non ci fossero state la lirica frantumata, l'analogia, la distruzione della sintassi, le libere associazioni di parole sperimentate dai futuristi?", p. 95); Carmelo Bene e H.G. Wells sono tra i suoi più grandi ammiratori. L'Italia stava per dimenticarsi di lui, voleva condannarlo alla damnatio memoriae: perché aveva fiancheggiato il fascismo, perché era stato sé stesso, perché era stato un innovatore troppo radicale per un paese tradizionalista. Qualcosa, poco a poco, sta cambiando: molto ancora cambierà, e presto il Futurismo guadagnerà nei nostri libri di scuola la sacrosanta centralità che tutto il mondo gli riconosce.
Marinetti nacque ad Alessandria d'Egitto nel 1876, dove il padre, l'avvocato Enrico, originario di un paesino dalle parti di Voghera, s'era trasferito in cerca di fortune (erano gli anni del Canale di Suez). I suoi genitori erano patrioti avventurosi e coraggiosi, culturalmente modernissimi: sua madre, Amalia, pur di stare a fianco di Enrico aveva lasciato il marito – e all'epoca questo era reato. Marinetti crebbe circondato dall'amore dei suoi genitori, sviluppando una grande sicurezza in sé stesso; con sua moglie e le sue figlie fu esemplare, rinnovando il buon esempio conosciuto in infanzia.
Nessuno sa esattamente come si chiamasse: al consolato fu registrato come Emilio Angelo Carlo, lui sosteneva di chiamarsi Filippo Achille Giulio, artisticamente fu Filippo Tommaso. Così tutti lo ricordiamo. Non fu uno studente brillante ("scarsa voglia", "deciso a mostrare la forza e la determinazione del capo", indisciplinato, p. 15) preferendo da subito leggere e approfondire per conto suo. D'altra parte il destino gli aveva riservato i soliti, pessimi gesuiti: a lezione volevano indottrinarlo a odiare Garibaldi e l'Italia risorgimentale, colpevole d'aver ridotto il Vaticano a un quartiere. La sua risposta fu infilare la biografia di Pio X in una zuppiera. Il precoce mangiapreti finì, dopo anni di battaglie ("L'aeroplano del papa", 1912), per sposarsi in chiesa, battezzare le figlie e domandare per sé funerali religiosi. Superba contraddizione? In parte. Profondamente spirituale, Marinetti era semplicemente anticlericale, non certo anticristiano (alla Buonaiuti, diciamo); deplorava, come Machiavelli, la corruzione del papato, e inorridiva per il suo moralismo, e per le sue nefaste conseguenze.
Fondò la prima rivista nel 1894, si chiamava "Le Papyrus". In quelle pagine, oltre a pubblicare le sue prime mediocri poesie, scriveva con entusiasmo del suo amato Zola, amato per via del suo sangue italiano e della sua immoralità. Poco dopo, partiva per Parigi, per il baccalaureato in Lettere e Filosofia. La sua famiglia, intanto, s'era decisa per un ritorno in Italia; a quel punto erano milionari e potevano vivere serenamente in patria. La formazione egiziana fu fondamentale; Giordano Bruno Guerri così commenta: "Quella città dell'anima, che regalava avventure a tutti, avrebbe suggestionato il suo talento facendo nascere in lui il piacere di mischiarsi al brulicante movimento della massa: spaventosa, indistinta ma affascinante protagonista del secolo febbrile che annunciava la sua pericolosissima alba" (p. 12). Non solo: nascere in una città straniera e cosmopolita "venendo però educato al culto dell'italianità, innescò il meccanismo che avrebbe portato Filippo Tommaso alla passione patriottica che oggi ci sembra tanto in contrasto con il respiro nazionale assunto dal futurismo".
In Francia, invece, scoprì che gli intellettuali potevano avere un ruolo fondamentale nella vita pubblica e sociale: "da lì – scrive GBG – importerà l'urgenza di affermare l'aristocrazia del genio creatore" (p. 21). Entrò in città appena diciassettenne, entusiasta di vivere tutta la ricchezza culturale della metropoli; viveva nel Quartiere Latino, in un ostello internazionale. Si mostrò sempre disinteressato agli studi e piuttosto sedotto dalla moda, e dall'eleganza; s'appassionò allo spirito delle rivendicazioni degli anarchici, e all'intensità di esse. Dopo un mediocre diploma e molto divertimento, si ritrovò a Milano: "Unica città della Penisola" – commenta lo storico senese – "che possa ricordare Parigi per industrializzazione e urbanizzazione. Ha superato il mezzo milione di abitanti e rappresenta l'indispensabile scenario di massa per lo spettacolo creativo futurista" (p. 27). Là, tra le ricche nebbie lombarde, sarebbe nato il Futurismo.
Studiò Giurisprudenza a Pavia. In quegli anni, Marinetti fu sconvolto dalla morte del fratello maggiore, Leone: scosso, paradossalmente da allora esasperò "la voglia d'azzardo, la capacità e volontà di mettere in gioco la propria esistenza, pubblica e privata, economica e intellettuale" (p. 30). Passò a studiare a Genova, dove si sarebbe laureato nel luglio del 1899 con tesi sulla Corona nel Governo parlamentare.
Esordì pubblicando, in francese, i versi della "Conquista delle Stelle" (1902). In francese scrisse fino alla nascita del Futurismo, perché la lingua transalpina gli sembrava "più adatta a rappresentare i toni sfumati della sua poetica prefuturista" (p. 47).
Marinetti era estremamente critico nei confronti della poesia italiana, "estranea alle crisi spirituali del tempo, alle grandi trasformazioni sociali", ferma a Leopardi (p. 46). Per questo fondò il mensile "Poesia" nel 1905, affiancato nei primi tempi da Vitaliano Ponti (oggi rimosso) e Sem Benelli (surclassato da Malaparte). Trentamila (!) copie di tiratura, formato rettangolare, vivrà per trentuno, costosi e gloriosi numeri. Marinetti combatteva "strenuamente gli imitatori, i poeti artificiosi e non sinceri, e tutte le fame scroccate con metodi ingannevoli e ciarlataneschi" (p. 48). Ospitò scritti di Pascoli e De Bosis, Cocteau e Jarry, poeti croati (!), greci, turchi, ungheresi, siberiani (!). Lanciò Govoni, rifiutò Fogazzaro ("poeta degli imbecilli").
Fu rivale, ma non nemico di d'Annunzio – scrisse due saggi contro di lui, in francese, tra 1903 e 1907 – nel quale in parte si riconosceva (seduttore, esteta, nazionalista, patriota, amante della spettacolarizzazione di tutto: artista a tutto tondo, elitario ma popolare). Primo vero caso letterario fu il suo romanzo "Mafarka il futurista" (1910), che "scandalizzò per l'esaltazione della sensualità, che si fa eroismo e volontà di potenza. Il libro fu subito sequestrato, e l'autore denunciato per oltraggio al pudore" (p. 78).
Pur di partecipare alla Prima Guerra Mondiale, accettò e superò un'operazione d'ernia inguinale, con successiva flebite; assieme a Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Erba, Piatti e Sironi, s'arruolò nel battaglione lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti. Nei giorni delle battaglie, la tenda divisa con Boccioni e Sironi, Marinetti apprezzò "le perle sempre più rare che si chiamano originalità creatrice purezza amicizia buonumore eleganza sentimento assoluto per l'Italia" (p. 165). Credeva che la battaglia fosse senza Dio: "Gli arditi si slanciano con anima studentesca goliardica spensierata violenta e allegra (...). Libidine del pericolo (...). Strafottenza per le malattie veneree e per la morte" (p. 167). Cadde il pittore Boccioni, appena trentaquattrenne: non prima d'essersi ricreduto ("guerra=insetti+noia"). Cadde l'architetto Sant'Elia, guidando il plotone all'assalto dell'Isonzo: "Ragazzi andiamo, che stanotte si dorme a Trieste o in Paradiso con gli eroi", gridò prima di morire sul Monte Ermada. Marinetti, ferito da una granata austriaca, fu medaglia di bronzo. Onore al merito, la Giulia non dimentica.
Nel dopoguerra, post pubblicazione del coraggioso Manifesto del Partito Futurista italiano (influenza principe del successivo, radicale "Programma di San Sepolcro" fascista: è bene ricordarlo), fonda i Fasci Politici Futuristi: "Il futurismo aveva seguaci – racconta Guerri – organizzati e decisi, in tutta Italia; disponeva di giornali e denaro, veniva ormai guardato con simpatia da buona parte dell'opinione pubblica, specialmente quella interventista. Non solo: c'era una corrente di reciproca simpatia e integrazione tra i futuristi e gli arditi, il corpo scelto di truppe d'assalto volontarie costituito nel 1917" (p. 181).
Mussolini – ammiratore del Futurismo, di Boccioni e di Marinetti – non convinse del tutto l'artista: non soltanto per le perplessità espresse nei confronti del suo anticlericalismo, ma per la sua ambizione e la sua smania di ricchezza (p. 183), e per le sue cangianti visioni politiche (prima antimilitarismo demagogico, poi interventismo). Furono amici e collaborarono; probabilmente, FTM sognava d'essere al suo posto, e credeva di poter guidare alla gloria il nostro Paese.
D'Annunzio anticipò le sue ambizioni fiumane (p. 190): Marinetti lo raggiunse, cercò di convincerlo a marciare su Trieste per innescare una ribellione, tentò invano di servirsi dell'amico futurista Keller per convincerlo a mostrarsi repubblicano e non monarchico; quindi, appurati i possibili contrasti, tornò indietro in Italia, onde evitare equivoci e guasti. Sognava, per il futuro, un mondo "guidato dall'Arte e dal genio creativo, con un governo di tecnici sovrastato da un consiglio d'artisti creatori" (p. 194); gli sarebbe toccata in sorte la sfortunata e autodistruttiva era del regime fascista. In quegli anni, il Futurismo perse man mano la sua carica avanguardista, e fu progressivamente surclassato in politica dal Fascismo e nell'estetica dal Dadaismo. Marinetti e i suoi non capirono, come scrisse De Felice, che
"Più il tempo passava più il fascismo riproduceva e diffondeva, aggravati, molti di quei mali che essi avevano combattuto nello Stato liberale e denunciato in quello comunista; che l'italiano di Mussolini era agli antipodi del loro italiano tipo unico; che il totalitarismo mussoliniano era la negazione della democrazia individualista e del nuovo stato antistatalista ed anarchicheggiante da essi vagheggiato; che i compiti assegnati dal regime agli intellettuali erano tutt'altra cosa della missione liberatorio dell'individuo da loro attribuita agli artisti; infine, che i margini per fare un'arte futurista senza capovolgere il rapporto Arte-vita in quello Vita fascista-Arte si riducevano grandemente" (p. 222).
Per Marinetti, "La parola ITALIA deve dominare sulla parola LIBERTA'": questa fu la sua scelta, e questa fu la sua condanna. Patriota, non seppe ribellarsi a dovere alla religione dello Stato: artista, non divenne mai vero politico. Combattè con orgoglio in Etiopia e in Russia, vecchissimo; nonostante tutto, voleva ribadire il suo italianismo. Fino alla fine. E poi si addormentò, in un letto, come un borghese, come un giusto, mentre vagiva la repubblica democratica. Finalmente poteva tornare a essere soltanto un poeta. Soltanto un artista. Italiano, e di fama mondiale.
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Litigioso e collerico, sapeva essere cordiale e borghese nei salotti; gran fumatore (ottanta sigarette al giorno) e grande amatore (erotomane, forse: "Come si seducono le donne", 1917; "Taccuini 1915-1921", postumo, 1987) almeno sino al matrimonio, era scaramantico (culto per il numero 11, odio per gli specchi in casa) ed era un intelligente manipolatore dei media (pagò una rivista di pettegolezzi perché lo calunniasse e sputtanasse, per anni, già in gioventù). Amava donare libri: spesso apponendo una dedica. Sapeva come far circolare le nuove edizioni (700 copie omaggio su 1000 di tiratura de "L'incendiario" di Palazzeschi: cfr. p. 99 per lo stupendo aneddoto), e seppe disintegrare la sua enorme eredità donando tutti i suoi beni alla causa del Futurismo, dell'arte, della modernità. Mecenate di infinità generosità, insegnò allo Stato a rispettare gli artisti. Lezione forse troppo facilmente rimossa. Peccato.
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Prima di concludere, qualche curiosità.
MANIFESTO FUTURISTA. Non apparve per la prima volta sul "Figaro" del 20 febbraio 1909: era già uscito sulla "Gazzetta dell'Emilia", sul "Piccolo" di Trieste, sulla "Gazzetta di Mantova", sul "Giorno di Roma" e su diversi altri quotidiani; addirittura in uno rumeno, "Democratia" di Craiova (p. 67). Il nome del movimento doveva essere "elettrismo" o "dinamismo". La parola "futurismo" appariva già, con altra valenza, in Gioberti e Strindberg; non fu quindi un conio originale. Quando Marinetti pubblicò il Manifesto, il movimento non esisteva ancora: l'artista seppe cavalcare tutte le potenzialità inesplorate del giornalismo moderno. Da vero pioniere.
VISIONE DELLA DONNA. Sorpresa: contrariamente alla vulgata, Marinetti e il Futurismo erano femministi; l'antifemminismo futurista era soltanto "una provocazione artistica". Nei loro programmi, scrive Guerri, c'era "l'uguaglianza assoluta, a partire dal diritto di voto e di venire elette, idea per i tempi rivoluzionaria"; il divorzio, e "l'avvento graduale del libero amore". Gli strali erano tutti rivolti al concetto di "sesso debole" e di "amore tradizionale". Nel 1912, Valentine de Saint-Point scrisse il "Manifesto della donna futurista", che "preconizzava l'emancipazione completa" (p. 86)
ALTRO CHE WU MING. Nel 1929, Marinetti e altri nove artisti pubblicarono il romanzo fantastorico "Lo Zar non è morto". Un'iniziativa rivoluzionaria, caratterizzata da 70 anni di anticipo rispetto alla sua stanca emulazione contemporanea: epigoni primi, Luther Blissett, Wu Ming.
INFLUENZE MARINETTIANE. Nel 1902, dichiarava: Flaubert e Mallarmé come numi tutelari per narrativa e poesia; quindi, Baudelaire e Verlaine; Carlyle, Cartesio, Spinoza, Renan, Poe, Nietzsche, le "Confessioni" di Rousseau, i "Pensieri" di Pascal, le "Memorie" di Saint-Simon, "Il rosso e il nero" di Stendhal; tra gli italiani, soltanto Pascoli ("Poemi conviviali").
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Eccoci qui, alla fine del viaggio. Un viaggio patriottico e doloroso, magnifico e triste. Eccoci alla fine della storia dell'uomo che credeva in questo principio:
"L'Italia, unico sovrano. Nazionalismo rivoluzionario per la libertà, il benessere, il miglioramento fisico e intellettuale, la forza, il progresso, la grandezza e l'orgoglio di tutto il popolo italiano" – e anche per questo da tutto il popolo italiano andrebbe salutato e ringraziato. Ci credeva davvero. In questo suo sogno non c'era niente di sbagliato. Era il sogno d'un artista, non d'un politico.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giordano Bruno Guerri (Monticiano, Siena 1950), scrittore, giornalista e storico italiano. Si è laureato in Lettere con una tesi su Giuseppe Bottai, poi pubblicata da Feltrinelli (1976). Già direttore del mensile “La Storia Illustrata” e de “L’Indipendente”, collabora col “Giornale”. Ha lavorato come redattore per Bompiani e Garzanti; è stato direttore editoriale Mondadori.
Giordano Bruno Guerri, “Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario", Mondadori, Milano 2009. Collana "Le scie". Contiene un inserto fotografico. In appendice: "Fondazione e Manifesto del Futurismo", "Manifesto del Partito Futurista Italiano", Bibliografia, Indice delle Opere di Marinetti, Indice dei Nomi e delle Testate Giornalistiche.
Gianfranco Franchi, novembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Spiazzante, completissima biografia guerresca.