Adelphi
1990
9788845907692
La letteratura è l’utopia. Il non luogo per antonomasia. O forse, letterario è il dominio infinito e selvatico della fantasia, e il potere perfetto dell’immaginazione. Dovremmo, docili, assecondare i demoni segreti che dalle più remote stanze della nostra anima domandano respiro e assicurano che sbrigliare sogni e deliziose, irriverenti immagini nuove potrà favorire l’evoluzione della specie e un sublime perfezionamento dei pensieri. Dovremmo accoccolarci e lasciare crepitare la remissività: abbandonarci al gioco puro della creazione, ed evitare le farneticazioni della razionalità, e le convulse e contraddittorie proteste della logica. Dovremmo acquattarci nell’ombra e insidiare i canoni, e oltraggiare le consuetudini e svilire i codici di comunicazione già esistenti: e, rinnovati, accettare d’essere prometeici e blasfemi, e tuttavia d’esser ancora, sempre, puri.
Sprigionare luce, come fossimo affratellati al fuoco: pallidi eppure, e innocenti, e lascivi nel momento della creazione nuova, assaporare viziosi il suono e il senso e il significato nuovo d’ogni parola. Se uno spirito e una mente sono liberi, allora quel che ne deriverà sarà figlio d’una immaginazione e d’una fantasia perfino insolente: ma incantata, e incantevole, e allora io di questo sortilegio, del vostro, del mio, del futuro e del passato sortilegio, voglio esser vittima e assopirmi senza neppure accorgermi d’essere esistito. Dimenticare d’aver avuto coscienza dell’oblio: perché tutto d’oblio e dimenticanza e cancellazione può esser costituito, e deve frammentare il ricordo e spezzettarlo in tante minutissime parti. Un nome per ogni poesia: infine, più nulla. Non più allegria, né disperazione: ripudiare il sorriso delle lacrime, e l’amarezza conclamata della serenità.
Adesso sono il demone che domanda respiro e ti rassicura: sbriglia sogni e immagini vergini, i pensieri attendono il canto della vita nuova. Il colore del cielo è l’illusione prima: una sassata infrangerà specchi ed esorcizzerà spettri. Che altro senso potrebbe avere l’utopia? Siamo nel non luogo. Nel dominio dell’immaginazione e della fantasia, dove tutto è accaduto, e da sempre tutto accade, e nei tuoi sogni può accadere ancora. Spogliati della logica, rifiuta lucidità adesso: corrodi l’ultima difesa e contempla la stremata ritirata della prima (luce, Walcott) madre. Poesia richiama prosa: convergi nel mio sangue, ho sognato favola. E favola nasce. Se adesso vuoi inoltrarti tra le pagine d’un dio, dimentica d’aver avuto un nome. Non possiedi che parole, eppure niente è più come poteva apparire ed essere in passato. Favola è Utopia. Un racconto che “ci rappresenta come possibili, in condizioni possibili o impossibili, avvenimenti impossibili”, ricorda il maestro.
“Warum erklärst du’s nicht und lässt sie gehn?” Geht’s mich denn an, wenn sie mich nicht verstehn?" “Perché non spieghi e li lasci andare?” È forse affare mio se non mi intendono? (W.Goethe, Xenie Miti)
Wolfgang Goethe iniziò a lavorare alla stesura della Favola a Karlsbad, dopo un colloquio con il fraterno compagno letterato Schiller tenutosi a Jena, alla fine del giugno del 1795. Poco tempo dopo, promise all’amico, recente fondatore della rivista “Die Horen”, di consegnare per un prossimo numero della rivista la conclusione dell’ultima storia degli “Intrattenimenti di profughi tedeschi”. Il nome provvisorio di questo ultimo racconto era “Favola dell’Utopia”. Il mistero più affascinante di questo testo risiede nel suo preteso significato originario: interpretazioni e letture della storia, condizionate dal maestoso e seducente simbolismo, si sovrappongono invano da più di duecento anni. E allora, ad ognuno di voi vada il piacere splendido dell’esplorazione di quest’isola, e d’una adesione personale al suo senso. Tento di tratteggiare, sfumando come posso, qualche frammento della trama. Lontana da me qualsiasi pretesa di verità: sono destinato al delirio, voglio vaneggiare senza essere condizionato. E dunque, m’avventuro tra i sentieri del maestro. Entriamo nella Favola.
Si racconta delle meravigliose e incredibili avventure di due fuochi fatui, e d’un serpente che d’improvviso seppe loro affratellarsi e divenire infine ponte, per sacrificarsi nel nome d’un sentimento immortale; si racconta di un tempio, che s’appresta a risorgere e a ritornare alla luce, dai profondi abissi del mare, e di quattro re, uno d’oro, uno d’argento, uno di bronzo, uno da tutti e tre gli elementi composto; e ancora, di una splendida fanciulla, Lilie, che incarna la bellezza, e vive al di là d’un lago, e d’un giovane che vuole sconfiggere la morte e conoscere la perfezione. Si racconta di come la morte possa essere dimenticata, e l’eternità possa tornare a sorridere agli uomini: poiché l’ora è venuta, ripete il maestro Goethe per tre volte nella narrazione. E quest’ora finalmente giunta è l’ora della liberazione dell’umanità, dell’affermazione trionfale dell’arte, del ritorno del dominio della bellezza, e dell’immaginazione: è l’ora dell’epilogo della disperazione, e dell’annichilimento dell’isolamento e della depressione, è l’ora della speranza e della luce. Perché questa favola è una favola scritta da chi era pura luce: e parla di creature di luce, e il lettore trascina ad una luce inestinguibile e rigenerante.
Può essere la metafora del reclamato ritorno dell’amico Schiller alla poesia, o l’annuncio d’una futura epoca umana, destinata ad essere vissuta nel segno dell’adorazione dell’arte, e della bellezza, e del dominio dell’amore; può essere una passeggiata in un bosco sacro, sempre oltre i confini d’un villaggio, nelle terre dimenticate da dio e riservate alle divinità minori, e non per questo meno imperfette; può essere un inno ai sentimenti, e alla poesia, e all’evoluzione. La favola è utopia: non ha importanza stabilire un luogo o un momento, e, in fondo, neppure un significato. Dobbiamo abbandonarci: e sorridere, e meravigliarci, e dello stupore nostro nutrirci: perché la chiave di lettura di tutto quel che ci circonda è in quello stupore d’innocenti che troppo spesso abbiamo dimenticato d’aver avuto, e sappiamo profondamente di avere mantenuto ancora vivo, nel segreto, mascherato dall’esperienza.
Sulla riva del grande fiume, riposava un vecchio barcaiolo. D’un tratto vide librarsi, sopra l’imbarcazione ormeggiata, due fuochi fatui. Sibilarono fortissimi, parlando tra loro in una lingua sconosciuta. Il vecchio barcaiolo assecondò la loro richiesta e li traghettò sino a destinazione. I fuochi fatui intendevano pagarlo in monete d’oro: ma non poté accettare, perché solo frutti della terra poteva ammettere in cambio, e non denari, a meno di non voler irritare il fiume. E così, disperdette le monete in un crepaccio. In quel crepaccio, si trovava un serpente verde che solo a sentir tintinnare le monete si risvegliò dal sonno, nutrendosi d’ogni più piccola moneta: poco dopo, si accorse d’essere divenuto trasparente e luminoso. Vagò, in cerca dei suoi nuovi simili, sin quando non incontrò i due fuochi fatui, gioendo dell’incontro con due compagni tanto ameni. Quando gli donarono nuovo oro, promise loro eterna riconoscenza. I due fuochi domandarono di essere accompagnati fino al palazzo della bella Lilie, perché morivano dal desiderio di gettarsi ai piedi della fanciulla: ma la fanciulla si trovava al di là dell’acqua. Potevano servirsi, rivelò il serpente, dell’ombra di un gigante, all’alba e al tramonto… poco dopo, il serpente di pura luce scoprì un tempio, e quattro re…ma in questo momento il mio compito si interrompe. Le favole si raccontano sempre con qualche intervallo. E il tempo di questo intervallo, stavolta, sarete voi stessi a deciderlo. Torno nell’Utopia, e m’addormento, devo ancora interrogare il quarto re…
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno, 1749 - Weimar, 1832), letterato tedesco.
Wolfgang Goethe, “Favola”, Adelphi, Milano, 1990. Collana Piccola Biblioteca, 251. La raffinata edizione contiene il pregevole saggio “La chiave smarrita”, di Katharina Mommsen.
Gianfranco Franchi, luglio 2002.
Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, lankelot.