Hacca
2009
9788889920336
“Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di scrivere che quello è il periodo più bello della vita...” scrive Paul Nizan cominciando 'Aden Arabia'. Per chi aveva all'incirca vent'anni e, agli inizi degli anni Sessanta, si affacciava nel mondo delle arti e delle lettere, a Napoli, disperazione ed euforia, voglia di fuggire e decisione di restare nonostante tutto, si alternavano in maniera continua, determinando una situazione psicologica del tutto particolare (...)” (Piemontese, “Fantasmi vesuviani”, p. 65)
Ecco un libro destinato a divertire, affascinare e stimolare i giovani letterati campani e partenopei in primis: almeno quanti, tra loro, sono desiderosi di tenere viva la memoria delle grandi personalità artistiche del loro Novecento, e non vedono l'ora di studiarne gli scritti – cautelandosi per la spesso straripante presenza di un'ideologia fastidiosa, si intende. È sempre la stessa, è rossa, malata di realismo e violenta, e pretende d'essere giusta, e rivoluzionaria. Stucca, stuccava, ha stuccato, stuccherà. Portate pazienza, un bel giorno finirà.
Illustra l'opera il direttore editoriale di Hacca, il grande letterato Andrea Di Consoli: “Fantasmi vesuviani è un importantissimo memoriale sulla cultura a Napoli (…). Piemontese, con la sua drammatica percezione del disastro e dell'oblio, chiama a raccolta, in un libro che non è testamento soltanto in virtù di una totale assenza di solennità retorica, tutti i protagonisti e le comparse della cultura napoletana dagli anni Sessanta agli anni Novanta del secolo scorso” (fonte: bandella). E così, ci racconta Andrea, i fantasmi di questo libro sono Domenico Rea, Lucio Amelio, Franco Cavallo, Franco Capasso, Luciano Caruso, Giuseppe Recchia, Alberto Marotta, Fabrizia Ramondino, Nicola Pugliese, Mario Guida, Tullio Pironti (scopritore di DeLillo, Carver ed Ellis in Italia...), Roland Barthes, Jack Kerouac (un cameo, da ubriaco), Michele Prisco, Luigi Compagnone e Luigi Incoronato.
Si racconta di chi aveva “un'energia incredibile, e una fortissima determinazione, qualità che troppo spesso sono scarse nei napoletani che s'impegnano in attività intellettuali e che si scoraggiano dopo i primi insuccessi”, come l'attore (con la Wertmuller) e mercante d'arte Lucio Amelio, sodale di Leo Castelli e Ileana Sonnabend, grande amico di Andy Warhol.
Si racconta di chi, nel 1972, profetizzava che Napoli stava andando incontro a una disfatta totale: era lo scrittore Luciano Caruso, mente più lucida e carismatica della “avanguardia napoletana”, grande esperto di futurismo.
Si racconta di chi non sopportava più l'esistenza; e a un tratto, come sembrava ormai logico, ha preso e se ne è andato. Scrittore sempre in crisi, comunista tormentato, era Luigi Incoronato, alle spalle un discreto successo editoriale (“Scala a San Potito”, Mondadori, 1950) e tante difficoltà economiche.
Si racconta di Domenico Rea, che non ha mai resistito alle “miserevoli seduzioni della città”: un “espressionista barocco” che vanta grandi libri come il sottovalutato “Una vampata di rossore” (1959) e “Mistero napoletano” e si ritrova eternato, oggi, da un Meridiano Mondadori.
E leggiamo di chi, come Compagnone, valeva tanto ma veniva criticato dagli intellettuali napoletani perché era di destra: scrive Piemontese che “aveva collaborato al Borghese, giornale di estrema destra, e queste erano cose che non si perdonavano” - come se oggi fosse diverso. Transeamus. Lo scrittore segnala “L'amara scienza” come miglior romanzo del fu Compagnone, “epigrammista geniale”. E leggiamo di quando, a Napoli, criticavano Croce: Piemontese leggeva e recensiva la “Critica del gusto” di Galvano della Volpe, guadagnandosi encomi; e leggiamo quanto Mazzacurati amasse gli irregolari, e sempre andasse cercandone. E scopriamo con quanta follia veniva gestita la “Shakespeare & Company” di Recchia, capace di bruciare patrimoni interi in nome del sogno d'una casa editrice immortale.
E ancora. Piemontese ama “Il mare non bagna Napoli” della Ortese; ricorda volentieri il caso letterario di Nicola Pugliese, “Malacqua”, apparso per Einaudi, nel 1977, sotto grandi auspici di Italo Calvino; e si domanda che fine abbia fatto Mario Devena, che aveva esordito con Mondadori nel 1963 pubblicando “Un requiem per Addolorata”.
C'è spazio anche per il grottesco o il tragicomico. Piemontese ricorda i suoi incontri con l'editore Giangiacomo Feltrinelli, che all'epoca cercava “adepti per il suo movimento rivoluzionario. Non senza mia sorpresa, questi incontri avvennero nel più lussuoso albergo della città, dove non avevo mai messo piede prima di allora e dove entravo con timoroso disprezzo. Feltrinelli cercava un leader studentesco che avesse un largo seguito personale, per il suo nascituro movimento. Escluso in partenza che potessi essere io, dovemmo ammettere al terzo o quarto incontro che un simile leader qui non esisteva e che al massimo si poteva cercare di 'costruirne' uno. La tragica morte dell'editore pose la parola fine al progetto” (p. 47). E meno male, che del fanatismo dei comunisti – armati e non – abbiamo le tasche piene e non da ieri. Che il futuro ce ne liberi, ma non ne cancelli la memoria. E che rimanga solo la memoria dell'arte, quella vera – mai solo rossa, e mai solo nera.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Felice Piemontese (Monte Sant'Angelo, Foggia 1942), poeta, giornalista, scrittore e critico letterario italiano. Ha pubblicato romanzi per Pironti (“Epidemia”) e Marsilio (“Dottore in niente”), libri di poesia per Manni (“La città di Ys” e “Il migliore dei mondi”). Scrive su “Il Mattino”, “La Stampa”, “L'Unità”.
Felice Piemontese, “Fantasmi vesuviani”, Hacca, Macerata 2009. Bandella di Andrea Di Consoli. Copertina di Maurizio Ceccato.
Gianfranco Franchi, ottobre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.