Esegesi dei luoghi comuni

Esegesi dei luoghi comuni Book Cover Esegesi dei luoghi comuni
Léon Bloy
Piano B Edizioni
2011
9788896665190

Dobbiamo tornare ad avere rispetto della povertà. A esserne orgogliosi. A rivendicarne l'essenza. L'integrità. Sul “Corriere della Sera”, nel 1974, il grande Goffredo Parise insegnava: «Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra. Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l'automobile, le motociclette, le famose e cretinissime barche. Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto di ciò che si compra. La povertà è conoscere le cose per necessità».

In quest'epoca di vigliacca e clamorosa ostentazione d'una falsa opulenza, e d'un'arroganza borghese ingiustificata e viziosa, accompagnata da una volgarità e da una boria tutta bauscia, capricciosa e catodica, le parole di Parise assumono ben altra rilevanza, e più profondo senso. Sono parole che sarebbero piaciute a un artista spirituale, irregolare e caustico come Léon Bloy (1846-1917), che torna a parlare alle nostre coscienze, in questi giorni, grazie alla nuova edizione dell'irreperibile libro primo della sua “Esegesi dei luoghi comuni” (Piano B, euro 11,90, pp. 176), un libro che, per dirla con le parole del brillante curatore, Alessandro Miliotti, «malgrado la prosa febbrile, la disarmante ostinatezza con cui dal principio alla fine persegue il “mutismo” del borghese, resta un monolitico, anarchico e talentuoso anatema scagliato contro la modernità; una meravigliosa maledizione che investe la società fondata sulle merci, sulla tecnica, sull'affarismo, che disprezza il debole, il povero, il prossimo, cinica fino al grottesco, vigliaccamente conformista e soprattutto incapace di assoluto». Già, perché «la miserabile condizione del borghese è proprio la sua costitutiva e totale incapacità di cedere all'Assoluto: al borghese manca il coraggio dell'assoluto». Sacrosanto.

Scriveva Léon Bloy che la logica dei luoghi comuni non perdona. Scrivendo questo libro s'impegnava nella spiegazione di essi: come fossero enigmi, come fossero mostri, andava a interpretarli per spogliarli di credibilità, o per demistificarli. L'enigma più grande, per Bloy, era l'ossessione materialista dei borghesi e il loro incredibile culto per il denaro, fondato sul principio invulnerabile che detta legge su tutto, vale a dire: “Gli affari sono affari”. «Impossibile dire con esattezza che cosa sono gli Affari. Sono una divinità misteriosa, qualcosa come l'Iside dei mascheroni che soppianta tutte le altre divinità. Gli Affari sono Affari, come Dio è Dio, cioè fuori da tutto. Gli Affari sono l'inesplicabile, l'indimostrabile, l'incircoscritto, tanto che basta enunciarlo, questo Luogo Comune, per risolver tutto, per metter subito la museruola a condanne, collere, lamenti, suppliche, sdegni e recriminazioni».

L'affare per eccellenza è distruggere la natura, per colare un po' di cemento, e far lavorare le imprese degli amici, e far speculare gli amici, e gli amici degli amici. Questo succede perché, secondo il vecchio e saggio Bloy, «il borghese è, per natura, odiatore e distruttore di paradisi. Quando scopre un bel terreno, il suo sogno è tagliare i grandi alberi, seccare le sorgenti, tracciare strade, mettere negozi e orinatoi. Secondo lui questo è metter su un affare». Valeva allora, vale esattamente oggi. E così è discretamente pericoloso apprezzare qualcuno perché è uno che ci sa fare, o uno “pratico”. Perché, tanto per intenderci, «un padron di casa che mette per strada, in pieno inverno, malati e affamati, è di certo un uomo pratico, soprattutto se è milionario, e più è milionario, più è pratico. C'è gente che vende carogne agli ospedali, o lattai che avvelenano millecinquecento bambini un anno sì e uno no, e fanno così un sacco di quattrini. È gente stracolma d'amore, ma li inchioda il principio. Bisogna essere pratici. Un santo non è mai un uomo pratico».

Sosteneva Bloy che non si diventa grandi perché si ha avuto la capacità di guadagnare tanto denaro. Quantomeno perché «sopra all'uomo che ha molti soldi, c'è quello che fa paura, perché può prendere i soldi degli altri e, in cambio, dargli dei calci in culo. È sicuramente uno più grande». Sicuramente. Sosteneva Bloy che era assurdo poter tollerare che dietro l'espressione “Quando si sta nel commercio...” si nascondesse l'accettazione di qualsiasi privilegio o favore: è grottesco, infatti, che «quando si è nel commercio diventa lecito, e persino professionale, ciò che non è permesso a nessuno in nessun caso». La ricchezza che nasce da quel commercio in cui siano tollerati menzogna, furto, tradimento, meretricio, sacrilegio, non ha niente di autentico e niente di sensato: è un maleficio, è una maledizione. Sosteneva Bloy che ripetere che non esiste niente di assoluto altro non è che negare Dio, e sprofondare nel relativismo. E ripeteva con chiarezza che l'epoca in cui viveva, il Novecento, aveva sostituito Geova con un borghese: con ogni borghese potente e influente, con quel borghese incresciosamente dimentico che nel Vangelo è scritto che è più facile che un cammello passi per la cruna d'un ago che un ricco entri nel regno dei cieli.

Sosteneva Bloy che vivere senza denaro e senza mangiare è sempre possibile: vivere senza Dio è invece sempre infelice e sbagliato. Chi vive nel nome di Cristo sa che per vivere non ci si deve nutrire di denaro: il pane vivente e il pane che salva è soltanto Dio. Ricordava Bloy che un inquilino non diventa necessariamente cattivo se smette di pagare puntualmente i suoi affitti, anche se ne ha pagati centinaia regolarmente, prima, o ha salvato la patria venti o trenta volte. Cercate di non dimenticarvelo, che siate padroni di casa o affittuari. Sempre. Sosteneva Bloy che quando un borghese critica qualcuno dicendo che ha la testa tra le nuvole, non dovrebbe dimenticare che in certi frangenti quella persona ha un grande desiderio interiore di bellezza, di beatitudine, di pace; che preferisce l'arte a un inventario di fine anno; che ha più bisogno di ristorare la propria anima che il proprio intestino.

Sosteneva Bloy che i pagani d'antan erano più dignitosi e lucidi di noi borghesi, perché avrebbero detto, chiaro e tondo, che il denaro fa la felicità. «Ma tu, sordido borghese che ti pretendi cristiano, su cui muore ogni simbolo della vita divina, come le perle su un lebbroso; tu, che sicuramente pensi che un pezzo da cento sia beatifico, perché mentire? Che cos'hai da mentire?». Già: nel nostro tempo il detto s'è tramutato in “I soldi non fanno la felicità. Però aiutano”. Aiutano, certo. Sublime arte del compromesso. Sosteneva infine Bloy che nella retorica borghese ammazzare il tempo significa, semplicemente, divertirsi: «quando il borghese s'annoia, il tempo vive o resuscita. Quando il borghese si diverte, si entra nell'eternità. I divertimenti del borghese sono come la morte». Soprattutto di certa borghesia. Suicida farla andare al potere, n'est-ce pas? Sradichiamola da lì, allora. Subito.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Léon Bloy (Fénestrau, Aquitania, Francia 1846 – Bourg-la-Reine, Parigi, Francia 1917), scrittore e poeta francese.

Léon Bloy, “Esegesi dei luoghi comuni”, Piano B, Prato, 2011. A cura di Alessandro Miliotti. Traduzione di Sandra Teroni. Collana “La Mala Parte”, 12.

Prima edizione: “Exégèse des lieux communs”, 1902-1912. La stesura iniziale del primo dei tre volumi dell'opera, leggiamo nella prefazione, ha avuto inizio nel settembre 1897 e si è conclusa nel 1902. La serie completa includerà tre volumi, al termine d'un lavoro di compilazione, ricerca e sistematizzazione durato, intervalli inclusi, sedici anni.

Approfondimento in rete: wiki it

Gianfranco Franchi, gennaio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Dobbiamo tornare ad avere rispetto della povertà. A esserne orgogliosi.