Profondo Rosso
2004
9788889084496
Aristide Massaccesi – in arte Joe D’Amato, e non solo: cfr. mezza colonna di pseudonimi adottati negli anni, p. 231 – è il protagonista di questa nuova monografia di Gordiano Lupi, che si conferma santo patrono del sottosuolo dell’underground, analizzando e illustrando con chiarezza e completezza la produzione d’un ex direttore della fotografia diventato cinematografaro a tutto spiano: regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, produttore, distributore. Nella premessa, Luigi Cozzi ricorda questa stravagante figura a tutto tondo accostandola a Roger Corman, filmmaker indipendente; integra una ricca aneddotica, che può stuzzicare l’interesse degli aficionado di Joe D’Amato. Infine, lo chiama “artista”. Penso possa bastare ai cinefili per prendere le misure allo spirito del suo scritto.
A questo punto è necessaria una mia premessa – la solita: non posso confutare né interpretare la qualità dell’analisi e delle suggestioni di Lupi; conosco Massaccesi-D’Amato soltanto per via della sua poco chiara fama di regista erotico e pornografico, escludo d’aver visto un suo film per intero e mi trovo a scrivere di un libro che ho letto per via di Lupi e non di D’Amato: il lettore comprenderà che il taglio della mia scheda è decentrato rispetto agli argomenti e alle argomentazioni, concentrandosi piuttosto sull’autore del saggio.
Ciò non toglie che – al solito – vedrò di sintetizzare almeno i contenuti del libro. “Erotismo, orrore e pornografia secondo Joe D’Amato”: Massaccesi era un “lavoratore instancabile della pellicola”, secondo Cozzi: disincantato padre d’una sorta di piccola Factory (lanciò Michele Soavi) dedita a tutti i generi; western, thriller, commedia, avventura, horror, sexy soft (“Il ginecologo della mutua”, del 1977, con Renzo Montagnani), porno. Era “cinico, pratico, sbrigativo”; trascurava la recitazione, ravvivava i dialoghi riprendendo, magari, una masturbazione. Lupi racconta – al solito – biografia e filmografia completa (per quanto possibile; oltre duecento i film…), con cast e note sulla trama, sugli attori, sulle location. Giudica D’Amato “l’essenza dell’artigianato”: saluta tre importanti horror nella sua produzione, “Buio Omega”, “Antropophagus” (che trova indimenticabile slasher movie, omaggio anche a “Carrie” di De Palma) e “Rosso sangue” (niente è vietato: la macchina da presa indaga l’inconoscibile…), riconoscendoli come “gioielli a basso costo”, congiunzione gotico-splatter; evidenzia Laura Gemser come attrice feticcio (tutta la serie di “Emanuelle”, con una “m” sola per evitare accuse di plagio), ascrive a Massaccesi il merito del primo film porno italiano (“Sesso nero”, 1980), ricorda la sua tendenza a imitare i grandi successi o i casi cinematografici (“Caligola” di Brass) con una o più pellicole analoghe, a basso costo, naturalmente più estreme. Lupi si spinge sino a chiamare in causa Ed Wood, come pietra di paragone fallimentare per questa produzione sterminata; ammetto anche in questo caso di conoscere soltanto la fama del regista americano e la traduzione cinematografica della sua vita a firma Tim Burton, non so vagliare la bontà della comparazione.
Lupi ricorda anche la sperimentazione d’un mondo movie: “Le notti porno del mondo” del 1976, sempre con la Gemser. Ampie le sezioni dedicate all’analisi della serie “Emanuelle”, composta anche – a latere – da un thriller (con scene saffiche e sodomia), “Emanuelle e Françoise”; non manca un film che mostra un po’ di impegno nella difesa delle donne dallo stupro e dalle violenze sessuali: “Emanuelle: perché violenza alle donne?” del 1971.
In generale, la visione del sesso di D’Amato è gioia, liberazione; il regista credeva che tutte le gioie del sesso andassero provate, perché il sesso non è mai cattivo; e pensava che le donne dovessero essere prima femmine che femministe (cfr. p. 62, Emanuelle rappresenta il credo di Massaccesi).
Dall’eros ai primi porno, negli anni 1980: attraverso tonaca movie (tratti da Diderot, ispirati a Borowczkyk), evirazioni a morsi nei Caraibi (“Papaia dei Caraibi”), psicodrammi erotici e via dicendo: fino al folle, visionario, estremo – pura sexploitation – “Porno Holocaust”. Spiega Lupi: “I primi film hard di Aristide Massaccesi sono molto importanti perché aprono una breccia nel mondo del cinema italiano. Sino ad allora c’era stato soltanto il fenomeno degli inserti hard nei film erotici, spesso realizzati all’estero anche all’insaputa delle attrici. Adesso si passa esplicitamente al porno. In Italia nascono le prime sale a luci rosse (come il Majestic di Milano) per difendersi dalle frequenti accuse di offesa al buon costume che facevano sequestrare un film su tutto il territorio nazionale. Nella sala a luci rosse c’è il faro luminoso esterno che avvisa lo spettatore su quel che può vedere dentro. Si riducono al minimo i possibili ricorsi alla magistratura e si fanno incassi notevoli. La novità attira” (pp. 84-85) – e anche questa è storia del costume e del cinema, e altrove non ne avevo mai letto nulla. Ecco la contestualizzazione necessaria.
Secondo Lupi il sesso in D’Amato è connotato da una contestualizzazione volta per volta sociale, politica e culturale; tentando – almeno – una cura e un approccio problematico insoliti nel genere. Per D’Amato, “Erotismo è tutto quello che non è hard. L’hard è la completa distruzione dell’erotismo. Erotismo per me è voyeurismo. Tutto ciò che non vedi e intuisci” (p. 214).
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Qualche curiosità. Il primo film girato da Massaccesi con lo pseudonimo “Joe D’Amato” fu un western, “Giubbe rosse” del 1975, con Fabio Testi. Il nick sembra sia stato scelto dal produttore Ermanno Donati, cavalcando le suggestioni italo-americane del cinema dell’epoca (p. 42).
Il primo film erotico con gli zombie è stato il suo “Le notti erotiche dei morti viventi”. Da ricordare un porno con Siffredi, tra i tanti: “Amleto” (1994), giocato sul “fottere o non fottere”. Spesso D’Amato, seguendo la moda del tempo, girava due versioni dei film erotici: una meno estrema e tagliata, l’altra “director’s cut”, generosa di primi piani ravvicinati e via dicendo.
In sintesi, in questo caso – più ancora che nel libro di Deodato – giudico il testo destinato alla nicchia degli appassionati di D’Amato, o a quei cinefili onnivori (quei “cinefagi” che Chianese e Lupi chiameranno in causa nella monografia su Fulci) che pretendono di conoscere tutto del cinema; anche la storia d’uno stravagante artigiano ossessionato dal sesso, dalla violenza e dalla rappresentazione dei dettagli.
Senza dubbio leggere questo saggio aiuta a decifrare certi accessi noir inclusi nei libri di narrativa di Lupi; al contempo, ribadisce la sua sensibilità nei confronti non solo dei laterali, ma dei minori – in assoluto. Escludo che possa essere stato attratto da Massaccesi per ragioni estetiche diverse dalla sua capacità di rappresentare, duro e crudo, tutto quel che altrove è proibito. Magari può essere rimasto colpito dal suo eclettismo, e dalla sua artigianalità; lo stesso Lupi sembra voler attraversare e forse confederare i generi, nel tempo. Sta di fatto che se la monografia su Deodato stupiva per atipicità, completezza e passione questa sbalordisce per la scelta del protagonista.
Come e quanto influiranno queste partecipate visioni nella scrittura e nella narrativa futura di Lupi? “Questo libro è una mia idea ed è un progetto che ho fortemente voluto, soprattutto per la vicinanza spirituale che mi lega a un autore come Aristide Massaccesi. Premetto che non l’ho mai conosciuto e questa cosa mi dispiace parecchio (Antonio Tentori, invece, ha avuto la fortuna di lavorare con lui e di sceneggiare alcuni suoi film), ma sono i casi della vita che fanno accadere gli incontri. Aristide è morto dimenticato dal mondo del cinema e soprattutto sottovalutato. Piersandro Pallavicini ha recensito questo libro su Pulp dicendo che 'solo il Joe D’Amato dell’editoria avrebbe potuto dedicare una monografia a Joe D’Amato'. Ecco,forse lui pensava di usare questa frase con un senso di ironico disprezzo intellettuale e invece a me ha fatto molto piacere. Mi sento molto vicino a Joe D’Amato perché come lui ho fatto e continuerò a fare un po’ di tutto, senza specializzarmi troppo, ma seguendo la passione del momento. Joe D’Amato ha fatto horror, erotico, addirittura porno, ma sempre inserendo nei suoi film un marchio d’autore e una grande attenzione per la fotografia” – confida Lupi nel maggio 2007.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gordiano Lupi (Piombino, 1960), romanziere, poeta, saggista, recensore, soggettista, sceneggiatore, traduttore, editore italiano.
Gordiano Lupi, “Erotismo, orrore e pornografia secondo Joe D’Amato”, Profondo Rosso, Roma 2004. Premessa di Luigi Cozzi.
Gianfranco Franchi, Maggio 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.