Sellerio
1983
9788838902338
È una raccolta di frammenti, di prose, di racconti brevi: alterazione, trasfigurazione e traduzione letteraria di esperienze estetiche ed esistenziali. Due le colonne portanti: naufragi (come metafora degli atti mancati e dei fallimenti) e balene (come metafora del mistero dell’anima umana): l’ambientazione prescelta, ossia l’arcipelago delle Azzorre, è dovuta al fatto che quelle isole hanno conosciuto gli arpioni dei balenieri e i relitti delle imbarcazioni, e deriva dal tempo che il narratore toscano vi ha trascorso e dall’amore grande che ha nutrito per loro. Sostiene Tabucchi, nel prologo, di nutrire affetto per gli “onesti libri di viaggio”, che offrono un “altrove” teorico al nostro imprescindibile “dove”. Questo suo libro non è un diario di viaggio: è letteratura pura, menzogna o invenzione o contraffazione o mascheramento, come si scriveva in apertura, di quel che è stato vissuto, letto o percepito.
“Donna di Porto Pim” è strutturato in un prologo, dal “sogno in forma di lettera” delle Esperidi, da due parti (“Naufragi, relitti, passaggi, lontananze” e “Di balene e balenieri”), e un’appendice, composta da una mappa, da annotazioni storiche e geografiche, da una rassegna bibliografica.
Potremo immaginare, allora, di trovarci a metà tra Europa e America, nel mezzo dell’Oceano Atlantico: nelle isole che forse così poterono apparire al grande viaggiatore, ansioso d’assistere all’avverarsi della profezia: “La prima isola che s’incontra vista dal mare è una distesa di verde e nel mezzo vi brillano frutti come gemme, e a volte strani uccelli dalle piume purpuree si confondono con essi. Le coste sono impervie, di nera roccia abitata da falchi marini che piangono quando cala il crepuscolo e che svolazzano inquieti con aria di pena sinistra. Le piogge sono abbondanti e il sole impietoso: e per questo clima e per la terra nera e ricca gli alberi sono altissimi, i boschi lussureggianti e i fiori abbondando: grandi fiori azzurri e rosa, carnosi come frutti, che non ho mai visto in nessun altro luogo” (“Esperidi”, p. 15).
Tra uomini “chiari, silenziosi e allegri”, e donne “belle e altere”; in un popolo che in passato non aveva re, né guerrieri: e venerava divinità dell’anima, e del sentimento. Il Dio del Rimpianto e della Nostalgia, padre del rimorso e della memoria della pena, bambino dal volto di vecchio; e il Dio dell’Odio, cagnetto giallo “dall’aspetto macilento” (p. 17); il Dio della Felicità, misterioso e insondabile, che rapiva via chi sapeva adorarlo, e rivelarne l’enigma; e il Dio dell’Amore, che non aveva immagine, ma suono: “il suono puro dell’acqua marina” (p. 19), che avrebbe accompagnato il viaggiatore nell’ultimo grado dell’iniziazione: nulla esiste, stiamo soltanto sognando.
Nella prima parte, siamo spettatori di naufragi di diversa natura: dal naufragio della lucidità e della fede del poeta Antero, malato d’infinito (p. 44), innamorato dell’idea della giustizia e dell’uguaglianza tra gli esseri umani e schiacciato dall’agnizione del niente, al naufragio della verità della creazione (di Pigmalione, dell’opera d’arte), nel primo frammento, ammissione della morte dell’originalità e della pretesa manipolazione dell’esistenza giocando sui diversi punti di vista, e sulle diverse prospettive; dell’evoluzione simbolica del naufragio, attraverso la sua differente percezione e interiorizzazione nelle letterature e nelle letture mediatiche.
Nella seconda parte, Tabucchi compone quella che appare come una frammentaria e malinconica epica delle balene, e dei loro nemici, gli esseri umani. L’artista non dimentica quante similitudini e quante analogie esistano tra le nostre specie; e quel che più colpisce è che concluda rappresentando un rovesciamento di ruoli, lasciando infine che siano le balene a cantare la nostra natura: “Non amano l’acqua, e la temono, e non si capisce perché la frequentino. Anche loro vanno a branchi, ma non portano femmine, e si indovina che esse stanno altrove, ma sono sempre invisibili. A volte cantano, ma solo per sé, e il loro canto non è un richiamo ma una forma di struggente lamento. Si stancano presto, e quando cala la sera si distendono sulle piccole isole che li conducono e forse si addormentano o guardano la luna. Scivolano via in silenzio e si capisce che sono tristi”. (“Post Scriptum. Una balena vede gli uomini”, pp. 81-82).
Racconta di come le balene siano indifferenti alla presenza umana, s’interroga sul senso delle loro catalessi, e sulla natura della loro comunicazione, negli ultimi secoli inquinata e compromessa dall’azione e dalla navigazione degli esseri umani; minuziosamente trascrive le antiche regole della caccia, e rappresenta la sconfitta d’uno degli ultimi balenieri delle Azzorre nella vicenda emblematica della Donna eponima dell’opera: una creatura lunare, sensuale e ambigua, che rubò l’anima d’un marinaio e ne fece un musicista; fin quando la natura dell’assassino pretese un tributo, per riscattare un tradimento previsto, una sconfitta annunciata: un naufragio ultimo, d’un baleniere e d’una balena che irrideva chi sognava di poterla imprigionare (come è per l’amore, è per l’arte).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Antonio Tabucchi (Pisa, 1943-Lisbona, 2012), romanziere e traduttore italiano. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sul Surrealismo in Portogallo, ha insegnato Lingua e Letteratura Portoghese nelle Università di Bologna (1970-1973), Genova e Siena. Esordì come narratore pubblicando “Piazza d’Italia” nel 1975.
Antonio Tabucchi, “Donna di Porto Pim”, Editori Riuniti, Roma 1997. Prima edizione: Palermo 1983. Il prologo dell’autore è datato settembre 1982.
Gianfranco Franchi, novembre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.