Mondadori
2008
9788804577300
“Peter diceva sempre: 'L'unica cosa che un artista può fare è descrivere la sua faccia'. Sei condannato a essere te stesso. Questo, dice, ci lascia liberi di raffigurare ciò che vogliamo, dal momento che raffiguriamo sempre noi stessi. La calligrafia. Il modo di camminare. Il motivo decorativo delle porcellane che scegli. Sei sempre tu che ti tradisci. Ogni cosa che fai rivela la tua mano. Ogni cosa è un autoritratto. Ogni cosa è un diario” (p. 152).
“Diary” di Palahniuk è un ibrido tra thriller e noir, caratterizzato da un aspetto fondante e fascinoso: la riflessione sul ruolo e sul significato dell'attività dell'artista, sulla predestinazione all'arte, sull'anima del creativo – metempsicotica, in tutti i sensi. Lo scrittore americano intervalla la narrazione con brevi digressioni sulle esistenze maledette, e sulle sofferenze, di pittori (la protagonista del libro è una pittrice) come El Greco (p. 31) e Gericault (p. 69 e p. 222); scrittori come Swift (p. 83), mistici già canonizzati (Santa Caterina, San Simeone: p. 209), sino all'elenco di artisti malati (p. 77: da Klee a Byron): scopo del gioco – uno degli scopi del gioco – è spiegare quanto male accompagni l'arte, e quanto forse questo male sia necessario per plasmare l'arte. Per Misty, la narratrice – forse spuria, ma siamo alle solite: cifra stilistica di CP – della storia, la sofferenza è fondamentale perché possa tornare alla creazione artistica.
Il compagno, Peter Wilmot, è in coma: nelle prime pagine, il diario di Misty si rivolge a colui che sta dormendo, e forse un giorno potrà tornare (con o senza memoria, questo forse non importa); c'è la possibilità che abbia tentato il suicidio (del resto, già da ragazzo cercava ogni giorno un dolore nuovo, ferendosi con uno spillo), c'è la possibilità che si tratti di un complotto (vedrete).
La figlia, l'apparentemente dolce Tabitha, Tabby, a un tratto sembra proprio possa essersene andata – e tutta questa sofferenza dovrebbe trascinare o almeno restituire Misty alle sue tele. Misty vive a Waytansea Island, una piccola comunità che ha conosciuto ben diversa fortuna economica; è una cittadina in cui tutti si conoscono o sembrano addirittura imparentati, in cui il dottore è anche impresario delle pompe funebri. Le case cominciano a mostrare chiari segni di fatiscenza (p. 172) e il tempo, in generale, sembra essersi spezzato.
Misty sopravvive di un altro mestiere, svagandosi con drink e aspirine; ex cameriera, è assistente del personale. Alle spalle, una giovinezza caotica e frastagliata da complesse interazioni con l'alterità, evasioni chimiche, scarsa esperienza di cose della vita (non aveva mai visto l'oceano...) e un amorazzo giovanile che sarebbe diventato l'amore della vita. Con tanto di periodico sabotaggio delle sue misure anticoncezionali (pillole, diaframma: Peter aveva una gran fantasia, in questo senso. Riusciva a distruggere tutte le sue difese). Sbronza, disperazione, fastidio (p. 29): il mood di Misty è questo qui.
È una delle tre donne della vita di Peter – le altre sono sua madre e sua figlia. È l'unica dotata di temperamento e talento artistico. È il suo orgoglio, e la sua speranza. E tutto a un tratto, questa speranza sembra condivisa da sin troppe persone, e qualcuno è disposto a pagare un prezzo molto alto perché lei possa tornare a dipingere.
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Probabilmente questo romanzo serviva a CP per prendere le distanze dalla sua dipendenza dalla creazione artistica, osservandola da un'altra prospettiva e con qualche filtro facile da sollevare (pittrice e non scrittore); le variazioni sul tema “artista malato” suggeriscono un pensiero fisso e ossessivo che l'autore è andato a fronteggiare e trasfigurare come ha potuto. La scrittura è la solita, velenosa, morbosetta, avvolgente; l'introspezione riservata a uno e un solo personaggio è magnifica, capace di giocare su contrasti e contraddizioni e rivelazioni come niente fosse. L'esito, avessimo voluto considerare questo romanzo semplicemente un thriller o un thriller ibrido, non è forse memorabile; è tutto il resto – è questo prepotente subplot sulla linea della letteratura e del male – a essere determinante, e in qualche frangente ipnotico.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Chuck Palahniuk (Pasco, Washington, 1962), romanziere americano. Si è laureato in giornalismo nell’Università dell’Oregon, vive a Portland.
Chuck Palahniuk, “Diary”, Mondadori, Milano 2004. Traduzione di Matteo Colombo.
Prima edizione: “Diary”, 2003.
Gianfranco Franchi, giugno 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.