END
2006
9788890217869
Caro Marco Busetta,
ti scrivo come ho scritto ad ogni autore che ho recensito, negli ultimi quattro anni – soltanto, stavolta ci metto anche l’intestazione. La ragione è semplice: il tuo libro non è un libro normale, e questo non soltanto perché ti ho (ri)conosciuto e abbracciato a Trieste, prima della tua prima presentazione, qualche settimana fa: il 16 dicembre del 2006. Il tuo libro non è un libro normale perché rivela, in prima battuta, il tuo talento e tutte le tue promesse al futuro; non è un libro normale perché – tra chi ti ha scelto come vincitore di un concorso – c’ero anche io. E quindi dovrei tirarmi indietro, visto e considerato che non scrivo critica letteraria da oltre un anno. E invece no: eccomi qua, senza guardare la tastiera, palle in mano e dire la verità.
La verità è che il tuo “Diario dalla Stanza Bianca e Vuota” è un libro d’esordio che avrebbe fatto godere Calvino, e non sarebbe dispiaciuto a Borges; sei un narratore che riflette sul linguaggio, rifiuta la trama e rifiuta il genere, sa adottare la lingua letteraria e sa fare a pezzi tutta la merda che ci circonda. Noi forse ti abbiamo scelto per questo: non sei uno di quelli che hanno confuso la Letteratura Italiana per la Letteratura Americana; non sei un odioso tramaiolo; sei uno che crede nella comunicazione e nell’espressione, sei un letterato e un musicista; sei uno della non vecchia, ma vera scuola: quella di chi pretende l’infinito e l’eternità, e non scrive per l’industria e per i mercati. Sei uno di noi, lasciamelo dire – uno di quelli che magari non avrà mai passaggi catodici e radiofonici, ma cristo se ne avrebbe di cose da dire, se fosse. Ecco. Tu.
Quando ho letto il “Diario” ho scritto: “è il primo manifesto della volontà d’impotenza. Il libro di un creatore che non vuole raccontare storie. Zampillano frammenti d’esistenza, amori inconcludenti, pretenziosi, inadempienti: spina dorsale della narrazione è la scrittura pura, transizione verso quella coscienza del niente che ha caratterizzato il Novecento europeo. Quel che ti rimane è un album di fotografie con qualche opportuna lacuna; che dovrai deciderti a colmare prima che il cielo si ripieghi, sicut liber involutus”. È una quarta anonima, perché partim non ti avrei dato adeguato prestigio, siglandola, partim sto sul cazzo ad abbastanza mezzeseghe, indie o mainstream, per poterla firmare, partim nemmeno m’è stato chiesto (ehi: succede – è nelle cose. Fossi stato interpellato avrei almeno siglato). Ma avrei dovuto aggiungere: è il libro d’un ragazzo che deve prendere coscienza dei suoi talenti, perché anche l’altro giorno, guardando un pessimo film di Rohmer – Incontri Parigini, se ti interessa – mi sono accorto che queste seghe del cazzo scrivono film, o libri, appiattiti su una trama che non c’è per dire di averne fatta una. Bravi, tutti a casa, adesso; preferisco la riflessione sul linguaggio e sul senso della creazione alle vostre medie e gelide seghe ideologizzate o ideologiche o quel che sia; fanculo, assieme alle presunzioni d’arte e alle pretese di vendibilità. Vendereste, sì: ma salumi, al mercato, e di lusso. Concludo: hai scritto un romanzo che solo apparentemente non c’è, e li hai presi tutti beatamente per i fondelli. Mica poco.Appena spente le luci scorgi Borges e Zanzotto, dicono di te; ma io dico guarda avanti e guarda oltre, che Borges ha perso la vista per le troppe letture e Zanzotto l’ispirazione per le troppe pretese d’avanguardia e montalità. Hai scritto un libro sul senso del linguaggio, dell’ispirazione e della scrittura: mica poco; adesso rivendicati e difenditi, ché indifferenza odiosa e attacchi stupidi non mancheranno.
Sappi solo che: la scelta di te, e del libro tuo, è il mio testamento personale come editore; da un punto di vista prettamente lettoriale, sono felice di rileggerti; da un punto di vista umano – e questo conta – sono stato contento di vedere confermato che sei una gran bella persona, nei giorni di Trieste. Non sarai mai un’arma, né una rappresaglia nei confronti del sistema: non abbiamo il potere, né noi di Lankelot né quelli di END, di proporti ai cittadini come meriteresti. E tuttavia sei un sasso vivo – e pensaci, è un’espressione vera e splendida – lanciato nel mare della contemporaneità; la tua traiettoria la deciderai anche tu. Adesso va, e racconta loro come scrivere e cosa leggere, e scaccia via quelli che scrivono senza averne titolo: che ne abbiamo tutti le palle piene, e non vogliamo tollerarli più. Vai, e racconta che tra chi ti ha scelto c’era l’ipercritico Franchi, che massacrava quel che piace ai contemporanei senza averne paura. Mica poco. È che tu sei diverso come noi pochi, sei rimasto fedele al sogno e all’origine e alla missione: quella di fare letteratura, non industria e non editoria. In altre parole, Marco Busetta, grazie di cuore, e ogni migliore auspicio: la mia anima è al tuo fianco, in passato e da qui in avanti, per schiaffeggiare dio e i contemporanei, segaioli in primis e industriali più di tutti. Insegnaci a sognare e a pensare: ché quel che scriveremo dovrà restare, dovrà combattere, dovrà cambiare.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Marco Busetta (Palermo, ma Pantelleria, 1979) scrittore e musicista italiano, contemporaneo vivente. Questo è il suo primo romanzo.
Marco Busetta, “Diario dalla stanza bianca e vuota”, END, Firenze/Gignod, 2006. Prefazione di Simone Buttazzi, Postfazione di Angela Migliore.
Gianfranco Franchi, dicembre 2006.
Prima pubblicazione: Lankelot.