Via del Vento
1998
27 aprile 1912. “Che cosa farei adesso se non avessi l'arte? Come sarebbero terribili le ore incomprese – strappato brutalmente dai sogni eterni dove non c'è niente di brutto ma solo cose straordinarie, e sentirsi trascinato nella crudezza insensata cui manca tutto ciò che la può abbellire, che potrebbe anche essere la forza. Amo la vita. Amo penetrare nel profondo di tutti gli esseri viventi; ma detesto la coercizione che ostilmente mi incatena e vuol costringermi ad una vita che non è la mia, una vita piegata a basse finalità e all'utile, senza arte – senza Dio” (Schiele, “Diario dal carcere”, p. 10).
**
Non esiste un manoscritto del “Diario dal carcere” - scrive F.Z. nella bandella: l'opera apparve in prima edizione a Vienna nel 1922, col titolo “Egon Schiele in prigione”. Durante la prigionia (24 giorni), in ogni caso, al pittore non fu mai permesso di scrivere: dovrebbe trattarsi, insomma, di impressioni e memorie composte in differita, e molto probabilmente redatte in collaborazione con il futuro biografo dell'artista, Roessler. Secondo la curatrice dell'opera, Susanna Mati, questo scritto è stato “senz'altro pesantemente manipolato”, ma “conserva qua e là accenni che difficilmente non possono essere attribuiti a Schiele” (p. 28).
Entriamo quindi nel vivo di queste pagine, nella piena consapevolezza che possa trattarsi di qualcosa di soltanto vagamente attribuibile al talentuoso pittore espressionista mitteleuropeo. Questa vaghezza basta a scatenare emozioni, va da sé: ci contentiamo delle ombre quando sono ombre di genio.
Le indicazioni cronologiche vanno dal 16 aprile 1912 all'8 maggio, giorno della sua scarcerazione. Nelle prime battute, ci ritroviamo a immaginare l'artista recluso nel Carcere di Neulengabch, emozionato perché ha appena ricevuto matite, pennelli e colori, e un po' di carta: quanto basta per vincere l'abnorme noia figlia delle prime tre giornate tutte uguali, di ore “informi” e “noiosamente grigie”, e per smettere di immaginare figure inesistenti sull'intonaco della galera. Man mano, Schiele descrive la sua terribile condizione di galeotto, deprecando la nulla igiene, l'impossibilità d'un'occupazione diversa dal pensiero, le periodiche umiliazioni dei secondini: e intanto va accennando ai suoi disegni, come per riequilibrarsi, come per riallinearsi.
La nostalgia della libertà, il 1 maggio 1912, si incarna nell'amata Trieste: “Per consolarmi mi sono dipinto una barca panciuta e colorata come quelle che dondolano sull'Adriatico”, appunta il pittore. Non capisce perché sia stato arrestato: quando scopre la causa – oscenità – grida allo scandalo e al disonore per la sua nazione. L'oscenità, ribadisce, sta solo nello sguardo volgare dello spettatore. E intanto si ripete che non deve soccombere, che deve sopportare il rovescio della sorte, che deve diffidare di tutto. Liberato, conclude: “Chi rinnega il sesso è un individuo sporco e offende nella maniera più spregevole i propri genitori che lo hanno generato. Dinanzi a me, d'ora in avanti, dovranno vergognarsi coloro i quali non hanno sofferto quanto ho sofferto io” (p. 25). La contraddittoria vicenda della sua carcerazione rimarrà una ferita aperta; almeno saprà figliare immaginazione nuova.
**
“Eterno sin dall'inizio è Dio, l'uomo lo chiama Buddha, Zarathustra, Osiride, Zeus o Cristo, e eterna come Dio è la cosa più divina presso di lui: l'Arte. L'Arte non può essere moderna; l'Arte è eterna dall'origine” (22 aprile 1912).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Egon Schiele (Tulln an der Donau, Austria, 1890 – Vienna, 1918), pittore austriaco.
Egon Schiele, “Diario dal carcere”, Via del Vento, Pistoia, 1998. Traduzione di Daniela Fedi. Postfazione e note di Susanna Mati. Collana “I quadernidiviadelvento”, 24. Tiratura limitata 2000 copie: la mia è la numero 142.
Prima edizione: 1922.
Gianfranco Franchi, agosto 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.