Einaudi
9788806185596
“ISSIONE: E che cosa è mutato, Nefele, sui monti? LA NUBE: Né il sole né l’acqua, Issione. La sorte dell’uomo, è mutata. Ci sono dei mostri. Un limite è posto a voi uomini. L’acqua, il vento, la rupe e la nuvola non sono più cosa vostra, non potete più stringerli a voi generando e vivendo. Altre mani ormai tengono il mondo. C’è una legge, Issione. ISSIONE: Quale legge? LA NUBE: Già lo sai. La tua sorte, il limite…” (Pavese, “Dialoghi con Leucò”, dialogo “La nube”).
L’amore, la morte, l’immortalità, la poesia dell’istante, la natura degli dei e l’origine degli uomini: tematiche interpretate e affrontate con eleganza e passione da Cesare Pavese in questo libro, adottando una sublime lingua letteraria, spurgata dagli ossessivi stilemi e dai ripetitivi dettami del realismo e ubriacata da un erudito, ma certamente grottesco, ritorno alla classicità. Stupisce e frastorna, considerando la produzione dell’autore, la pubblicazione di un libro del genere: alieno ed estraneo alle consuete ambientazioni, antitetico rispetto alle istanze ideologiche, atipico e demodé nella struttura. Non è forse solo una stravaganza, o un divertissement erudito, la scelta di Pavese di collocare in atmosfera perlopiù mitologica o letterario-mitologica i ventisei dialoghi che compongono questo libro: dialoghi legati fondamentalmente all’epoca dell’abbandono degli dei dal mondo degli uomini, e incisivamente giocati sul tema della morte, della vita, della ricerca di una congetturata origine. Lo scrittore, probabilmente, intendeva con questo escamotage comunicare una particolare (altrimenti impronunciabile?) visione dello spirito del suo tempo: traslandolo in un passato addirittura mitologico, poteva più liberamente esternare il proprio malessere e la propria insofferenza per le artefatte pseudo-epiche coeve. In seconda battuta, si riscontra una volontà provocatoria, quasi a voler rimarcare il (potenziale) eclettismo dello scrittore, a voler ribadire il rifiuto di etichette immutabili.
C’è poesia e sentimento; c’è l’annuncio della dannazione, nel vagheggiare la morte e nella progressiva coscienza della superbia e della caducità dell’umanità; c’è abbandono al sogno, e polemica religiosa (dialogo “Il mistero”, protagonisti Dioniso e Demetra); e ancora, riflessione sulla sensualità, e sulla natura della passione. In più di qualche passo, ho avuto la sensazione che echeggiasse la lezione stilistica e – in generale – estetica del Leopardi delle “Operette morali”; ma non posso parlare di analogie, né di similarità; al limite, di una generica (preziosa o pretenziosa?) affinità formale.
Amori perduti, divinità perdute, distacco tra amanti e distacco tra uomini e dei: l’anima del libro è in questo suo cristallizzare l’istante, o la fase, del passaggio tra uno status, una condizione, e un’altra condizione e un diverso status. L’amarezza e la lucidità dell’artista piemontese si sposano con una singolare capacità di chiosare ridondanze e aulicismi con frasi immediate, graffianti, dal tono definitivo e apodittico. Ad esempio, “Meglio soffrire che non essere esistito”, dirà Patroclo ad Achille; Achille concluderà: “Solamente gli dei sanno il destino e vivono. Ma tu giochi al destino”.
Intendiamoci: questo libro non è un capolavoro, è un eserciziario di buon livello, al limite. Tuttavia, credo vi si annidi una segreta chiave d’accesso allo spirito di Pavese, e che converga una summa degli argomenti cari alla sua produzione scritta. Si intravede qualche leziosità e ci si scontra con qualche bizantinismo; niente di particolarmente offensivo per la suscettibilità del lettore, tuttavia sufficiente per impedire che l’opera possa definirsi “accessibile”. Pavese stesso sosteneva che questo libro fosse una sorta di suo capriccio: per il risvolto di sovraccoperta della prima edizione del volume, nel 1947, aveva scritto: “Pavese si è ricordato di quand’era a scuola e di quel che leggeva (..). Ha smesso per un momento di credere che il suo totem e tabù, i suoi selvaggi, gli spiriti della vegetazione, l’assassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po’ straccamente e ci sbadigliano un sorriso”. E ne sono nati questi “Dialoghi con Leucò”.
Pavese ha ideato e composto il libro nell’arco di due anni, 1945 e 1947, tra Roma, Milano e Torino. Il più antico dei dialoghi, “Le streghe”, è stato intrapreso nel dicembre del 1945; l’ultimo, “Gli uomini”, è stato concluso nel marzo del 1947. D’atmosfera crepuscolare e argomento estremamente vario, il libro costituisce, come si accennava, una felice divagazione dal realismo caro all’autore. I protagonisti dei dialoghi sono fondamentalmente, ma non esclusivamente, divinità e semidivinità della mitologia greca; c’è, ad esempio, un dialogo sulle muse tra Esiodo e Mnemòsine, uno sulla morte tra Saffo e la ninfa Britomarti, uno sul signore d’Arcadia, Licaone, tenuto da due semplici cacciatori. L’eroina eponima del libro, la ninfa Leucotea, tebana, sorella della madre di Dioniso, appare in due dialoghi: “Le streghe”, con Circe e “La vigna”, con Ariadne. La scelta del nome dell’opera sembra derivi da un sottile omaggio sentimentale dell’autore: innamorato di Bianca, ne tradusse il nome in greco. Il titolo, altrimenti, avrebbe dovuto essere il più attinente “Uomini e dei”: mi riferisco a quanto suggerisce l’edizione consultata nell’appendice filologica, riportando il titolo di una minuta di frontespizio cancellata e sostituita con il nome definitivo.
“IPPÒLOCO: Anche lui fu crudele, dunque. SARPEDONTE: Era giusto e pietoso. Uccideva Chimere. E adesso che è vecchio e che è stanco, gli dèi l’abbandonano”. (Pavese, “Dialoghi con Leucò”, dialogo “La Chimera”).
(uccidere Chimere). (abbandonati dagli dei). (crudeli e pietosi. Umani).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, Cuneo, 1908-Torino, 1950). Romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Dottore in Lettere nel 1930 con una tesi “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman”, fu tra i fondatori, nel 1933, della casa editrice Einaudi.
Cesare Pavese, “Dialoghi con Leucò”, Einaudi, Torino, 1968. L’edizione dispone di un eccellente apparato filologico.
Prima edizione: Cesare Pavese, “Dialoghi con Leucò”, Einaudi, Torino, 1947.
Gianfranco Franchi, aprile 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.