Della dissimulazione onesta

Della dissimulazione onesta Book Cover Della dissimulazione onesta
Torquato Accetto
Einaudi
1997
9788806141417

È stato soltanto nel 1928 che, per merito di Benedetto Croce, è stato ristampato, dopo la prima edizione risalente al 1641, il volume dell’ex segretario dei Duchi di Trani Antonio e Fabrizio Carafa. Croce lo giudicava “meditazione di un’anima, piena di luce e dell’amore del vero, che da questa luce stessa e da quest’amore trae il proposito della cautela e della dissimulazione” (p. 6). Manganelli, nella presentazione, si è invece soffermato sulla “suprema ambiguità” del trattatello. L’Accetto si fece “scriptor necans” (p. 24), sacrificante e sacrificato, nella stesura del testo. Costretto a dissimulare per trattare della dissimulazione, per sua esplicita ammissione, stralciò e censurò larga parte del suo lavoro che ci giunge dunque “esangue” (p. 32). La difficoltà ermeneutica nasce proprio dal cesello, dall’incessante labor limae del letterato; e certe citazioni presenti sono spesso solo apparentemente mortificate dalla loro incompletezza. Si tratta probabilmente di una precisa volontà dell’autore, che desiderava creare diversi livelli di lettura, stabilendo differenti gradi di interpretazione – o di “accessibilità” – del testo. Si può concordare con chi ha rilevato la pregevole ambiguità di quest’opera: scritta in epoca di soffocante censura, comunicava per via di cesure; il silenzio eloquente che ne derivava costringeva il lettore ad un’operazione divinatoria. Wittgenstein, nel suo “Tractatus”, sostenne che quanto voleva esprimere era in ciò che, scrivendo, non aveva scritto. Analogia questa da non sottovalutare, direi, considerando proprio la più profonda consapevolezza dello studioso nostro contemporaneo.

Il testo è composto da una prefazione e da venticinque brevi capitoli. Accetto si presenta come amante della verità, desideroso di vagheggiarla con minor pericolo (p. 35): il testo è infatti un inno alla prudenza, spinta talora parossisticamente sino al silenzio, secondo i dettami pitagorici. Eppure, questo amante della verità dichiarerà nelle ultime battute del libro che “non sempre si ha da essere di cuore trasparente” (p. 87). Accetto innanzitutto stabilisce una coincidenza tra il vero e il bene, permeata di neoplatonismo e di cristianesimo; riconosce che soltanto nell’Eterna Luce divina “il vero è sempre vero” (p. 37). La dissimulazione è “un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo” (p. 42), ed è spesso necessaria; si distingue dalla simulazione perché “è una industria di non far vedere le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello ch’è” (pp. 50-51). Tutto ciò che è bello non è altro che una gentile dissimulazione: la caducità della natura permette tuttavia la contemplazione del suo provvisorio splendore (pp. 54-55).

L’eccellente dissimulatore rimane sconosciuto per sempre, perché sempre agisce nella ricerca del bene comune. È un grande viaggiatore e uno studioso: vie, queste della ricerca della conoscenza, utili per “mettere freno agli affetti” e “non essere tiranno ma soggetto alla ragione” (pp. 48-49). Accetto si dilunga nella descrizione dei tipi umani impossibilitati a dissimulare; i malinconici e i collerici si contrappongono così ai temperati, naturalmente disposti a dissimulare, “gli occhi che paion chiusi e stanno in se stessi aperti” (pp. 46-47). I collerici sono gli individui più naturalmente incapaci a dissimulare, proprio in virtù delle manifestazioni esteriori dei loro sentimenti, dal rossore alla “orribil luce” (pp. 67-68) dello sguardo. E proprio le offese, spesso causa dell’ira, devono essere tollerate e trascurate: la consapevolezza della possibilità d’una perdita o d’una corrosione della propria quiete interiore deve indurre il saggio dissimulatore a mitigare il proprio stato d’animo.

Uno dei capitoli più interessanti è probabilmente quello dedicato alla menzogna con se stessi: Accetto sostiene che un infelice possa e debba dimenticarsi della sua sventura, tentando di crearsi qualche immagine positiva di se stesso, senza trascurare però di ritornare alla realtà in tempi brevi – la negligenza altrimenti diverrebbe letargo (pp. 60-61). Questa concessione però è essenziale nell’ambito del nostro discorso per manifestare come la menzogna “consapevole”, pronunciata verso se stessi, sia un mezzo di autodifesa, a volte taumaturgico. La verità della propria infelicità può e deve a volte essere rifiutata; mentirsi ristora. Addirittura, in un capitolo (pp. 83-84) leggiamo che è la stessa divinità a dissimulare, rimanendo in condizione di dormiente, in attesa del giorno del giudizio: ma si intuisce in quelle pagine l’angosciosa condizione spirituale dell’Accetto, come nota Giorgio Manganelli nella presentazione del trattato.

La dissimulazione di Accetto è forse, prima che una posizione etica, un espediente retorico: Nigro giunge a scrivere che si dovrebbe parlare di un “silenzio attivo”, e non di una “dissimulazione onesta” (pp. 19-26): nel senso che, in tempi di menzogna, la verità si rifugia nel silenzio. Da che cosa dipendano questi tempi della menzogna non è difficile intuirlo. Montaigne, nell’Essai sul mentire, ricorda che: “ci si esercita, ci si addestra a questo come ad un esercizio d’onore; poiché la dissimulazione è fra le più notevoli qualità di questo secolo”.

Maria Bettetini scrive, commentando quest’opera: “L’uomo del Seicento non vuole vedere, perché sa che anche le più graziose apparenze celano la morte che attende inesorabile ogni essere che appartiene alla storia. Sono sufficienti i quadri di Velázquez, Zurbarán, dei loro contemporanei ed epigoni, che nulla risparmiano della crudeltà della natura e che non si trattengono di mostrare sovrani corrotti dalla morte, o la Lezione di anatomia del dottor Tulp dipinta da Rembrandt nel 1632, per lasciarsene convincere”.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Torquato Accetto (Trani, 1598 circa - 1642 circa), letterato italiano.

Torquato Accetto, “Della dissimulazione onesta, Costa & Nolan, Genova, 1983. A cura di Salvatore Nigro. Presentazione di Giorgio Manganelli. Introduzione di Salvatore Nigro.

Prima edizione: “Della dissimulazione onesta”, Napoli, 1641.

Gianfranco Franchi, 2002.

Originariamente integrato nella tesi di laurea “La menzogna nella Letteratura del Novecento”. A ruota, Lankelot.