Romano (più correttamente: monteverdino), classe 1968, orgogliosamente figlio del popolo, David Frati ha sempre cercato ‒ con buona pace dei diktat di Benedetto Croce ‒ di conciliare due vocazioni, quella umanistica e quella scientifica. È un giornalista medico e un “medical writer” tra i più apprezzati nel nostro Paese (si occupa prevalentemente di oncologia); aveva cominciato scrivendo di cinema e soprattutto televisione per la storica free-press “35mm” (per la tv è stato anche autore e copy; così per Kinder Ferrero, esperienza cavallo di battaglia dei suoi speech e delle sue famigerate lezioni). Nel 2005, Frati ha fondato “Mangialibri”, come blog personale; progressivamente, nel tempo, Mangialibri è stato potenziato dalla collaborazione di tante intelligenze entusiaste; oggi, è un punto di riferimento per diverse migliaia di lettori (sfiora il milione di pagine lette al mese). Nel corso di questi primi 14 anni di attività mangialibresca, David ha rilasciato una pletora di interviste in cui ha raccontato spirito e caratteristiche fondanti della sua rivista: su tutte, quella a Marino Magliani di “Nazione Indiana“ [2007] e quella a Morgan Palmas di “Sul Romanzo“ [2010]. Credo però che non abbia mai raccontato a dovere tutta una serie di retroscena, di aneddoti, di meriti, di demeriti e di storie – raccontarle è forse l’occasione per ragionare sulla tenuta e sulla rilevanza della sua rivista, in questi 14 anni.
2005-2019: 14 anni di attività, centinaia di collaboratori. Partiamo dalle tue vere soddisfazioni come scout e come direttore della rivista. Ho la sensazione che, sin qua, sia stato, negli anni, apprezzato e celebrato soltanto lo spirito di “Mangialibri”: che sia stata enfatizzata la quantità delle recensioni ospitate, l’apertura mentale, la vocazione popolare: perché non ti sei mai raccontato come “scopritore di intelligenze” e di talenti? Ogni tanto, scandagliando gli archivi, leggo certi nomi… per dirne uno: Mauro Maraschi. Poi, continuo: Leonardo Caffo, Federico Iarlori…
Non mi sono mai raccontato come scopritore di talenti perché sarebbe stato abbastanza pretestuoso farlo, tutto sommato. L’attività di scouting infatti è sempre stata, in questi anni, al massimo un’aspirazione. “Mangialibri” ha funzionato piuttosto da punto di aggregazione, da polo magnetico. Tante, tantissime persone si sono proposte a noi, una parte di loro è entrata in squadra e ha fatto un pezzo di strada assieme a me, per poi passare ad altro. In alcuni casi, credimi, un “altro” molto prestigioso, sempre nel campo editoriale – troverei comunque ingeneroso raccontare le “storie di chi ce l’ha fatta”, prima di tutto perché molti altri avrebbero meritato di farcela, e poi perché ho il vezzo di ritenere “Mangialibri” un approdo prestigioso, non un trampolino di lancio. Per usare una metafora calcistica (so che apprezzerai), non gestisco “Mangialibri” come James Pallotta gestisce l’AS Roma, i campioni cerco di tenermeli in squadra. C’è per fortuna chi è ancora qui dopo 10, 11 anni e ci rimarrà ancora a lungo, forse per sempre. Niente scouting, quindi. È un processo di accoglienza, il nostro, più che altro. Al massimo posso accettare con piacere la definizione di cintura nera di scrittura, il ruolo di “sensei” (da palestra di borgata, sia chiaro) nell’arte marziale della recensione libraria. Ho imparato negli anni (all’inizio con incredulità, poi via via sempre più entusiasticamente) che la mia insistenza maniacale su certi particolari, la tenacia con cui ho addestrato i collaboratori all’artigianato delle parole, in cui li ho costretti nella “gabbia” di certe regole li ha forgiati, li ha resi editorialisti più rigorosi e consapevoli, più padroni del mezzo. Ma il talento ovviamente lo avevano già. E come ogni “sensei” ho anche imparato, continuo ad imparare tantissimo da ognuno di loro.
Ti chiedo, adesso, quali sono state, a tuo avviso, le 5 migliori interviste pubblicate su “Mangialibri” nel corso degli anni: quelle che pensi siano destinate a contribuire alla fortuna critica di un artista o di un libro, quelle che pensi siano state scritte con più personalità e intelligenza. Vai.
Dunque. Tocchi un punto essenziale, in molti sensi. Una delle caratteristiche che più racconta l’approccio di “Mangialibri” è proprio la frequenza (e la tenacia) con cui cerchiamo di ottenere interviste da scrittori stranieri e italiani appena possiamo. Credo di poter dire che nessuno in Italia pubblica ‒ come facciamo noi ‒ una media di 3 interviste a settimana. Negli anni così facendo abbiamo raccolto migliaia (e intendo migliaia sul serio) di interviste, praticamente a tutti i nomi importanti della narrativa internazionale e nazionale. Tranne casi rarissimi (per dire, ci manca Stephen King, cazzo) se provate a pensare a qualcuno, noi lo abbiamo intervistato. Questa sistematicità porta con sé, è fatale, una concezione del medium intervista meno “definitiva” di quella che può avere una rivista che prepara e pubblica poche interviste all’anno. Ciò premesso, trovo che la mia intervista allo scrittore algerino Boualem Sansal [qua] sia stata addirittura profetica nell’approfondire i motivi dietro alla diffusione (del tutto inaspettata) del jihadismo nei Paesi europei nell’ultimo decennio; che il resoconto della mia passeggiata per il centro di Roma con William Gibson [qui] sia la cronaca di una giornata memorabile in cui ho avuto l’opportunità di conoscere da vicinissimo un autore leggendario; che la mia intervista a Percival Everett [qua] sia il ritratto perfetto di quello che considero il più talentuoso autore vivente; che la mia intervista a Jonathan Coe [qui] sia stata una delle più rilassate e affettuose, fatta davanti a un tè fumante e ad un caminetto acceso come nei peggiori cliché; infine che la mia intervista a Clive Cussler [qui] sia piena di consigli utili per gli aspiranti scrittori mainstream.
Torniamo ai tuoi collaboratori. Passiamo ai talenti inespressi, a quelli che si sono persi per strada, per qualche rovescio della sorte, per carattere, per le cose della vita. Ti è capitato di riconoscere personalità o stile in qualcuno che magari ha addirittura smesso di scrivere? Chi è che vorresti “rianimare” e richiamare alla base?
Avrebbe senso che io ti facessi dei nomi solo se volessi/potessi utilizzare questa intervista come un appello, una (ri)chiamata alle armi. Ma periodicamente scrivo a queste persone direttamente, cerco di farle tornare a scrivere, le corteggio, inesorabile come una maledizione. Mi odiano per questo, probabilmente. Non posso farci nulla: è un vero peccato che abbiano smesso. Vivono la loro vita in una banca, un supermercato, un’aula scolastica, una corsia d’ospedale, uno studio notarile, una fabbrica e così via e nessuno sospetta che hanno un magnifico talento per la scrittura. Io lo so, e quindi ho la missione di recuperarli. Prima o poi ci riuscirò.
Dal punto di vista, invece, degli autori recensiti e approfonditi, nel corso di questi 14 anni: ci racconti quali credi siano stati gli artisti “scoperti” da “Mangialibri” – come rivista – ben prima della fortuna critica o della fortuna popolare? Quali sono stati i pezzi più profetici?
Ti rispondo così: mi sarà successo almeno quindici, venti volte che – intervistando scrittrici e scrittori di livello medio-alto (parlo di notorietà, non di talento letterario) – mi sia stato detto: “Ma sai che la prima recensione della mia vita l’ho avuta proprio da ‘Mangialibri’? Fui felicissimo” (oppure: “Ci rimasi malissimo”, “La rilessi cento volte con emozione”, con parole più o meno uguali tutte le volte). Del resto, quando pubblichi 12 recensioni al giorno, tutti i giorni, per anni… e hai una grande attenzione anche per i piccoli editori, è fatale intercettare gli esordi di gente che poi farà carriera o presentare al pubblico italiano un bestseller prima di altri.
Quali sono state, invece, le peggiori disgrazie capitate per via di una recensione corrosiva o sbagliata? Chi s’è proprio offeso, tra gli autori e gli uffici stampa, e perché? Nomi cognomi e retroscena. Vai.
Le autrici e gli autori di successo ‒ malgrado sia umano prendersela per una recensione negativa e l’umiltà non sia la dote principale degli artisti, in media – sanno perfettamente che una recensione negativa può avere addirittura un “rimbalzo” positivo in termini di vendite, quindi tendono a non fare piazzate. Forse nei loro cassetti c’è una bambolina voodoo con la mia faccia, ma nulla di esplicito. Il vero problema, in tutti questi anni, sono stati invece gli scrittori esordienti o peggio gli scrittori “wannabe”, quelli del self-publishing o che pubblicano a pagamento o che pubblicano per la microeditoria. Come chiunque si occupi di recensioni sa benissimo, purtroppo, scrivere cose negative di opere simili scatena su di te una maledizione che quella di Tutankhamon al confronto è uno scherzo. Conservo decine e decine di mail con insulti incredibili, minacce pazzesche, anche fisiche: per un po’ di tempo avevo anche accarezzato l’idea di trarne un libro, ma per problemi di privacy la cosa non è stata possibile. Peccato, perché è materiale notevole. Un esempio? Uno “scrittore” inviperito ci mandò delle sue foto nudo dicendo che la nostra stroncatura nasceva dal fatto che invidiavamo un uomo con un fisico così. Peccato che la recensione fosse stata ovviamente scritta prima di vedere le foto, e soprattutto che – anche dopo averle viste, ‘ste foto – fosse evidente che io ero più bello di lui.
Adesso parliamo di collaborazioni e gemellaggi con altre riviste letterarie: con chi ti sei trovato più a tuo agio, cosa ti ha fatto sentire a disagio? Cosa c’è che non va nei rapporti con certe riviste e – diciamo così – “un certo giro”?
In questi quasi 15 anni “Mangialibri”, nel suo piccolo, ha contribuito a cambiare il modo in cui si parla di libri sul web. Ed è stato premiato dal pubblico, per questo: oggi un numero enorme di lettori segue il sito ogni giorno, nonostante ci si occupi SOLO di recensioni librarie e interviste agli autori, con passione e competenza ma anche con leggerezza, senza pubblicare post sulla politica, sulla cronaca o sulla società come invece fanno quasi tutti i blog letterari italiani. Un approccio che io amo definire “mainstream”, da rivista patinata che vuole intrattenere ma non rinuncia alla qualità. Il modello di sito sui libri imperante – e uso il termine imperante non a caso – nel nostro Paese è molto diverso. Devo amaramente constatare che lo spirito ‘popolare’ e la nostra proverbiale disponibilità a recensire narrativa di genere, che ci permette di attrarre una fetta così importante di pubblico – quella, guarda caso, trascurata da tutti i “lit blog” italiani – diventa a volte una sorta di tallone d’Achille in questa nostra realtà culturale snobistica, elitaria e autoreferenziale: se sei popolare, agli occhi di ‘quelli che contano’, diventi subito nazionalpopolare e quindi volgare, anche (anzi, soprattutto) se fai tante, tante impression al mese più di loro.
Quali sono le riviste che leggi o che consulti, periodicamente? Cosa legge David Frati, per documentarsi su un artista o su un libro in uscita? Levo subito le due risposte ad oggi (2019) istantanee e ovvie: vale a dire “wikipedia” (nelle varie versioni disponibili, ita/eng/fra) e “facebook” (pagine dedicate e pagine private). E poi: quando leggi queste riviste, ti viene voglia di parlare col direttore o coi caporedattori, magari fuori dai social network? L’impresa riesce?
Per diletto e per lavoro cerco di leggere – sebbene non riesca a farlo quotidianamente – sia i blog letterari più importanti, sia i blog personali (mediamente più attenti alla narrativa di genere), sia ovviamente i supplementi dei quotidiani e le riviste che si occupano di libri. Ma senza dubbio le soddisfazioni più grandi da lettore e da addetto ai lavori le ottengo dalle letture in lingua inglese. Una vera boccata d’ossigeno per due motivi: in primo luogo, siti e riviste anglosassoni sono fuori dalle logiche da “cricca” (tipo: io recensisco il tuo libro così quando esce il mio libro tu lo recensisci, o peggio ancora io recensisco positivamente il tuo libro così quando esce il mio libro tu lo recensisci positivamente) tipiche dell’ambiente letterario italiano, che spesso somiglia ad un pollaio autoreferenziale. In secondo luogo, siti e riviste anglosassoni sono espressione di un mercato e come tali, vivaddio!, si comportano. Uno dei principali motivi per cui la comunicazione libraria in Italia non funziona a dovere è proprio perché – per vocazione “ideale” o per convenienza becera – si mantiene volutamente e pervicacemente slegata dal mercato editoriale. Esempio: ci si occupa all’80% di narrativa italiana quando la narrativa italiana rappresenta una fetta di mercato sensibilmente più piccola. Altro esempio: si trattano con disprezzo i libri che vendono di più, a volte proprio a prescindere. Il risultato è questo: in Italia legge una piccola minoranza di persone; di questa minoranza viene considerata “degna di attenzione” da parte della comunicazione libraria solo un’ulteriore minoranza. Quindi pagine culturali e riviste letterarie si rivolgono a una nicchia di una nicchia. Finisce che ci si parla tra noi, in cento persone. Auguri, eh. “Mangialibri”, per statuto direi, si occupa del pubblico che frequenta le librerie e manda avanti il settore. Di tutto il pubblico che frequenta le librerie, nessuna categoria esclusa. Vogliamo prendere per mano la signora di mezza età che legge sull’autobus il bestseller primo in classifica che le hanno regalato a Natale e guidarla in un Paese delle Meraviglie in cui ci sono migliaia di altri libri che potrebbero piacerle da morire ma che lei non conosce, un po’ per i problemi dell’editoria italiana (monopoli, distribuzione, organizzazione degli spazi vendita, etc) un po’ perché il linguaggio esoterico degli addetti ai lavori e lo snobismo dei cosiddetti intellettuali la respinge, la tiene lontana, la spaventa.
Facciamo un gioco. Un editore romano “storico e solido” (oddio: “romani” e “solidi” ne sono rimasti due, credo: Fazi e Newton Compton, peraltro appena rilevata da Gems) ti incontra per proporti una collaborazione. A scatola chiusa, prima di sapere di cosa si tratti, cosa ti aspetti, adesso: che voglia affidarti la direzione di una rivista nuova, che voglia affidarti una collana di narrativa “fratesca” o che voglia ingaggiarti come ufficio stampa? Oppure, semplicemente, che voglia farti un cazziatone perché “Mangialibri” lo trascura? Vai.
Mi aspetto che voglia affidarmi una collana, proposta che rifiuterei peraltro, per motivi che spiegherò più avanti. L’auspicio invece sarebbe che voglia sedersi a tavolino per pianificare una strategia comunicazionale e pubblicitaria, il motivo per cui gente come me viene interpellata da un editore importante nei Paesi evoluti del mondo.
Ultima domanda. Tanti anni fa, quando ci siamo conosciuti, stavi lavorando a un romanzo: doveva essere il tuo primo romanzo. Ricordo vagamente che aveva a che fare con Roma. Cosa ne è di quel lavoro? Quando tornerai a dedicarti alla tua attività artistica? Che aspetti? Cosa manca?
Non mi sono limitato a lavorare a quel romanzo (il titolo era “Promette tempesta” e credo di poter dire che dentro ci fosse più di qualche buona idea), avevo anche trovato un editore importante ‒ e intendo importante sul serio ‒ molto interessato a pubblicarlo. Ma poi mi sono fermato, volutamente. Ho salvato l’anima e la credibilità di “Mangialibri”. Mi sono detto: “Ma come? Hai fondato “Mangialibri” proprio per spezzare l’incantesimo paludoso in cui è intrappolata la critica letteraria di casa nostra, costituita da scrittori che si recensiscono a vicenda, e poi diventi anche tu uno di loro?”. Perché un grande editore si mostrava così interessato al mio romanzo? Forse anche per la qualità del lavoro, per carità, ma sicuramente perché io dirigo “Mangialibri” e quell’editore immaginava che per vendere il mio libro avrei usato tutta la potenza del sito sui libri più letto in Italia. Recensioni ossequiose, tanta visibilità, buone prospettive di vendita. Ma sarebbe stato un abominevole conflitto d’interessi che forse avrebbe portato “Mangialibri” all’autodistruzione o comunque l’avrebbe avvelenato. Un peccato originale che ho evitato per un soffio, ragionando al di là della mia vanità.
Gianfranco Franchi, marzo 2019